La salvezza dei giornali di carta

Pur tenendo una rubrica sui numeri per Leiweb, non sono tra quelli che impazziscono per le statistiche. Le trovo un po’ noiose. Però ogni tanto forniscono spunti interessanti, ad esempio quando l’incrocio tra i dati è pressoché intuitivo.
Nell’ultimo annuario Istat, ad esempio, ci sono un paio di riferimenti che non possono passare inosservati a chi si occupa di comunicazione e anche a chi svolge il cruciale ruolo di lettore (di romanzi, di quotidiani, eccetera). Continua a leggere La salvezza dei giornali di carta

Il web? Come la tv

Un tempo per legittimare una notizia o qualcosa di simile si usava la frase: “L’ha detto la tv”. Oggi si usa: “L’ho letto su internet”.
E il fatto di leggere qualcosa sul web piuttosto che vederlo in televisione dà implicitamente plausibilità alla notizia. Ma è davvero così? Cioè la rete garantisce una fruizione (non circolazione, badate bene) di notizie realmente libera?
Chi conosce bene certi meccanismi ci spiega che le cose stanno molto diversamente da come la maggior parte di noi possa immaginare.
Sul web siamo tutti tracciati e tracciabili. Ogni nostro movimento è seguito, decrittato, registrato. L’insieme dei nostri clic forma un enorme archivio che serve a studiare i flussi, i gusti, le tendenze. E’ un patrimonio di immenso valore economico di cui pochi hanno contezza.
Quando facciamo una qualsiasi ricerca, la rete ci offre un risultato che attinge da quell’archivio. Quindi ci fornisce ciò che suppone possa interessarci, non ciò che realmente ci interessa.
Quando sentiamo parlare di privacy sforziamoci di capire che si parla di libertà. La riservatezza dei dati infatti non riguarda solo gli illeggibili moduli che ad ogni contratto – dalla bolletta elettrica alla banca, dalla tessera del supermercato all’azienda di telefonia – ci tocca firmare. Coinvolge invece una parte importante della nostra vita sociale, quella che ha a che fare con il diritto di scelta, con la promessa che nessuno deciderà per te se non lo chiedi.
Insomma quando digitiamo qualcosa su un motore di ricerca è saggio tener conto che il suggerimento non è mai disinteressato. Come in tv insomma.

Direttore non responsabile

C’è una sentenza della Cassazione molto interessante. C’è scritto, tra l’altro, che il direttore di una testata online non è responsabile dei commenti dei lettori. E che tra l’online e la stampa cartacea c’è differenza.

Il flop dei politici sul web

Uno stralcio dell’articolo di oggi su la Repubblica.

Dieci anni fa la politica considerava internet uno strumento aggiuntivo di informazione. I primi siti dei partiti erano infarciti con gli stessi comunicati inviati a giornali e agenzie di stampa. Il web era un megafono un po’ più potente, null’altro.
Oggi poco è cambiato e, soprattutto in Sicilia, la politica sembra continuare a ignorare l’importanza della rete nel generare partecipazione, affiatamento.
Il concetto di fondo per comprendere il senso di questa occasione perduta è quello di interattività: il lettore non è più soggetto passivo, ma interviene, suggerisce. Dà i suoi feedback, che dovrebbero essere merce preziosa per la politica: meglio di qualunque indagine statistica. Continua a leggere Il flop dei politici sul web

Digito ergo sum

Non riesco ancora a capire cosa spinge milioni di persone a comunicare pubblicamente, tramite Foursquare o altre diavolerie, la propria posizione geografica.
Su Facebook e su Twitter è tutto un fiorire di messaggi, in inglese e con tanto di mappa, in cui grazie alla geolocalizzazione si comunica al mondo intero: “Sono qui”, con orario e foto di accompagnamento.
A parte la rinuncia ostentata a qualsiasi forma di privacy, c’è anche – secondo me – un difetto di strategia. Se io, ad esempio, voglio sapere cosa fa un mio concorrente commerciale basta che ne segua le tracce sul web e potrò intuire qualcosa dei suoi programmi: un bel vantaggio.
Il successo di Foursquare è fondato, come sempre più spesso accade, sulle schizofrenie degli sfegatati di internet. Che da un lato fanno crociate per la sacrosanta riservatezza degli indirizzi di posta elettronica e dall’altro regalano informazioni molto personali al mondo intero (che non è fatto solo di amici e parenti).

