Mica un calcio ar culo

Il marchese del Grillo

L’attimino fuggente

di Giacomo Cacciatore

Il premio Oscar bagherese Giuseppe Tornatore, appreso che Silvio Berlusconi ha definito “un capolavoro” il suo “Baarìa”, mostra di non apprezzare il giudizio. E, da caratterino qual è, lo fa alla conferenza stampa di apertura della sessantaseiesima Mostra del cinema di Venezia dichiarando, con tono infastidito: “Non sapevo che Berlusconi facesse il critico cinematografico”. Ora, posso anche capire che un uomo di sinistra preferisca che un complimento arrivi da un’area politica piuttosto che da un’altra. Ma sempre complimento è.  Restando in ambito cinematografico, davanti alla levata di Peppuccio l’indignato, non posso fare a meno di pensare alla battuta di Gasperino il carbonaro – alter ego del Marchese del Grillo/Alberto Sordi nell’omonino film di Monicelli – quando, di fronte a una reazione schifata dell’anziana madre marchesa che rifiuta una sua goffa effusione, esclama: “A ma’… io  te stavo a dda’ un bacio… mica un calcio ar culo!”. Ecco.
Un complimento, mica un calcio al culo.

Piange Palermo

Foto di Tony Siino, da Rosalio
Foto di Tony Siino, da Rosalio

L’attimino fuggente

di Giacomo Cacciatore

Rosalia mi perdoni, ma il festino della patrona non l’ho mai potuto digerire. E in fondo, non è nemmeno responsabilità della santa.  E’ la premessa drammatica della celebrazione che non mi esalta: i guai li risolve la provvidenza. Niente può l’iniziativa.  Cade la peste su Palermo. Le madri piangono i loro figli. Gli uomini piangono figli, madri, nonni e cugini. I più arrabbiati piangono – e basta – l’egoismo dei potenti (che cosa mai avevano promesso nelle precedenti elezioni?) che hanno mezzi e astuzia sufficienti per cercarsi squadre di cerusici che li preservino dal male nero, e ognun per sé, eccetera. Tutti quanti piangono e strapiangono nell’attesa della Santuzza che innaffi la città di benedizioni anti-peste. Intanto muoiono, si denudano il petto, boccheggiano, poetano, si contorcono, corrono senza direzione.  Nella proverbiale Oslo, sarebbe saltato fuori un medico benefattore della collettività che avrebbe cavato un antidoto da una muffa. Un santuzzo.  A New York, avrebbero prima costituito un gruppo di scienziati no-profit impegnati a lottare contro l’epidemia e spodestato sindaco o presidente marrani. Uno staff di santuzzi.  Poi, a cose fatte, avrebbero pianto. E pregato. A Palermo, persino nelle favole antiche, si tiene conto della più archetipica risorsa del siciliano: l’assistenzialismo, più o meno disatteso. Cammarata, distratto com’è,  ha fatto male a non salire sul carro. La Santa c’entra pochissimo con i lazzi i frizzi e i palloni della notte del quindici luglio. I veri protagonisti del festino sono quelli come lui.

