Siamo l’unica regione

Siamo l’unica regione in cui un ex burocrate prende una pensione di 1.369 euro AL GIORNO.

L’arte della querela

Due premesse.
1)    Il post è un po’ più lungo del solito, nonostante io sia un sostenitore della rapidità calviniana, perchè l’argomento non è semplicissimo e, non a caso, ha bisogno di premesse.
2)    Conosco le due persone che sono citate di seguito. Emanuele Lauria è un collega e un amico da decenni. Massimo Russo è una persona che stimo a tal punto da avergli affidato la presentazione di un paio dei miei libri.

Parto dal caso siciliano più recente di contrasto tra giornalista e amministratore pubblico per entrare nell’argomento. Emanuele Lauria de la Repubblica conduce un’inchiesta sulla sanità isolana e inevitabilmente si trova davanti al nodo delle cliniche private. Nell’asciuttezza di uno stile a prova di contro-verifica, Lauria dimostra gli interessi neanche occulti di numerosi esponenti politici regionali nei confronti della sanità privata. La sua tesi è questa: poiché molti papaveri della Regione hanno un ruolo dimostrato, manifesto e legittimo nella gestione di case di cura e holding connesse, è lecito sospettare che il governo di Raffaele Lombardo non si sia affannato per applicare appieno la riforma.
Non è una tesi peregrina, né infamante. I giornalisti, a parte il gruppo dominante delle “aste da microfono”, esistono (o sopravvivono) anche per fare domande e per porgere bandoli di matasse intricate.
La risposta di Massimo Russo, magistrato di valore, oggi assessore regionale alla Sanità è dura: “È ora di dire basta a un’informazione non corretta”, scrive in un comunicato di fuoco. E annuncia di voler chiedere all’Avvocatura dello Stato di valutare eventuali azioni legali nei confronti del giornalista e del quotidiano. A mio parere Russo può soltanto contestare il titolo de la Repubblica (“Tagli al pubblico, favori alle cliniche: così la riforma premia la sanità privata”), assolutamente sbilanciato e quindi poco prudente. Però, tenendo conto che lui ha avuto e avrà diritto di replica, mi pare precipitoso puntare al deretano del cronista (che, se vogliamo, al contrario del titolista è stato prudente e tutto sommato equilibrato).

Il lungo antefatto è servito per dare un aggancio di cronaca a un pensiero che mi frulla in testa da tempo.
Provo a sublimarlo in una frase da bignamino: il giornalismo d’inchiesta fa bene anche alle controparti oneste. Ergo, l’incazzatura per un velo alzato su una zona nevralgica dell’azione politica oltre a provocare una reazione urente deve, a mente serena, suggerire nuove vie d’azione. Del resto soggetto e oggetto dell’inchiesta, cioè i due opposti, se entrambi in buona fede sono accomunati da un fine comune: trovare la maniera per fregare i ladroni.
Invece, per mere ragioni di inutile principio, è invalsa da tempo la consuetudine di usare la querela per mettere punti al posto delle virgole, per trovare ragioni a buon mercato. L’uso, o meglio l’abuso della querela per diffamazione (anche il sottoscritto, con questo blog, ne è vittima: ma ne parleremo presto in modo spietatamente approfondito) è diventato perlopiù un metodo di attacco preventivo: io ti querelo non per quel che hai scritto/detto, ma per scoraggiarti dal farlo ulteriormente.
E quando questa pratica – senza alcun riferimento al caso Russo-Lauria – viene posta in atto da parte di un politico, lo scenario diventa inquietante. Quanto costa un’azione legale a un parlamentare? Quanto tempo impiegherà a documentarsi? Quanta fatica dovrà sopportare per imbastire una causa degna?
La risposta è: zero. Come tutti sanno un deputato ha mezzi e uomini a disposizione, pagati dalla collettività, per fare e disfare a proprio piacimento.
E sull’altro fronte cosa accade? Più che la paura di una condanna, dato che uno sa se ha scritto una minchiata o no, è lo spettro di lungaggini personali e burocratiche a incombere sulla coscienza del giornalista. Avvocati, direttori incazzati, carabinieri o polizia, editori, pubblici ministeri, giudici… perché mai uno dovrebbe prenotarsi un posto in prima fila nel teatro delle rotture di scatole? Meglio volgere lo sguardo verso altro e campare tranquilli.
Così si ammazzano i superstiti di un giornalismo quantomeno dignitoso.
Non eroi, non paladini: onesti lavoratori che cercano, trovano e raccontano.

