Dare dell’idiota a chi lo è

Siccome è in atto una campagna di neo-qualunquismo sull’aggressività del web e sulla pericolosità di certi movimenti di incultura che crescono nei social network, ho pensato di impegnarmi in un’operazione di denuncia. Ogni volta che mi capiterà di imbattermi in un idiota del web, ne darò notizia su queste pagine: si accettano segnalazioni, ovviamente.
Col tempo spero di dimostrare che non servono nuove norme per garantire la pulizia di un luogo virtuale, perché le regole esistono già e basterebbe applicarle per evitare odiose generalizzazioni. Un cretino che online offende a raffica chiunque, è lo stesso cretino che imbratta i monumenti o che buca le ruote delle auto il sabato sera. Un delinquente che istiga alla violenza via internet è lo stesso delinquente che guida ubriaco e falcia il primo pedone che gli capita a tiro. La cattiveria gratuita e anonima ha lo stesso seme di invidia sia nel web che allo stadio.
Chissà quando ci si renderà conto che non sono le connessioni telematiche il problema, ma le connessioni cerebrali.

A proposito del web, della giustizia e della Lucarelli

Oggi su Libero Selvaggia Lucarelli scrive un articolo molto bello sui due pesi e due misure nella lotta contro i delinquenti del web. In soldoni, se sei un politico parte subito l’operazione di protezione, le forze dell’ordine si mobilitano, i provider collaborano; se non lo sei, ti lasciano sbattere vita natural durante. A proposito di vita, l’esperienza della Lucarelli, con le dovute differenze, l’ho provata qualche anno fa quando un paio di cretini decisero di decretare la mia morte modificando reiteratamente la mia voce su Wikipedia: morivo in circostanze misteriose, con qualche psicofarmaco in corpo, a casa di una non precisata donna, con mia moglie nella parte di vedova inconsolabile e anche un po’ imbarazzata. Una cosa gradevole insomma (ne scrissi qui). Sporsi denuncia, indicai IP, circostanze, sospetti: c’era solo da andare a prendere quei malfattori e sottoporli a procedimento giudiziario. Nulla accadde, non ho mai avuto una sola notizia, silenzio.
Quando mi è capitato di criticare sul web una parlamentare nazionale invece, nel giro di un’ora, si è materializzato un agente della polizia postale che ha subito avviato la sua perfetta indagine e scritto in bella grafia il suo compitino. Una giustizia rapida, istantanea, su misura.

Se il Paese reale se la ride del web (e di tutti noi)

La rinascita di Berlusconi era inaspettata. Dovunque, principalmente sulla gogna di Twitter e sulla piazza di Facebook, le sue sparate suscitavano migliaia di battute e reazioni di scherno che sembravano aver sterilizzato l’elettorato dalle facili promesse e dai guizzi del grande giullare.
E invece i risultati sono stati quelli che conosciamo.
Da giorni i migliori analisti s’interrogano sulle doti del Grande Comunicatore e sulla ruffianeria dei suoi programmi televisivi – quello di Barbara D’Urso su tutti – ma risparmierebbero tempo e fatica se rivolgessero la loro attenzione esclusivamente al web. Dal web infatti sono venute le illusioni ottiche, le false prospettive, le congetture secondo le quali Berlusconi era spacciato. L’ironia di internet ha gonfiato le gote del pagliaccio senza depotenziarne la capacità di fare proseliti. E perché?
Perché l’Italia vera non è quella che sta in rete. Perché, checché ne dica Grillo, il web non è il termometro di un Paese con la febbre alta: è solo uno sfogatoio in cui la maggior parte delle persone non è disposta a mettere in atto neanche l”uno per cento di quello che promette a followers e sodali telematici. E poi arrendiamoci all”evidenza: chi si prende la briga di smanettare dietro a un computer ha un senso critico che non è quello dominante. Il Paese che conta è quello che va a votare aspettandosi l’immediata restituzione dell’Imu con gli interessi, è quello che il pc non sa cosa sia, è quello che si pianta davanti a Pomeriggio Cinque rincoglionendosi con le faccine della conduttrice. Tutti noi, in queste pagine virtuali, ci illudiamo di fare massa, soprattutto massa critica e invece siano solo una massa lasciata all”ammasso.
Il Movimento 5 stelle è una minuscola eccezione di fronte al dilagare delle chiacchiere inconsistenti della rete e sul fenomeno ha un”incidenza minima: quella di Grillo è una vittoria concreta, internet c”entra poco o nulla.
Su Twitter ci ammazziamo dalle risate prendendo in giro i potenti e chi gli va appresso, ma al confronto siamo quattro gatti spelacchiati e pure un tantino sfigati. Immaginate le risate che adesso si stanno facendo tutti quelli che hanno portato di nuovo Scilipoti in parlamento, Berlusconi in auge, Bersani sull’orlo della depressione e Ingroia nella pensioncina vista mare a giocare a briscola con Di Pietro.