(…)

Siccome c’è un’odiosa sentenza che mette in dubbio la libertà di chi, come me, scrive con assiduità su un blog, preferisco tacere per oggi. Tanto per togliere elementi a chi vorrebbe accusarci di stampa clandestina.

Prigionieri nella rete?

di Roberto Buscetta
Da qualche tempo mi chiedo che cosa farei, qualora fossi un dittatore, per scansare o domare il dissenso: se censurare la Rete o se, al contrario, lasciarla totalmente senza vincoli né censure. Sono sempre più convinto che praticherei la seconda ipotesi, per tutta una serie di ragioni.

È innegabile che la comunicazione via Web, se libera e a costi bassi, se non addirittura gratuita, funziona in modo sorprendente ed efficace, e raggiunge in tempo reale l’angolo più sperduto della Terra, giungendo contemporaneamente a un numero incredibilmente alto di utenti. È questa la convinzione della stragrande maggioranza di internauti – me compreso -, i quali si compiacciono della potenza e della potenzialità della Rete, inimmaginabili fino a qualche anno fa. Nulla da obiettare a questa rivoluzionaria modalità di comunicare e d’informarsi, che supera qualunque limite o barriera e scavalca le censure palesemente o velatamente imposte dai vari notiziari ufficiali, permettendo, inoltre, un’interattività molto più democratica e vivace.

Ma la rete ha più ombre che luci, e ora provo a segnalarne il perché.

Il Web permette a tutti di accedere a infinite fonti d’informazione, ma nessuno ci garantisce che siano tutte parimenti credibili e all’altezza di ciò che cerchiamo o dell’argomento trattato. Sappiamo, anzi, che non è così, e che è necessaria una matura ed esperta capacità di discernere le notizie, qualità non equamente distribuita nella popolazione, come succede per tante altre cose. Il problema è per ovvie ragioni più minaccioso per le nuove generazioni, non abituate a reperire notizie in modo più tradizionale, e colpisce maggiormente i meno “attrezzati” rispetto ai più dotati e/o istruiti.

