Come i lettori più affezionati (nonché pazienti) sanno, sono affascinato dallo scorrere del tempo. I maligni dicono ossessionato, ma va bene così. Diciamo che sono particolarmente attento al divenire e alle tappe del cambiamento. Da un lato mi piace che le cose cambino, dall’altro mi fa incazzare che cambino senza chiedere permesso.
A questo penso in questi giorni, in prossimità sempre più cruciale di vari eventi personali (compleanni, ricorrenze affettive, dieci anni di questo blog, eccetera). E ci penso cercando di darmi una regola, un minimo manuale interiore che mi tenga lontano dal trappolone della nostalgia del cinquantenne ex capellone, ex atleta, ex rockettaro, ex giovane insomma.
Probabilmente rimarrò prigioniero di una logica costruita ad hoc, come un abito sartoriale che inguaina e non nasconde, oppure chissà mi scoprirò piacevolmente ingenuo a coltivare nuove speranze, perché le speranze vanno curate come piante delicate, salvo dimenticarsi che con qualunque cosa le nutriate, vanno per i fatti loro (tipo la vite americana che mi regalò mia madre per il balcone e che sparava i suoi tralci in tutte le direzioni tranne che sul balcone stesso). Di certo starò attento a festeggiare il festeggiabile poiché non c’è mai un motivo per non brindare a una sopravvivenza. Che sia di una cosa o di una persona poco importa, sono per le torte di non compleanno e per quel genio di Lewis Carroll che fa chiedere ad Alice “per quanto tempo è per sempre?” e che fa rispondere il Bianconiglio “a volte, solo un secondo”.
E allora forse questa è la via d’uscita: nell’ossessione dello scorrere del tempo, sdoganare il secondo, “solo un secondo”. Il che ci può spingere a valorizzare i nostri pigri martedì sera sul divano, i nostri pasti anonimi davanti alla tv, le nostre sterili ripicche, i nostri sonni senza una buonanotte.
Non sono un esperto divulgatore del sentimento, ma l’amore è un discreto doping nelle gare tra chi sopporta meglio lo scorrere del tempo. Nel mio piccolo so che per pensare in grande bisogna essere almeno in due, e complementari. La vita come una staffetta più che come lo scatto di un centometrista.
Pare che se non si sono commessi errori irreparabili, ci sia sempre un’uscita di sicurezza che ci porta lontano dalle nostre insicurezze. Il problema è che spesso è nascosta nel buio di un egoismo che ci fa sentire peggio degli altri quando invece dovremmo andarli a cercare, quegli altri che stanno davvero peggio di noi. E portarceli a cena. E spiegargli che non serve essere Alice nel Paese delle meraviglie per avere speranza perché c’è, ci sarà, un Bianconiglio anche per loro: basta fare la domanda giusta. Che non è “quando finirà questa seccatura?”, ma inesorabilmente: “Per quanto tempo è per sempre?”.