Un estratto dall’articolo di oggi su la Repubblica.
Mondello, inverno 2015. Prima scena: lì dove la vocazione turistica inciampa, l’azzardo sovrasta. Un tempo c’era la Sirenetta, sala trattenimenti, oggi c’è il canto delle sirene del Punto Snai, sala scommesse: il locale e il panorama sono gli stessi, cambiano solo gli orizzonti dei clienti.
Valdesi è l’antipasto di Mondello, l’anticipo sempre più sostanzioso di un’offerta sempre più debole. Qui infatti si è spostato il baricentro economico dell’intera borgata, specialmente fuori dalla stagione turistica. Nel triangolo tra la libreria Sellerio, il bar Scimone e il fruttivendolo Pizzichellino, i residenti invernali fanno gruppo, s’inventano una parvenza di comunità. A poche decine di metri, la sala scommesse racconta invece altre storie con altri protagonisti che vengono dalla città e che non pesano nulla nell’economia del borgo: arrivano, parcheggiano senza problemi, scommettono, e tanti saluti.
Seconda scena: il mare è più bello se a portata di sportello. Sui piani di pedonalizzazione e in generale sulle futuribili rivoluzioni viarie di Mondello, sono state scritte pagine e pagine. Tutte di carta straccia. Negli anni ci si è inventati malinconiche navette, si sono studiati parcheggi con altissimo tasso di desertificazione, ci si è cimentati con complesse geometrie urbanistiche in cui l’unico problema per stabilire un senso unico era innanzitutto trovare un senso, in generale. Davanti al suo ristorante, “da Sariddu”, Giosuè Arcoleo si professa da sempre sostenitore della chiusura al traffico della piazza di Mondello: “Il problema è che, però, ai palermitani piace mangiare con le auto che passano accanto al tavolino”. Quindi come si fa? Il menù a favore di scappamento è una prospettiva poco salutare ma più redditizia per un’economia che non riesce a destagionalizzarsi, non è la soluzione ma il tampone per un’emorragia di interesse nei confronti della borgata. Perché la vera emergenza qui non è la crisi, ma l’appeal della piazza. Lo conferma il fiorire di pub e paninerie, sempre pieni, esche ideali per i pesci di passaggio: parcheggi su un marciapiede, ingurgiti un panino, dribbli il posteggiatore abusivo e in dieci minuti sei sulla strada di rientro. Il mare resta lontanissimo, inquadrato nella sua cornice tristemente ideale: quella del vetro dell’auto. Nulla di più e molto di meno.
Terza scena: la globalizzazione mette lo street food alle corde. Le insegne della piazza di quello che i palermitani chiamano “Mondello Paese” raccontano un cambiamento estremo nell’offerta alimentare. Polpo e panella erano re e regina, ora sono semplicemente ammessi a corte in una folla di stuzzichini, finger food, cheesburger, fritture che rinnegano le loro origini surgelate e spuntini dai pacchiani travestimenti esotici. Accanto alla scritta “Prova il nostro panino con le panelle”, ce n’è un’altra, “Prova il nostro angus”, nel bizzarro presupposto che il fritto di casa nostra possa avere come sposa ideale la carne scozzese. Più avanti la coppia è multietnica, kebab e milza, ed è un sottile piacere abbandonarsi al pensiero che il bicarbonato, almeno quello, sopravvive alle rivoluzioni culturali e al mutare dei costumi. Giuseppe Bonomo, proprietario della panineria “Peppino’s” rivendica un merito nel nuovo corso: “Largo ai giovani”, dice affidando tutta la sua convinzione a una chioma folta e oscillante, “abbiamo smesso di lamentarci, noi lavoriamo bene sempre, basta che non chiudano la piazza alle macchine”. Vedi sopra: chi dorme non piglia pesci di passaggio.
Quarta scena: chi finisce in mezzo a una strada e chi si affida al marciapiede (non per metafora).
La chiusura di “Renato Bar” porta a uno squilibrio sostanziale nella piazza. Per decenni il dualismo con l’”Antico Chiosco” ha alimentato classifiche (per i cornetti è meglio l’uno, per il calzone al forno meglio l’altro), ha stimolato strategie (aperitivo dall’uno e non dall’altro perché il cameriere è più simpatico), ha consolato come solo una routine oziosa sa fare (quando uno era chiuso e l’altro aperto era come guardare la realtà con un solo occhio). Oggi la piazza sembra più deserta senza quel vedere doppio di tavolini, sedie, camerieri in divisa. E la sensazione di rarefazione è accentuata dall’affollamento del marciapiede che dà sul mare. Una distesa di borse marca cavallo, orologi a cinque euro, cover di iPhone, paccottiglia finto africana con giraffe di legno quasi a dimensione naturale e matasse di braccialetti colorati. Non è passeggiata ma slalom, non è spazio da percorrere ma lume virtuale da attraversare. (…)
Quinta scena: chi si ricorda dei polipari e delle loro baracche? Di certo Paolo Muratore, presidente dell’associazione “Mondello Young”: “Nel 1985 furono tolte le baracche dal lungomare. E’ quello il nostro anno zero”. I pescatori che vendevano un piatto di ricci a mille lire si fecero ristoratori e lo vendettero a cinquemila lire, chi faceva un mestiere se ne inventò un altro non senza conseguenze. Il borgo marinaro che sognava una riqualificazione come cittadella gastronomica (a “Mondello Paese” da sempre si mangia e basta) si trasformò lentamente in Paninolandia, sottovalutando il fatto che la sua dignitosa vocazione low-cost era diventata low e basta.
Non cediamo alla tentazione, non è vero che si stava meglio quando si stava peggio. Il guaio di questa borgata non è nel suo passato, quanto nella sua refrattarietà al futuro: il problema di un consumo mordi e fuggi non è mai stato nel morso, ma nella fuga.
Titoli di coda, dissolvenza sul nero. Ma proprio nero.
Non trovo un indirizzo e-mail per mezzo del quale scrivere a Gery Palazzotto. Allora utilizzo questo “spazio pubblico” per porgergli i miei complimenti per lo stile di scrittura vivace e ricercato, lontano dai giri di parole e da espressioni scontate che da anni appiattiscono il piacere della lettura.
Saluti.
La ringrazio.