Peli e destini

Questa storia parte da una cosa che potrebbe risultare un po’ schifosa. Una cosa che riguarda i peli umani. Passiamo la vita a odiarli o a rimpiangerli, a coltivarli o a sperimentare intrugli per debellarli. Dipende dalla zona del corpo in cui si trovano (è chiaro che in testa sono più preziosi che altrove) e soprattutto dall’età in cui ci poniamo il problema. Perché col tempo i peli migrano dai luoghi in cui sarebbe consono che dimorassero a posti impensati e francamente sgradevoli.

Il punto è il tempo che passa. Anzi l’effetto del tempo che passa.

C’è una bella frase di Peter Høeg, un autore che mi piace, ne “I figli dei guardiani di elefanti”: “Non è mai troppo tardi per avere un’infanzia felice” (ve ne parlai qui). Rende l’idea di una circolarità delle emozioni che questi tempi duri hanno soffocato. Perché, non è solo un gioco di parole, il tempo risente dei tempi e, ovviamente, viceversa.
Il problema è quello di un’immaginazione inquinata da una situazione estrema e omologante come quella dell’emergenza che ci ha costretti per due anni a una prigionia non soltanto fisica. Ma è anche uno stallo di percezione che fa parte del nostro divenire, credo dall’alba dei secoli.
Ciò che ci affascinava, oggi magari ci fa schifo. Ciò che ci abbagliava, oggi magari è invisibile. Ciò che ci era indifferente, oggi magari ci manca da morire.
Sarebbe anormale che così non fosse giacché l’immutabilità non è di questo mondo terreno, e per quello che so manco degli altri nei dintorni.
È l’inganno delle nostre percezioni che ci spinge all’errore.
Pensiamo all’amicizia come a un valore pressoché assoluto quando è provato che alla base c’è sempre uno scambio di qualcosa (che sia emozione, sentimento, convenienza o altro è un dettaglio che attiene alla nostra fortuna), quindi siamo nel campo del più che relativo.
Dell’amore si dice che quello vero è “per sempre”, mentre magari è proprio quello surrogato e complicato che non morirà mai nell’intimo del nostro cuore (e il mio, come vi dissi, è un cuore bonsai quindi è tutto più complicato e noioso). Quel lavoro sul quale avevamo puntato tutto si rivela, dopo anni di sacrifici, un alibi per non pensare ad altro: abbiamo bisogno di “cause di forza maggiore” per sfuggire alle debolezze, alle nostre cause di comprovata forza minore insomma. Ogni volta che facciamo un favore confidiamo nel fatto che, chissà, un giorno venga ricambiato, mentre ci dimentichiamo che noi prestiamo (e il favore si configura più o meno cinematograficamente come un prestito) ciò che ci possiamo consentire di perdere (e così il favore diventa regalo e fine delle scocciature).

Insomma quello che potrebbe sembrare un festival delle illusioni, è invece una plausibile celebrazione della realtà.
Il fraintendimento è di casa sui social, un po’ meno qui per fortuna, poiché la tendenza superficiale a dover spalmare tutto su un’unica fetta da addentare (il social è una tartina con mille ingredienti da ingerire simultaneamente, alimenta bulimia e non sa di nulla) crea spesso imbarazzanti corto-circuiti tra chi scrive e chi legge. Se uno scrive di amore è iscritto al filone dei depressi. Se uno scrive di aperitivi a quello degli alcolizzati. Se uno scrive di libri a quello degli sfigati. Se uno scrive di politica a quello dei simpatizzanti del regime. E così via.

La verità è molto diversa, per fortuna. Basta imparare a non rompere i coglioni agli altri quando non abbiamo il coraggio di tirare fuori i nostri.
Viviamo una crisi di emozioni genuine, quelle che si sussurrano o si urlano a seconda dei casi (qui un link d’epoca illuminante). Quelle per le quali non c’è vergogna né a dirle né a subirle. Le emozioni degli altri si rispettano, le nostre anche no: ad esempio la debolezza altrui possiamo biasimarla, la nostra possiamo tranquillamente maledirla.

Tutto cambia, tutto deve cambiare altrimenti sarebbe la sagra della noia. Ciò che l’appiattimento di questi anni ci ha tolto è la consapevolezza che non si cambia solo “per uscirne migliori”, la più grande panzana del millennio, ma anche (e soprattutto) per rimanere se stessi: ecco perché non è mai troppo tardi per avere un’infanzia felice.

