L’Italia carogna di Genny ‘a carogna

Jenny a carogna

Funziona così in un paese che si fa forte coi deboli e che lecca gli stivali agli arroganti. Uno, un giocatore, un funzionario pubblico, va a trattare con un delinquente per far sì che una partita di calcio possa iniziare, che gli ostaggi di uno stadio – che rappresentano una nazione intera – possano riprendere a respirare. Inutile dire che dovremo aspettare un’altra vita, giacché non c’è più speranza in questa, per provare l’emozione di vivere in un mondo ben sincronizzato, in cui se gli ultras di una squadra mettono a ferro e fuoco uno stadio e addirittura una città, non solo la partita non si gioca, ma la squadra se ne va a raccogliere margherite per qualche anno.
I discorsi alla melassa secondo i quali la moltitudine onesta non può pagare le colpe di un ristretto gruppo di monellacci dovrebbero valere non per i tifosi di quella squadra – che ha comunque una singolare concentrazione di malavitosi tra le sue file – ma per i cittadini di una nazione che non possono soggiacere ai desiderata di Genny ‘a carogna, uno che ha già un nickname lombrosiano.
In Italia lo Stato, o chi per lui, è sempre pronto a trattare per un oggetto misterioso che resta segreto ma che ha la forma della codardia. Che si tratti di mafia, di calcio, di agibilità politica, di mandanti occulti, di tritolo o di bombe carta, arriva puntuale un emissario in giacca e cravatta, o in calzoncini, o in divisa, pronto a stipulare patti da cui emerge una sola certezza: l’onesto sarà sempre un poveraccio che non conta un cazzo. Per tutto il resto basta rivolgersi a un galantuomo che si mostra al mondo con una maglietta che inneggia all’assassino di un poliziotto onesto.

Dialogo esplosivo

bombe carta

Anche perché chissà cosa risponderebbe la bomba.

Quel calcio in faccia che è un pugno nello stomaco

Foto: Grazia Bucca per Studiocamera

Mentre si discute di traiettorie di lacrimogeni, di rimbalzi fatali, di strategia della tensione, oggi a Palermo la cronaca ci ha ricordato che la violenza ha sempre due attori: quello che la fa e quello che la subisce. E che una cosa è spaccare il capello delle responsabilità e un’altra è spaccare teste. E che il calcio in faccia di oggi non può essere la vendetta per la manganellata in testa di ieri, ma è solo orrenda, abominevole violenza.

Poco servizi e molto segreti

Nell’anno 2011, in Italia, con un capo di governo che fa e dispone a suo piacimento, confortati da una carta costituzionale che è esempio per il mondo intero, il ministro degli Interni Roberto Maroni vuol farci inghiottire la prima scemenza che gli è venuta in mente per coprire le inefficienze del sistema di pubblica sicurezza.
Dice Maroni: la legge non è adeguata, i black bloc, anche volendo, non li si poteva bloccare.
Senza entrare nel merito legislativo della questione, senza cadere nella trappola dei codicilli e senza dar peso ai sofismi di un ministro furbetto ma nulla più, una cosa va detta con chiarezza: un vero Stato democratico forte non si accorge, a sconfitta bruciante incassata, che le norme non sono buone. Continua a leggere Poco servizi e molto segreti

Eletti dagli italiani

La giustificazione che, dalle parti della maggioranza, viene ripetuta in modo ossessivo appena qualcuno solleva il dubbio sulla liceità delle azioni del premier e dei suoi sodali è: “Sono stati eletti dagli italiani”. Come se il fatto di essere in carica dopo un voto democratico non escludesse la possibilità di commettere reati o di adottare comportamenti poco consoni al ruolo che si ricopre.
Una persona “eletta dagli italiani” non è migliore degli italiani, non sta al di sopra delle leggi che riguardano gli italiani. Non rappresenta nemmeno gli italiani, ma qualche italiano: ad esempio, io che non voterei mai per Dell’Utri non ripongo alcuna speranza nella sua azione politica, al contrario ho votato in modo che qualcuno possa contrastarla.
Discorso opposto per il buon gusto e l’educazione che, sì, devono accomunare tutti i deputati e senatori: la correttezza dovrebbe essere il principio fondamentale. Soprattutto per i membri del governo.
Avete visto il ministro della Giustizia lanciare la sua tessera della Camera contro i banchi dell’Idv? Avete sentito il ministro della Difesa mandare a quel paese il presidente della Camera? Che colore hanno questi gesti? Non sono né rossi, né neri, né azzurri. Sono di una tinta opaca e indefinita come la mediocrità. Perché forse, più che buttarla in politica, è il momento di arrenderci all’evidenza. Siamo governati da gente da poco. Molti di questi signori, se non fossero stati imbarcati nell’Arca della politica, sarebbero oscuri venditori, traffichini, impiegati assenteisti, pataccari da autogrill, professionisti pregiudicati. Anche se “sono stati eletti dagli italiani” li dobbiamo giustificare quando mettono i piedi nel piatto?

Il berretto rosso

Ieri sera, ad Annozero, mi ha colpito un’immagine. Era nella copertina dedicata agli scontri tra polizia e manifestanti ad Arcore. C’era un anziano alla testa del corteo, con un berretto rosso e le mani alzate. Si muoveva tra gli agenti, che – mi dispiace scriverlo – sembravano ringhiare come cani rabbiosi al guinzaglio di un padrone aizzante, e le persone che protestavano.
Sempre con le mani alzate, si è preso certe mazzate da brivido. A un certo punto l’ho perso di vista, le immagini erano confuse con gli obiettivi che sciabolavano tra manganelli e visi stravolti. Ma lui invece era sempre lì, con le mani alzate e coi manganelli addosso. Solo che non aveva più il berretto rosso.
Io quell’uomo lo abbraccio virtualmente, adesso.

Scontri di potere

Sugli scontri di Roma, come sui voti del Parlamento, occorrerà fare la tara. Ancora una volta la cronaca ci propone un’occasione per diventare storia, anche se i postumi del G8 di Genova non sono ancora stati smaltiti.
Quanto vale un deputato che cambia idea? Quanto pesa una manganellata in più in un corteo di studenti? Cosa fanno, chi sono e chi foraggia i black block quando non devastano vetrine?
Credo che anche per i comportamenti più irresponsabili ci sia una responsabilità istituzionale. Prima c’erano i servizi segreti deviati, oggi c’è una deviazione di vertice che si cimenta in opere di distrazione di massa.
Dicono che Berlusconi sia ossessionato dal legittimo impedimento, da quella norma cioè che lo salva da ogni processo fin quando resta in carica. E ciò spiegherebbe il suo patologico  attaccamento alla poltrona. Se resterà lì sarà salvo, altrimenti dovranno essere celebrati i processi.
In quest’ottica tutto assume un significato diverso. Si capisce quanto vale un deputato che ha l’idea “giusta”,  quanto pesa la manganellata che innesca la furia sbagliata, si intuisce come vengono riesumati quei pendagli da forca che si mescolano con gli studenti e che danno cibo alle mandibole affamate di Emilio Fede.
Se solo ci fosse un’alternativa potremmo dire di essere in vista della fine.