Il vero problema


è ittraffico.

Chissà

L’idea è affascinante.
Anni fa un mezzo di trasporto simile (di cui adesso non ricordo il nome) fu lanciato sul mercato con uno slogan discreto tipo “l’idea più rivoluzionaria per il trasporto urbano”.
Era una specie di bipattino.
Finì nel dimenticatoio ancor prima di essere commercializzato.

Il rito millenario e la città insofferente

Foto di Daniela Groppuso
Foto di Daniela Groppuso

In tutte le città del mondo la maratona è una festa.
Nella mia vita ho corso un po’ qua e là e quando mi è capitato di avere l’onore di partecipare a una gara ufficiale – sempre come l’ultimo dei dilettanti – sono rimasto affascinato dal ruolo del pubblico.
Dovunque ti incitano, ti chiamano per nome (il numero di pettorale), ti danno pacche: tutti, quando ti vedono passare, ti trattano come un campione, anche se sei piegato dalla fatica, se piangi per i dolori ai polpacci, se sei ultimo, o vecchio, o grasso, o scoordinato. A New York addirittura ti accompagnano con la musica, diversa per ogni strada che percorri.
La maratona è una gara antica come l’umanità, e però non ha nulla di umano. Il nostro organismo infatti non è stato progettato per sopportare un simile sforzo. Però fa parte dell’indole umana la volontà di sfidare i limiti, di vincere le scommesse più importanti, quelle contro se stessi.
Per questo molti corrono. Corrono fino a sfiancarsi. Per meta hanno un numero: 42,195. I chilometri che consumeranno sperando che le loro scorte di glicogeno durino oltre il fatidico 33esimo chilometro e confidando nel sospiro di un vento favorevole.
La maratona è la corsa dell’uomo verso l’impossibilità di un traguardo valido per tutti. Ogni atleta è una storia a sé, ogni passo è una scommessa, ogni goccia di sudore non è mai sprecata.
Ecco perché in tutte le città del mondo la maratona è una festa.
Ieri a Palermo la corsa silenziosa di quegli uomini che sfidano un rito millenario è stata inquinata dalle urla degli automobilisti imbottigliati agli incroci, dai clacson, dai grugniti di insofferenza e soprattutto dall’indifferenza generale.
Vergogna.