Le notizie che piacciono

C’è un aspetto molto interessante, e poco approfondito, nell’ormai certo passaggio dalla carta al web di alcuni giornali. Riguarda il termometro delle notizie.
Chi ha lavorato o lavora nei giornali sa bene quanto eterea sia stata nei decenni la misurazione del gradimento degli argomenti. A me capitava di sentire dire a un direttore: “Questo piace… questo invece no”. “E chi lo dice?”, chiedevo. “Me lo dicono le persone che incontro al bar”, era la risposta (con alcune varianti: “Che incontro per strada, all’edicola, dal mio amico gommista, al ristorante…”).
Erano chiaramente dati privi di qualunque fondamento statistico in un periodo in cui era esclusivamente la cronaca, soprattutto la nera e la giudiziaria, a spostare copie: un omicidio valeva un tot, una sentenza o una retata un altro tot, e così via. Questa era la sola certezza, il resto erano balle.
Le notizie oggetto di misterioso e presunto gradimento assomigliavano a scommesse o, peggio, a esercizi di sterile presunzione. I direttori dell’epoca si muovevano prevalentemente nel campo delle sensazioni, non tutti con la consapevolezza di camminare su un terreno minato. Infatti sappiamo com’è andata a finire: chi tra loro ha saputo innamorarsi meno delle proprie convinzioni ha raggiunto risultati migliori degli altri.
Con il passaggio al web, e la conseguente dismissione della carta, il sentimento delle notizie non varrà più nulla. E’ questa la rivoluzione per le redazioni. I dati di lettura, di tempo di permanenza su un testo danno – e non da oggi –  precise indicazioni su ciò che piace e ciò che non piace: qualunque blogger, anche il penultimo arrivato, lo sa bene. Le edizioni dei giornali online, al di là degli aspetti di praticità di cui abbiamo più volte parlato, contribuiranno alla caduta di molti alibi: se le scelte di impaginazione, di titolazione, di scrittura saranno quelle giuste lo si capirà subito. Senza attendere che il direttore torni dal bar o da una visita all’amico gommista.

Politici ben messi nel web

 

Ci sono giornali

Ci sono giornali che, come ha fatto il Giornale di Sicilia un paio di giorni fa, annunciano tardivamente una svolta moderna, telematica, supergiovane.
Il succo del discorso è questo: siccome c’è la crisi e non ci possiamo fare niente, siccome c’è internet e non ci possiamo fare niente, siccome siamo comunque bravi anche se perdiamo milioni di copie e non ci possiamo fare niente, noi che siamo moderni, telematici e supergiovani vi regaliamo un giornale sempre “più nuovo”.
E in cosa consiste la novità? Continua a leggere Ci sono giornali

Contrordine, i lettori del web non sono scemi

Appare sempre più decisivo il ruolo del web nei meccanismi di diffusione della notizia. La recente tornata elettorale ci ha dimostrato – ma non ce n’era bisogno – che la partecipazione diretta dei cittadini alla consultazione e al decrittamento dei dati del voto produce ricchezza informativa. I lettori del web non sono, come qualcuno ormai in minoranza vorrebbe fare credere, meno prudenti di quelli della carta stampata. Sono solo più fortunati perché hanno più mezzi per accedere alle infinite stanze della realtà. Continua a leggere Contrordine, i lettori del web non sono scemi