Lombardo e il piccione viaggiatore

lombardo blog

Anche Raffaele Lombardo, governatore della Sicilia ha il suo blog. Lo inaugura scrivendo “io sono uno di quelli che privilegiano ancora la penna per esprimere il proprio pensiero in forma scritta”. E andandone fiero. Magari qualcuno potrebbe fargli notare che nell’anno di grazia 2009 (quasi 2010), da amministratore di una regione importante, non ci si può concedere il lusso di sottovalutare l’ignoranza dei concetti base delle nuove tecnologie. Dire “io privilegio la penna” (e lo dice uno che scrive anche a penna) mentre si inaugura un blog è come dire “io preferisco il piccione viaggiatore” davanti a un fattorino dell’Ups. Nel migliore dei casi, una frase fuori luogo.

P.S
Tra i pochi e selezionati link ci sono il blog di Gianfranco Micciché e quello di Fabio Granata che, pur essendo gestiti dalla stessa azienda informatica, non hanno ricambiato il favore (il link). Vedrete che rimedieranno oggi stesso…

La miopia della vecchia politica

politica miope

Trascinandosi da una crisi a una polemica, da una verifica a un rimpasto, da una spremuta di nulla a un dibattito sottovuoto, il governo della Regione siciliana, tenuto al guinzaglio da Raffaele Lombardo, è ormai un esempio disastrosamente efficace di politica fine a se stessa (cioè inutile, anzi irritante).
Tra bracci di ferro coi “lealisti” e reiterate dichiarazioni di intenti, la piccola casta di deputati e assessori regionali sta riuscendo in una sola impresa: guadagnare un pozzo di soldi senza fare assolutamente nulla.
Già da tempo la paralisi amministrativa della Regione è riuscita a mettere d’accordo industriali e sindacati, ricchi e poveri, don Camilli e Pepponi.
Immaginate un’azienda, magari quella in cui lavorate voi, che si blocca per anni a causa di una diatriba tra il capo e gli impiegati, o tra colleghi.
Impossibile, vero?
Invece alla Regione tutto può accadere, perché il senso di impunità di un certo potere è direttamente proporzionale alla pochezza degli uomini che lo incarnano.
E’ penoso assistere quotidianamente al pavoneggiarsi sui media dei politicucci che parlano il linguaggio vetusto dei “pastoni” parlamentari.
Del resto c’è tanto, troppo, di stantio in quell’ambiente: i personaggi (non tutti ovviamente), i modi di pensare, la furbizia banditesca, l’incoscienza, i privilegi immeritati. Se la storia si nutre di ciò che è antico e sputa ciò che è vecchio, abbiamo la certezza che di questa gente non resterà nulla nella Memoria (notare la maiuscola).
Ieri, a ora di pranzo, una esponente del Pdl, “lealista” ingioiellata, blaterava in tv di “interesse dei siciliani”.
Se anziché da un’asta portamicrofono ambulante, la signora in questione fosse stata intervistata da un giornalista appena mediocre, ci sarebbe stata la possibilità di spiegarle qual è l’interesse reale dei suoi concittadini: quello di sentirsi governati da gente che lavora.
Punto.
Non passa giorno senza che la guerra di potere consumi metri quadrati di comunicati, tacchi di portaborse e tasti di telefonini. Se fosse un film dei Monty Python, Palazzo d’Orleans sarebbe una barca che incrocia la rotta di Palazzo dei Normanni, con arrembaggi e cannoneggiamenti. Nella realtà la barca c’è, ma sta per affondare. Anche il cannoneggiamento c’è. Ma di minchiate (pardon!).

Responsabilità

Dopo il test antidroga, ai deputati regionali non restano che le attenuanti generiche.

Per “Viola” non si è al verde

Viola di Mare

Oggi a Roma, si presenta il film “Viola di mare“, prodotto dalla messinese Maria Grazia Cucinotta. La Regione, che ha finanziato l’opera, ha invitato i giornalisti siciliani nella Capitale pagando spese di viaggio, vitto e alloggio.
Sarebbe stato un miracolo se la Regione avesse colto l’occasione per risparmiare qualche euro, magari evitando di cacciar fuori moneta per ospitare quelli che devono giudicare il prodotto (che godono regolarmente di uno stipendio e lavorano per aziende che possono consentirsi di pagare trasferte, sempre che ne valga la pena). Anche perché dopodomani l’opera sarà presentata a Palermo dal regista e dagli attori: evidentemente alla Regione le manifestazioni a chilometro zero non piacciono.

