Dai, l’anno prossimo un tema su Fabio Volo

L’effetto domino di Twitter è sorprendente. Anche nello svelare l’ignoranza. Non conoscere Claudio Magris non è un delitto, essere orgogliosi di non sapere chi sia è sì un delitto contro la cultura.
Un diciannovenne che non ha mai sentito parlare di Magris è uno che non ha mai letto un giornale, che non conosce il meglio della cultura italiana. Ma di questi tempi non è uno scandalo.
Magris, oltre a qualche libriccino, ha scritto decine di articoli sui giornali (Corriere della Sera) e ha sfiorato il Nobel per la letteratura, che non è la Coppa dei campioni, ma che qualcosa significa per noi senzienti (magari anche malati di calcio).
Per un liceale non conoscere Claudio Magris non è determinante, sceglierà un altro tema. Per un twittero di retrovia celebrare la consapevolezza di non conoscerlo è una meravigliosa, imperdibile prova della capacità di contagio dell’ignoranza nelle lande dei social network.
L’anno prossimo un bel tema di maturità su Fabio Volo, e tutti contenti.

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I casi sono due. O il Giornale di Sicilia ritiene che i 140 caratteri di Twitter siano troppi, o ritiene che i suoi lettori siano incapaci di intendere e di cliccare.

Il famoso popolo (bue) del web

rivoluzione

Se il Paese reale se la ride del web (e di tutti noi)

La rinascita di Berlusconi era inaspettata. Dovunque, principalmente sulla gogna di Twitter e sulla piazza di Facebook, le sue sparate suscitavano migliaia di battute e reazioni di scherno che sembravano aver sterilizzato l’elettorato dalle facili promesse e dai guizzi del grande giullare.
E invece i risultati sono stati quelli che conosciamo.
Da giorni i migliori analisti s’interrogano sulle doti del Grande Comunicatore e sulla ruffianeria dei suoi programmi televisivi – quello di Barbara D’Urso su tutti – ma risparmierebbero tempo e fatica se rivolgessero la loro attenzione esclusivamente al web. Dal web infatti sono venute le illusioni ottiche, le false prospettive, le congetture secondo le quali Berlusconi era spacciato. L’ironia di internet ha gonfiato le gote del pagliaccio senza depotenziarne la capacità di fare proseliti. E perché?
Perché l’Italia vera non è quella che sta in rete. Perché, checché ne dica Grillo, il web non è il termometro di un Paese con la febbre alta: è solo uno sfogatoio in cui la maggior parte delle persone non è disposta a mettere in atto neanche l”uno per cento di quello che promette a followers e sodali telematici. E poi arrendiamoci all”evidenza: chi si prende la briga di smanettare dietro a un computer ha un senso critico che non è quello dominante. Il Paese che conta è quello che va a votare aspettandosi l’immediata restituzione dell’Imu con gli interessi, è quello che il pc non sa cosa sia, è quello che si pianta davanti a Pomeriggio Cinque rincoglionendosi con le faccine della conduttrice. Tutti noi, in queste pagine virtuali, ci illudiamo di fare massa, soprattutto massa critica e invece siano solo una massa lasciata all”ammasso.
Il Movimento 5 stelle è una minuscola eccezione di fronte al dilagare delle chiacchiere inconsistenti della rete e sul fenomeno ha un”incidenza minima: quella di Grillo è una vittoria concreta, internet c”entra poco o nulla.
Su Twitter ci ammazziamo dalle risate prendendo in giro i potenti e chi gli va appresso, ma al confronto siamo quattro gatti spelacchiati e pure un tantino sfigati. Immaginate le risate che adesso si stanno facendo tutti quelli che hanno portato di nuovo Scilipoti in parlamento, Berlusconi in auge, Bersani sull’orlo della depressione e Ingroia nella pensioncina vista mare a giocare a briscola con Di Pietro.

La spending review applicata alla grammatica

 

Uso adeguato di Twitter

Al di là degli impegni mantenuti o meno, delle promesse dell’amministrazione e delle speranze del cittadino, questo rapporto tra domanda e risposta mi pare ideale. Speriamo che non sia un’eccezione.

La candida Mara

Io, mammeta e tu

Ieri il deputato regionale uscente Pino Apprendi, del Pd, e candidato alle elezioni di domenica prossima ha postato su Twitter questa foto di un suo incontro elettorale.

Ne è seguito uno scambio di tweet.

La saggia compostezza con cui Apprendi ha aggirato la provocazione del sottoscritto mi ha spinto a complimentarmi con lui.

E soprattutto mi ha indotto a non aggiungere, amaramente: “Ecco perché perdete sempre”.
Una foto di un incontro elettorale al quale partecipano io, mammeta e tu non è un orgoglio da ostentare. Le regole della comunicazione, piacciano o no, dicono altro.
Poi uno è liberissimo di mostrarsi felice perché nessuno gli va appresso, ma questa non è strategia politica, è incoscienza.

Capelli vs tette

Filippo Facci e Selvaggia Lucarelli li leggo volentieri (pur trovandomi spesso in disaccordo con loro). Questi scambi di cortesie su Twitter me li rendono ancora più  simpatici.

Orlando e il nickname di Monti

Quindi Leoluca Orlando chiama Monti non col suo nome, ma Spending: non male come nickname.