Spararle grosse

Non sono profeti né maghi, eppure sul web imperversano come se fossero bocche della verità. Sono gli aspiranti “indiscrezionisti”, giornalistucoli o orecchianti della notizia che sparano previsioni e anticipazioni su tutto e tutti. Candidature, alleanze politiche, movimenti aziendali, campagne pubblicitarie, strategie. Scrivono rinviando sempre a “fonti ben informate” e ammiccano al lettore con frasi del tipo “ne vedremo delle belle”.
Ce lo siamo detti molte volte, il problema dell’informazione condivisa, estremamente condivisa, del nuovo giornalismo popular, estremamente popular, è che aumentando il volume delle notizie, diminuisce la qualità degli autori. L’altro giorno c’era uno in tv che si professava giornalista pur non avendo mai avuto a che fare con un giornale, a parte quattro cartelle di deliri incautamente pubblicati da un correo.
Però non è così difficile difendersi dagli impostori: questi tipi non riferiscono indiscrezioni – che, come sappiamo, possono anche non essere confermate, altrimenti non sarebbero indiscrezioni – scrivono proprio cazzate, senza né capo né coda. Scrivono storie inventate travestite da riflessioni, raccontano incubi travestiti da ammonimenti. Insomma, sono Uri Geller del giornalismo: mistificatori, millantatori, truffatori.  Io ne conosco almeno una decina e ogni volta che mi imbatto in un loro scritto, mi sforzo di andare oltre. Poi non ce la faccio… e leggo. Ma questo è un mio grave difetto: ho un debole per il trash.

Scherzi e notizie

Da tempo disquisiamo qui e altrove del peso e del ruolo di Twitter sulla gestione delle notizie. Ieri si è verificato il tipico cortocircuito tra verità e finzione, o peggio tra il sentito dire e il dire sentitamente. In breve, Vanity Fair ha scambiato lucciole per lanterne imbastendo un articolo su quello che in realtà era uno scherzo via Twitter di Gerry Scotti.
Il web, che è regno di superficialità ma anche di grandi approfondimenti, nulla perdona e nulla regala. Aggravante: sulla carta stampata le cazzate si dimenticano prima che su internet, perché è vero che scripta manet ma è anche vero che dipende dal supporto al quale sono affidati gli scritti. La carta, un tempo considerata il più sicuro custode delle memorie, cede il passo all’impalpabile testo online. Dove nulla si distrugge persino se poco si crea.
Dei giornali nulla rimarrà, ed è ormai questione di anni. Del web ci sara sempre una cache da rintracciare, copiare, diffondere.

Web, chi pensa ai contenuti?

C’è una corsa forsennata a prendere posizioni sul web, soprattutto sui social media. Tutti ad aprire account, a rimodellare siti. Solo in pochi, illuminati, si preoccupano anche dei contenuti, cioè di quello che bisogna infilare dentro questi meravigliosi pacchetti virtuali, confezionati con carta pregiata.
Vige in questo momento una logica attendista che in realtà nulla ha a che fare con la prudenza. Si dice: occupiamo uno spazio, mettiamo su una bella vetrina, tanto qualcosa accadrà tra pochissimo. Però aspettiamo che accada.
L’atteggiamento è sbagliato per tre motivi.
Primo. Il web non è un’altra realtà ma un’appendice della realtà. Un commerciante serio non aprirebbe mai un negozio senza nulla dentro solo per prendere possesso di un locale che non è prezioso né esclusivo.
Secondo. I contenuti sono essi stessi un prodotto, per di più altamente specialistico. Hanno un costo, ma consentono ricavi. Farne a meno non è una scelta, è una stupidaggine.
Terzo. Occupare asetticamente uno spazio web potrebbe urtare la suscettibilità del visitatore che fuggirebbe dal sito e difficilmente tornerebbe sui suoi passi.
Conclusione. Meglio non fare nulla se non si è certi di cosa si vuol fare.