Mai più cool

piazza marina palermo

L’attimino fuggente

di Giacomo Cacciatore

Non esco mai il sabato sera a Palermo. Ieri ho scoperto ancora una volta perché, e mi sono dato ragione per sempre. Appuntamento con amici alla presentazione del nuovo libro di Salvo Toscano. Villa Filippina è un bel posto, l’angolo bar sponsorizzato dalla rivista I Love Sicilia gradevole, i camerieri gentili. C’è anche il fatto che sono le otto meno un quarto. Il sabato in città, quello delle resse ai ristoranti e delle sgommate ubriache, è ancora lontano. Si ragiona, si respira. E si benedice la coazione a ripetere dei festaioli di fine settimana: prima delle nove e mezza non si mette piede fuori di casa. Non è cool. Prossima tappa: piazza Marina. Qui, cambio d’umore. Uno dei posti più cool di Palermo. Nel mio vocabolario: automobili che ti pestano i piedi, posteggiatori con l’indole di don Vito Corleone e cibo da mensa aziendale, data l’affluenza di pubblico. Facciamo un salto a Villa Garibaldi. C’è una manifestazione di giovani alternativi. L’atmosfera è quella triste di una festa dell’Unità liofilizzata. In un gazebo proiettano “Buena vista social club”. Spettatori: il proiezionista. Canta un gruppo Peruviano. O forse Cileno: non lo so, indossano il costume tipico. Capisco perché la sinistra perde le elezioni.  Climax: una pizzeria molto gettonata all’angolo della piazza. Gettonata senza nessun motivo al mondo, avrò occasione di dirmi a fine serata. Il cameriere si offende se uno gli chiede gli ingredienti di una pietanza. Si offende quando un mio amico cerca di stemperare la tensione (dovuta a che? Stai facendo il tuo lavoro!) con una battuta leggera. Si offende quando gli facciamo notare che aspettiamo gli antipasti da due ore e quelli al tavolo accanto al nostro, arrivati dopo, sono già al dessert. Un mio amico giornalista si alza, offeso lui, finalmente. Chiama a gran voce il padrone, minaccia di andarsene. Il padrone si offende a sua volta, malamente. Si arriva alle parole grosse. Il proprietario della pizzeria è quello che le spara più grosse, svelando così da chi ha imparato il cameriere a maltrattare i clienti: da lui. Lungi dall’ammettere che gestire un locale non è cosa sua, la butta sul piano personale.  Il nostro amico avrebbe osato lamentarsi perché è un giornalista del tg 3. Sentendosi un divo comunista, pretende di non essere trattato a pesci in faccia. Insomma, un raro esempio di arroganza. L’amico giornalista se ne va. Dovremmo farlo tutti, ma arrivano le pizze.  Il proprietario condisce la sua brillante ospitalità con un tocco di grazia: si avvicina a me e dice dell’assente che “gli stava sui coglioni”. Si aspetta solidarietà. Stavolta mi offendo io. Mastichiamo antipasti (pessimi) pizze (sbagliate) e offese. Paghiamo. Ci hanno fatto uno sconto, ma su un prezzo gonfiato. Vengo a sapere che la pizzeria è del fratello di un militante storico di destra passato disinvoltamente al pd. Non ci faccio caso: non mi piace che le colpe della politica ricadano sulle gestioni delle pizzerie. Però non liquido troppo presto le mie riflessioni in merito.  Comunque, giuro a me stesso: mai più di sabato. Mai più lì. Mai più cool.

O forse no

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Manifesti a Palermo, fotografati da Giacomo Cacciatore.

Piombini

Questo commento di Giacomo Cacciatore vale la pena di essere (ri)letto.

L’eversivo di turno

di Giacomo Cacciatore

“Napolitano convoca Alfano. Stop al ddl sulle intercettazioni. ‘Se non cambia non lo ‘firmerò'”. (fonte: la Repubblica.it).
Giochino: quanto ci metterà Berlusconi a dare dell’eversivo (e forse di peggio) al Presidente della Repubblica Italiana?

