Perché vengo messo in discussione?

Ho 33 anni, ma sto bene, non ho saltato un allenamento e ho tanta voglia di giocare. Non sono dispiaciuto per le due panchine consecutive, a me dispiace che ogni anno debba sempre ripartire da zero. Non mi piace che gli altri mi dicono che sono vecchio e che posso giocare trenta minuti. Io ho sempre avuto le motivazioni giuste per scendere in campo, solo che sono state fatte delle scelte.  Perché vengo messo in discussione?

Fabrizio Miccoli, inopinato panchinaro e autore di tre reti e mezzo nel primo match vinto dal Palermo nel campionato 2012-13.

A proposito di Renato Farina

Renato Farina, il personaggio radiato dall’Ordine dei giornalisti per aver pubblicato notizie false su commissione dei servizi segreti italiani, condannato per favoreggiamento nel caso Abu Omar nonché per falso in atto pubblico dopo aver introdotto in carcere (durante una fondamentale visita a Lele Mora) una persona che non ne aveva titolo, è naturalmente anche un deputato della Repubblica: ci mancherebbe altro, con questo curriculum.
Come sapete Farina è anche il protagonista occulto, o meglio vigliacco, del caso Sallusti cioè l’autore anonimo dell’articolo incriminato. Solo l’altro giorno, dopo molti anni trascorsi a rintanarsi sotto gli impermeabili degli agenti del Sismi, il nostro personaggio ha trovato il coraggio di ammettere le sue responsabilità quando ormai la frittata era fatta.
E’ insomma uno che della segretezza storta, del trasversalismo bieco e della doppiezza, ha fatto uno stile di vita. Per questo, spulciando nella sua attività di parlamentare, mi ha colpito una delle sue più recenti interpellanze, dedicata alla pubblicazione delle carte segrete del Papa. Prendendo spunto da articoli del Corriere della Sera e del settimanale Sette, l’infarinato Farina tuona contro “tali notizie di stampa”… che “danno conto di patenti violazioni della segretezza delle comunicazioni private e della pubblicazione di documenti riservati di uno Stato amico”.
Tutto chiaro?
L’esperto della disinformazione a pagamento – perché i Servizi lo pagavano per pubblicare falsità, secondo sua stessa ammissione – se la prende con l’informazione ordinaria. E lo fa firmando un atto pubblico, in veste di rappresentante dei cittadini.
Se nessuno ancora ha il coraggio di prenderlo a calci in culo, è provato che siamo un Paese senza speranza.

Mi dispiace, non siamo tutti Sallusti

Il tam tam internettiano in difesa di Alessandro Sallusti ha toccato picchi di ipocrisia e superficialità da Guinnes dei primati. Ieri ho letto migliaia di messaggi deliranti sulla vicenda del direttore del Giornale che, lo dico apertamente, non merita di finire in carcere vivendo in un paese in cui in carcere non ci stanno più neanche i corruttori e gli assassini.
Su Twitter impazzava l’hashtag #siamotuttisallusti, e bastava scorrere i commenti per avere la prova dell’effetto deleterio delle catene di Sant’Antonio: quando si diffondono parole senza senso, la ragione vaga come una barca senza timone.
La panzana più grottesca (e purtroppo più frequente) ieri era basata sull’equivalenza tra il caso Sallusti e la libertà di stampa. Caso da manuale in cui si confonde il mestolo con la minestra: operazione che non solo è da stupidi, ma che fa anche male alla salute (provate a ingoiare un mestolo e vedrete quanto ve ne frega poi della minestra).
Il problema del direttore del Giornale è quello di aver violato la legge, legge che può piacere o meno ma questo è un altro discorso. La libertà di stampa non c’entra un tubo perché il giornalista non può mai avere garanzia di impunità per ciò che scrive, per di più sbagliando. La libertà di stampa insomma non è uno scudo contro l’irresponsabilità, ma una necessità dello stato democratico, cioé qualcosa di sideralmente distante dal privilegio di casta.
Sallusti non merita il carcere per la sopra citata questione di congruità (prima in cella ci vadano e ci restino i delinquenti, poi – ma proprio poi – si penserà ai diffamatori), ma evitiamo di fare le fiaccolate per uno che con la buona informazione, quella non asservita alle esigenze del padrone, quella che non insegue gli asini che volano, non c’entra niente.
Il caso Boffo non vi dice niente?