Il problema più inquietante, però, almeno per me -ma ne parla anche Lee Siegel nel suo saggio Against The Machine, ne fa cenno Jaron Lanier in You are not a gadget, ma anche Paolo Landi nel suo lucidissimo Impigliati nella Rete, edito da Bompiani nel 2007- è il ruolo che attribuiamo alla comunicazione nel Web, scambiando troppo spesso quest’ultimo per il luogo reale e unico in cui si svolge, tutta, la nostra esistenza. La Rete è gravida di violenza verbale e riesce a far esprimere il peggio di ciascuno di noi, dandoci l’illusione di indirizzare in modo efficace e, se vogliamo, anche anonimo, i contenuti che desideriamo inoltrare in direzione di uno o più interlocutori. Oltre al probabile (o quanto meno ipotetico) inganno derivato da un presunto anonimato, e al decadimento linguistico, stilistico e morale assegnato alla forma dei messaggi veicolati, vale la pena di soffermarsi sull’efficacia di una frustrazione di qualsivoglia natura consegnata alla virtualità del Web. C’è la convinzione di aver trovato il modo e il luogo giusto in cui poter finalmente dire la propria, sfogare il proprio disagio, dichiarare per filo e per segno ciò che si pensa di qualcosa o di qualcuno “senza mandarle a dire”. E tutto ciò stando comodamente seduti a casa propria o nel proprio posto di lavoro. La verità, però, è che il risultato di tanta immissione di energia, a parte una indubbia facilità, almeno in potenza, nel raggiungere contemporaneamente tanti lettori da cui magari anche ricevere un feedback o un segnale di consenso (vedi, per esempio, Facebook o gli altri social network), si spegne nella virtualità, senza nessun obbligo di output verso la vita reale, quella fatta di quotidianità, di carne e ossa, di emozioni comunicate, di sudore e di tantissime altre cose neppure surrogabili nella second life dell’esistenza in Rete. Io sono convinto che un dissenso manifestato apertamente, vis-à-vis, nei confronti di un interlocutore in carne e ossa, sia esso un individuo, una istituzione o un organismo di qualunque natura, richieda sì più coraggio, più responsabilità e più impegno reale, nel senso di volontà e capacità di rischiare ed esporsi di persona, ma che sia l’unica possibilità, ancora oggi in cui il virtuale non ha totalmente soppiantato il reale, per ottenere visibilità e risultati concreti. L’eventuale dittatore che avesse deciso di lasciare totalmente libera la Rete ricaverebbe solo dei vantaggi, o comunque non avrebbe alcun reale fastidio, se tutte le energie rivolte contro di lui si spegnessero dentro uno schermo, incapaci di uscirne sottoforma di dissensi, ovviamente pacifici e  democratici,  ma massicci e visivamente solidali, o di concrete richieste di risposte tangibili a problemi tristemente tutt’altro che virtuali.

Hard Times

Pare che da quando il sito del Times di Londra è diventato a pagamento, abbia perso qualcosa come il novanta per cento dei suoi lettori.
Però io aspetterei a formulare un giudizio.
Diciamo che sono allarmato, ma non allarmista.

Intanto oggi Repubblica comunica che la sua versione iPad diventa a pagamento.

Via Ppr.

Carta & web

Pare, secondo gli ultimi esperimenti editoriali italiani, che la carta promuova la carta (e un po’ il web) e che il web non promuova la carta. Cioè che i sistemi di interazione tra sito e giornale non funzionino come quelli, ad esempio, tra giornale e libro o tra giornale e un altro giornale (tipico caso, gli abbinamenti). Ciò perché il cliente del cartaceo è comunque disposto a spendere: se gli offri il quotidiano con un buon libro a otto euro in più, lui paga senza far troppo casino. Mentre il lettore del sito è cristallizzato nel mondo del tutto gratis-subito-e-di-più: se gli offri un servizio che ha a che fare con una sinergia analogica non è disposto a spendere neanche un centesimo.
Lo scenario, come ben capite, non è da sottovalutare. E in più è orfano di capitani coraggiosi.

La tassa sul web

La proposta del presidente della Fieg, Carlo Malinconico, di istituire una microtassa per chi naviga in rete farà saltare in aria molti nudi e puri del web. Gli altri – come chiamarli? Vestiti e impuri? – potrebbero essere tentati da un ragionamento che parte dalla differenza tra anarchia e libertà. Io sono tra questi e ovviamente preferisco la libertà all’anarchia.
E la libertà ha un prezzo.
La tassa sulle notizie in rete, come idea mi convince. Sarà che il concetto di gratis mi insospettisce e che solo pagando posso esercitare appieno il mio diritto di consumatore critico. Sarà anche che il web è pieno di immondizia e di tarocchi – finti giornalisti, finte sensazioni, finti divulgatori, finti personaggi, finte notizie, finti fenomeni– e che il potenziamento dei siti di qualità contribuisce a soffocare quelli scarsi.
Insomma sarei lieto di pagare la mia tassa per avere informazioni precise, puntuali. Solo che temo che questo canone faccia la fine di quello per la tv: un’estorsione da parte del racket della volgarità.
E allora quasi quasi mi schiero coi nudi e puri.