L’articolo pubblicato su Repubblica Palermo.
Come molte novità che irrompono in queste lande, il monopattino elettrico attira diffidenze e soprattutto scatena pulsioni violente, vandaliche. È accaduto molte volte in passato, dal car sharing alle biciclette condivise, dagli arredi urbani alle altalene nei parchi. È il sintomo di un’avversione antica per l’elemento che entra senza permesso nella quiete del nulla, per l’intruso che corre il rischio di migliorare la nostra esistenza assuefatta al poco esistente. Non è incultura, ma obbedienza a un mainstream sommerso e sbilenco che dice no per principio, che difende la povertà di ideali, che si inchina a una logica che guarda al futuro come a un virus pericolosissimo. Non a caso il video dei ragazzini che distruggono uno dei nuovi monopattini in affitto a Palermo finisce sui social, come un rito sacrificale da porgere agli adepti di una congrega che non aspettano altro: nella loro visione angusta di mondo quelle ruote non devono girare, ma ardere; e quel mezzo, che è di tutti e libero quindi per contrappasso di loro esclusiva proprietà, deve essere fatto a pezzi. Perché è nuovo, è il nuovo suscita sempre un desiderio. A qualcuno quello sbagliato. Il lato veramente triste di un atto vandalico sta nel suo essere guerriglia solitaria, senza trincee e soprattutto senza possibilità di vittoria. Se anche tutti i monopattini elettrici della città fossero ritirati, i quattro mascalzoni che li hanno scassati non avrebbero conseguito nessun risultato, a parte perdere persino l’ultimo oggetto della loro triste pulsione. Imprigionandosi da soli, punendosi nel grottesco fai-da-te di chi affronta le novità col martello in mano e le tasche della curiosità irrimediabilmente vuote.