L’intoccabile Carofiglio

In queste ore si scatena sul web una polemica che vede protagonista il magistrato-scrittore, o viceversa, fate voi, Gianrico Carofiglio, il quale ha intentato una causa a un editor che aveva scritto del suo ultimo “Il silenzio dell’onda” (terzo qualificato al Premio Strega) le seguenti parole: “Un libro letterariamente inesistente, scritto con i piedi da uno scriba scribacchino mestierante, senza un’idea, senza un’ombra di ‘responsabilità dello stile’…”.
Due considerazioni, una di ordine generale, l’altra più specifica nei confronti dell’autore in questione.
Chiunque – che sia scrittore o recensore, lettore o editore – sa che a una critica letteraria è scontato ribattere per le rime, saggio opporre uno sdegnato silenzio, folle rispondere per vendetta con una querela.
Quanto all’autore, chiunque – che sia scrittore o recensore, lettore o editore – è conscio del fatto che lui, Carofiglio, è molto, infinitamente, benvoluto dalla critica e dalle giurie. Da dieci anni i suoi libri sono trattati come se fossero tutti capolavori: quasi impossibile trovare in giro osservazioni critiche a romanzi come “Il passato è una terra straniera” (il primo esempio che mi viene in mente) che stupiscono più per l’eco mediatica che per la sostanza.
Brutta sensazione quella del proliferare di nuovi intoccabili. Magari con tanto di immunità parlamentare. Perché, dimenticavo, Gianrico Carofiglio è anche senatore della Repubblica. Magistrato-scrittore-senatore. Speriamo che dalle querele non si passi alle interpellanze.

Ci vorrebbe un amico

Grazie a Vincenzo Marannano.

Centimetri quadrati rubati

 

Il rapporto tra carta stampata e internet secondo il Giornale di Sicilia.

 

Nicole Minetti, la forma e le forme

Dice di averlo fatto per sostenere l’economia del paese. Nicole Minetti ha sfilato in costume – molto ridotto, ed è stato un bel vedere – a Milano, ha occupato le prime posizioni delle top news, e ritiene di aver dato una mano al made in Italy.
Dopo il presidente operaio, la consigliera smutandata. E non cadiamo nei moralismi, che i moralismi hanno segnato sino ad oggi la vittoria dei calpestatori professionisti della morale.
Nicole Minetti che sfila con le chiappe al vento è la nemesi del gioco di potere Berlusconiano. Una giovincella con un passato (nascosto) che è l’opposto del suo appeal (esibito) è stata promossa a icona politica dove il passato nulla conta rispetto all’appeal. Di che meravigliarsi?
Una consigliera regionale che si spoglia e che, anche grazie alla sua carenatura, si lascia dietro una scia di sguardi allibiti non sarebbe un fatto stratosferico se a quella passerella la signorina fosse approdata dopo alcuni passi fisiologici. Ma quando a una festa in costume pubblica si arriva per via di altre decine di feste in costume private, proprio in onore di colui che di quel passaggio è unico artefice, allora bisogna rassegnarsi.
Prima nella vita pubblica si chiedeva quantomeno il rispetto della forma, oggi ci si limita alle forme.

Trasparenze

 

I barbari e i centurioni

Il segno della barbarie del centrodestra è tutto in una frase di Berlusconi: “No, così andiamo a sbattere”. Il vecchio miliardario che appesta la politica italiana ha appena stoppato le dimissioni di Renata Polverini, governatore del Lazio sommersa dalla melma di uno scandalo che farà storia. E lo ha fatto non in nome di un sincero convincimento, ma di una brutale strategia: chi ha il potere lo deve brandire sin quando non glielo strappano a forza dalle carni, in oltraggio alla giustizia e alla sete di verità.
Le dimissioni della Polverini, secondo Berlusconi, avrebbero pericolose ripercussioni su un’altra giunta di galantuomini, quella lombarda, che per spunti giudiziari merita le stesse attenzioni di quella laziale. Quindi affanculo i milioni dei cittadini buttati in cene, puttanone e grotteschi costumi da centurioni, la questione è meramente partitica e lo scacchiere su cui ci si muove non è, come pensano milioni di elettori, quello delle tentazioni più miserabili, ma quello dei sondaggi e dei punti di gradimento.
Come se rubare fosse un requisito di abilità politica ed essere scoperti un incidente di percorso.

Capelli vs tette

Filippo Facci e Selvaggia Lucarelli li leggo volentieri (pur trovandomi spesso in disaccordo con loro). Questi scambi di cortesie su Twitter me li rendono ancora più  simpatici.