Moltissimi giornalisti – io sono tra questi – nella loro carriera hanno avuto a che fare con scelte editoriali contestabili, persino odiose. È nei poteri del direttore scegliere cosa scrivere, come scriverlo e se scriverlo, inutile girarci intorno.
Molto spesso la parola censura viene usata a sproposito dentro e fuori le redazioni, perché un giornale (e in generale una testata giornalistica) vive di scelte. E anche le scelte più impopolari, se guardate con altri occhi, possono essere viste come scelte di comodo o addirittura di saggezza. Insomma esistono manuali di giornalismo, ma non di prudenza. E per fortuna, perché il nostro mestiere è fatto ogni tanto di colpi di testa, di idee balzane, di piedi nella minestra.
Leggendo del caso Petrecca a Rainews viene a galla l’unica eccezione rispetto a tutto questo ragionamento. Che ha a che fare con la realtà dei fatti. Quando un direttore vuole cambiare la realtà dei fatti, siamo dinanzi non già a una censura bensì a una cazzata. Tagliare non serve a servire un padrone. Ragionare sī.
Anziché sfrondare i servizi su La Russa, Facci e Roccella vari, un direttore iperfazioso o fortemente asservito ma abile avrebbe potuto arricchire il suo tg di contropareri, di editoriali, di dettagli. La notizia come un ingrediente della minestra, più ce n’è meglio è. Anche i palati più raffinati (o diffidenti) possono essere ammaliati da un piatto ricco, magari troppo ricco. È una visione cinica lo so. Ma è realistica e soprattutto pratica. Il giornalismo romantico ormai esiste solo nei film: e ringraziamo il cielo che esiste ancora il giornalismo e basta. Insomma ragionare, anche in termini fastidiosamente obliqui, non ha controindicazioni. Bisogna solo avere la capacità di farlo.
Filippo Facci e Selvaggia Lucarelli li leggo volentieri (pur trovandomi spesso in disaccordo con loro). Questi scambi di cortesie su Twitter me li rendono ancora più simpatici.
Avvertenza per i lettori. Questo post è un po’ più lungo del solito: mi scuso.
Nel weekend appena trascorso ho assistito a un singolare fenomeno che ci dice molto del web, dell’informazione e soprattutto dei navigatori (nella fattispecie palermitani).
Sabato ho linkato un articolo di Filippo Facci su “Travaglio e il travaglismo” e non ho aggiunto alcuna opinione personale, anzi ho specificato che preferivo non dare alcun giudizio per non influenzare i lettori.
Il post è stato ripreso da Tony Siino su Rosalio che lo ha accompagnato, maliziosamente, con una nota personale.
Il programma prometteva bene. C’era solo da ragionare sulla teoria di Facci.
Travaglio è vittima di un doppiopesismo che altera la sua visione della cronaca?
Se non si è del Pdl esiste un altro modo di vedere la realtà politica italiana che non debba necessariamente passare attraverso il filtro del suddetto Travaglio?
Bella discussione, tosta, divertente.
Invece niente.
Prima di proseguire è giusto che, per chiarezza nei confronti dei più distratti o di chi si avvicina a questo blog per la prima volta, illustri brevemente la mia posizione sui protagonisti della vicenda.
1) Seguo Marco Travaglio con interesse e ne ho condiviso alcune ragioni.
2) Ritengo che il magistrato Antonio Ingroia svolga un ruolo importante nella lotta contro Cosa nostra.
3) Cerco di non lasciarmi ingannare da tesi precostituite. La migliore domanda, dovrebbero insegnarlo al catechismo, è quella che ancora bisogna porsi.
4) Leggo Filippo Facci pur non condividendo le sue opinioni. Però lo seguo con una certa assiduità perché nella vita non c’è niente di più interessante che indagare il pensiero opposto. Accodarsi comodamente alle opinioni dei sodali è noioso: solo uno come Berlusconi non lo capisce.
Quest’ultimo punto è il più importante nella storia che vi sto raccontando (e una volta tanto non mi riferisco a Berlusconi).
Lasciatemi essere prosaico: leggere e discutere ciò che è lontano (o sta fuori) dal nostro cerchio di opinioni è la migliore occasione di crescita intellettuale che ci sia data. E il miracolo di internet sta proprio nell’amplificare questa possibilità.
Se potessi, leggerei ogni giorno cento, mille articoli di Facci e compagni proprio perché se non è la similitudine a fertilizzare il nostro orticello di idee, sarà il contrappasso a far sì che uno si incazzi, un altro ci pensi su, un altro ancora si cimenti in una teoria concorrente. E’ l’antica magia della discussione, del dibattito ad armi pari, della sana polemica.
Invece niente.
Il link all’articolo in questione si è risolto in una congerie di ruttini anonimi: chi ha linkato? E perchè? E cosa ci sta dietro?
Ve lo dico io chi, perché e cosa ci sta dietro.
Ho linkato io, perché sono un tipaccio curioso e mi piace condividere spunti e provocazioni. Li considero regali. Come un’edicola virtuale: oggi io metto queste pagine, divertitevi pure, incazzatevi, gioite, comunque ragionateci sopra.
Invece niente.
Soltanto in pochi sono riusciti a rimanere in tema, convinti o meno dalle tesi di Facci.
Gli altri, esclusi i ruttatori anonimi di cui si è detto, sono finiti nelle trappole più banali: chi tocca Travaglio muore per un’esecuzione senza argomentazioni; chi vuol restare comodo critica Facci anche senza leggerlo.
Tutto ciò mi convince sempre più del fatto che il nemico peggiore di internet sia la sua finta democrazia. Finta perché illude che le opinioni e le non opinioni debbano avere tutte lo stesso rilievo.
Non è così.
Nel libero scambio di pareri si devono fissare dei limiti, una sorta di netiquette neuronale, oltre i quali non è consigliabile andare.
La stupidità è un’emergenza mondiale e non ha nulla a che fare coi confini geografici (anche se ho il tremendo sospetto che dalle mie parti ci sia un carattere dominante aggrappato a un gene molto diffuso). La stupidità non ha legami di parentela coi titoli di studio, è figlia della codardia (leggi: anonimato) e della supponenza (leggi: avanzare ipotesi offensive).
Il caso Facci-Travaglio è un esempio che vi invito a ricordare: un’ottima occasione di discussione accesa e feconda ammazzata dall’ignoranza più pericolosa, quella di chi giudica senza (sognarsi di) leggere, sapere.