Regionali, formazione, costi

L'illustrazione è di Gianni Allegra
L'illustrazione è di Gianni Allegra

La rubrica dei numeri è adesso su I love Sicilia. Ecco uno stralcio di ciò che trovate in edicola questo mese.

Dipendenti regionali della Lombardia: 3.700

Dipendenti regionali della Sicilia: 20.989

Di cui col ruolo di dirigente: 2.089

Che dovrebbero essere ridotti, secondo i parametri ministeriali, a: 237

Costo annuale, in  euro, della struttura burocratica regionale per ciascun siciliano, nel 2008: 212

Nel 2007: 194

Variazione di spesa, in euro, per la formazione professionale in Sicilia nel 2008 rispetto all’anno precedente: + 60.000.000

Variazione percentuale del numero dei corsi: -18

Variazione percentuale del numero di iscritti: -30

Costo, in euro, di un corsista al contribuente: 9.391

Numero di corsisti per singolo corso che trovano lavoro: 1,5

Giornalisti sulla carta (moneta)

Questi 608.000 euro ci consentono di sopravvivere, non di vivere. È per questo che agli iscritti chiediamo un contributo annuale di mille euro, diversamente non riusciremmo a pagare tutte le spese

Parola di Nicola Malizia, coordinatore didattico dell’Istituto superiore di giornalismo di Palermo, una simpatica istituzione, finanziata dall’altrettanto simpatica Regione, in cui si lavora sodo per non sfornare neanche un giornalista. Insomma, come una salumeria gestita da vegetariani o come una banca diretta da un cleptomane.

Azzeramento

Azzeramento

di Vittorio Pasticcino

Fumate tre sigarette in una stanza e ci sarà puzza di fumo. Fumatene cinquanta e ci sarà tanfo. E il tanfo entra nelle vene in un attimo. Sono qui seduto davanti a un nuovo direttore di un assessorato regionale siciliano che vuole creare il partito del Sud di cui sentivamo il bisogno.
Ha meno anni e molti più soldi di me. Era del partito democratico. Poi è stato di Forza Italia. Adesso è dell’Mpa.
Sono qui dopo cinquanta telefonate. Per un’udienza papale serve molto meno.
In mano ho la bozza di una norma che, se approvata dall’Assemblea regionale alleggerirebbe il carico burocratico di una vasta categoria produttiva. Il tanfo mi abbraccia le corde vocali  e con una voce sempre più rauca dico: “Dal punto di vista tecnico la bozza sembra essere perfetta in quanto realizzata con il contributo del suo predecessore”.
Avessi detto che sua madre era una escort e alleggeriva le pene di qualche uomo politico l’avrei offeso meno. Avessi detto che sua sorella era una escort con il vizio di filmare e fotografare l’attività ludica di qualche uomo politico l’avrei offeso meno.
“Mio caro dottor Pasticcino, lei continua a dire che questa norma è stata fatta dal mio predecessore. Ma lei sbaglia, perché forse lei non ha ancora compreso che tutto ciò che c’era prima è visto come fumo negli occhi da tutti. Vede, mio caro dottor Pasticcino, se lei continua a dire così c’è il rischio che questa norma rimanga una bozza. Non lo dica più la prego. E non perché io abbia qualcosa contro il mio predecessore, persona degna che io stimo molto, ma perché lei deve capire che l’azzeramento è azzeramento”.
Gli stringo la mano ed esco.  Oggi ci sono 40 gradi e spero che il tanfo evapori insieme alla mia voglia di continuare a rimanere una persona civile in una terra che azzera anche le speranze.

Il buffone Strano

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Il governatore della Sicilia, Raffaele Lombardo, ha scelto l’eccellenza per infoltire la sua giunta. Il nome che spicca è quello dell’ex senatore di An Nino Strano, celebre soltanto per un suo picco di volgarità.
Cari amici, parliamoci chiaro: quali sono i meriti di un simile personaggio? Perché io/noi dobbiamo sentirci rappresentati da un simile buffone (perché da buffone si è comportato in Parlamento, e senza scusarsi)?
Scommetto che nessun giornale chiederà a Lombardo il motivo di questa sua scelta inaccettabile.