Tempo sprecato

È tempo sprecato quando

Ti fai raccontare un film anziché vederlo
Ridi per battute seriali
Credi di essere utile per risolvere questioni inutili
Credi di essere inutile per risolvere questioni utili
Trascuri la prima impressione
Ti fidi del consiglio dello chef
Dai facendo finta che non ti interessa essere ricambiato
Voti a sinistra per fede
Immagini di poter mantenere più di quanto hai promesso
Confidi nell’amicizia da polpastrello
Quel polpastrello ti prude e tu non scrivi
Bevi vino al di sotto dei dieci euro
Credi che il dolore riempia un vuoto
Credi che un vuoto sia nato per essere riempito
Usi l’amicizia come surrogato dell’amore
Pretendi dall’amore la duttilità dell’amicizia
Ascolti la nuova musica italiana aspettandoti che sia nuova e italiana
Ti dimentichi che esistono ancora in vita Pat Metheny e Gino Vannelli
Cestini un libro per sentito dire
Pensi che un passo indietro sia una sconfitta
E che un passo avanti sia un progresso (anche davanti al baratro)
Preghi al momento del bisogno
Inganni la cronaca con l’invenzione
Dai più attenzione alle vecchie foto che allo specchio
Ti fidi troppo dello specchio
Usi i tuoi problemi come passepartout
Cedi al fascino delle cose facili
Pensi ai tuoi guai come ai guai dell’universo mondo
Ti guardi indietro e ridacchi per le sventure dei tuoi nemici
Non fuggi quando dovresti farlo senza ritegno.

Per quanto tempo è per sempre?

insiemeCome i lettori più affezionati (nonché pazienti) sanno, sono affascinato dallo scorrere del tempo. I maligni dicono ossessionato, ma va bene così. Diciamo che sono particolarmente attento al divenire e alle tappe del cambiamento. Da un lato mi piace che le cose cambino, dall’altro mi fa incazzare che cambino senza chiedere permesso.
A questo penso in questi giorni, in prossimità sempre più cruciale di vari eventi personali (compleanni, ricorrenze affettive, dieci anni di questo blog, eccetera). E ci penso cercando di darmi una regola, un minimo manuale interiore che mi tenga lontano dal trappolone della nostalgia del cinquantenne ex capellone, ex atleta, ex rockettaro, ex giovane insomma.
Probabilmente rimarrò prigioniero di una logica costruita ad hoc, come un abito sartoriale che inguaina e non nasconde, oppure chissà mi scoprirò piacevolmente ingenuo a coltivare nuove speranze, perché le speranze vanno curate come piante delicate, salvo dimenticarsi che con qualunque cosa le nutriate, vanno per i fatti loro (tipo la vite americana che mi regalò mia madre per il balcone e che sparava i suoi tralci in tutte le direzioni tranne che sul balcone stesso). Di certo starò attento a festeggiare il festeggiabile poiché non c’è mai un motivo per non brindare a una sopravvivenza. Che sia di una cosa o di una persona poco importa, sono per le torte di non compleanno e per quel genio di Lewis Carroll che fa chiedere ad Alice “per quanto tempo è per sempre?” e che fa rispondere il Bianconiglio “a volte, solo un secondo”.

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Riservato a chi odia perdere tempo

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Odio perdere tempo. E’ un sentimento, questo dell’irritazione crescente per il tempo sprecato, che è venuto fuori soprattutto negli ultimi anni. Probabilmente perché intorno ai cinquanta inizia un conto alla rovescia e allora si guarda alle cose con più attenzione.
Ho imparato che la perdita di tempo è sempre in agguato e non ha nulla a che fare con l’ozio, che invece è un modo affascinante di usare il tempo senza agguantarlo. E soprattutto mi sono accorto che è un nemico dai mille travestimenti.

Eccone qualcuno.

Una cena con cibo scadente: meglio un panino e una birra, e tempo in più per un’altra birra…

Una partita di calcio noiosa: meglio un libro.

Un libro noioso: meglio una partita di calcio noiosa.

La ramanzina di un capo che non stimate: e lì l’antidoto si chiama incoscienza.

La ricerca spasmodica del consenso: nell’inutile attesa di un applauso i minuti possono pesare quanto ore, mesi, anni…

Svegliarsi presto la mattina se siete di malumore: senza l’oro in bocca, il mattino rischia di esporre altri orifizi meno interessanti.

Andare a letto presto se siete di buonumore: il sonno è una perdita di tempo quando si ha voglia di fare altro.

Cercare di riparare qualcosa che si è rotto per la seconda volta: in certi casi il bricolage è una pericolosa forma di onanismo.

Una lite coniugale quando non evolve verso la separazione definitiva: tanto inutile quanto nociva.

Un programma di Maria De Filippi: uno qualsiasi.

Serie tv, tutto quel tempo trascorso sul divano

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Quanto tempo si passa davanti alla tv per gustarsi una serie di successo? La Nielsen ha fatto il calcolo. In pratica solo per 24 e Lost qui a casa Palazzotto siamo rimasti imprigionati per dieci giorni.

Maratona, il record prossimo venturo

Siccome questo blog è letto da molti runner, segnalo questo articolo molto interessante sui numeri futuri della maratona, anzi dei maratoneti. Si riuscirà a scendere al di sotto delle due ore?