Il sole dell’avvenir

Debora Serracchiani

L’attimino fuggente

di Giacomo Cacciatore

Qualche tempo fa l’ormai necessario Marco Travaglio così chiosava, più o meno, in uno dei suoi interventi video sul blog “Voglio scendere”: “Berlusconi forse cadrà per una escort, ma ho l’impressione che, come al solito, salterà fuori un salvagente rosso pronto a salvarlo. E’ successo ogni volta che il cavaliere ha rischiato il tracollo: c’è sempre stata una croce rossa di sinistra che gli è accorsa in aiuto, risollevandolo per il rotto della cuffia”.
Non so se Travaglio si riferisse all’inveterata passione per il “facciamoci del male” della nostra opposizione (che tale è rimasta, anzi opposta a se stessa, anche quando le è capitato di essere maggioranza). Probabilmente sì. O probabilmente accennava a scenari ancora più oscuri, kafkiani, sui quali preferisco sorvolare, per ignoranza storica e ingenuità politica (sono un piccolo stagionato Serracchiani anch’io?).  Ma una cosa è certa: il “facciamoci del male” del Pd (ex Pci? ex Quercia? Ex Veltroni team? Ex che cosa? Ex chi più ne ha più ne metta, visto che se ne è perso il conto) è un dato di fatto. Per il semplice motivo che nessuno, a sinistra, fa nulla per nasconderlo. Anzi, se ne fa splendida esibizione appena si può. E con un tempismo, un gusto per la precisione, che farebbe invidia a una squadra di circensi bulgari alle prese con birilli e bottiglie e patate bollenti.
L’ultima trovata del “pasticcionismo” dell’opposizione è lo scisma Franceschini/Bersani in previsione del consolidamento di un partito che ha ancora la consistenza di un ectoplasma. Viene da dire: che c’è di nuovo? Nulla. O meglio, impressiona, ancora una volta, il masochismo a orologeria di questa gente. Il talento senza pari nel fare la mossa più sbagliata al momento giusto (per la maggioranza). In un’Italia che si sta spostando sempre più verso il voto di protesta (lo testimoniano gli exploit di Idv e Lega alle ultime europee);  in un paese che sta lentamente, dolorosamente, sostituendo i fischi agli applausi; davanti a una popolazione che comincia a boccheggiare, in debito d’ossigeno, invocando maggiore dignità in chi governa o andrà a governare, il Pd litiga ancora una volta sui busti da presentare, sulle tradizioni da rispettare, sulle identità da conservare e quelle da mettere nel dimenticatoio. Sulla gestione del potere che ancora non ha, insomma. Con l’aggiunta di un capro espiatorio, stavolta. Quella Serracchiani che, colpevole di una battuta infelice e innocente (“Sostengo Franceschini perché è simpatico”) è stata subito declassata a quasi-Noemi. Massacrata e avvolta in un sudario di bandiera rossa dal “vecchio” che non solo non avanza, ma sta fermo lì dov’è, monolitico, accidioso, indifferente al mondo che gira intorno.
Il sole dell’avvenir splende solo nei canti di piazza. Nel Pd, pare che faccia male agli occhi dei più anziani.

Alberoni di Francia

L’attimino fuggente

di Giacomo Cacciatore

Non so voi, ma la prima cosa che ho pensato quando ho letto questo articolo di Bernard Henry Lèvy su Michael Jackson è stata: “Tanto per scrivere qualcosa”.
Anche la Francia ha il suo Alberoni?

Una storia italiana

Silvio Berlusconi da "Chi"
Silvio Berlusconi da "Chi"

L’attimino fuggente

di Giacomo Cacciatore

Il premier invoca (anzi, pretende, con i modi morbidi con i quali sa pretendere) la riservatezza sulla sua vita privata. Ringhia al distinguo tra l’uomo e il politico, due identità separate che quei dannati comunisti stanno cucendo insieme – ad arte e a suo danno – come novelli Frankenstein, nel loro laboratorio segreto in via Cristoforo Colombo in Roma: una sentina chiamata “La Repubblica”, calderone di veleni della volontà popolare. Lo conforta la presenza di un Igor venduto alla sua causa, tale Minzolini. Insieme ad altri e più scontati automi: Cicchitto, Ghedini, Capezzone (quest’ultimo frutto di un esperimento di politica “frankensteiniana” a sua volta).
L’uomo è una cosa. Il politico un’altra. Certo. Però io ricordo di aver ricevuto anni fa a casa mia (e di mia madre) un opuscolo intitolato “Una storia italiana”. Vi si raccontava la vita di Silvio Berlusconi, con uno stile a metà strada tra i giornaletti di Dianetics (non so perché, ma pensai immediatamente alla celebre istantanea di Ron Hubbard con il cappello da ammiraglio sul ponte di una nave) e i dépliant delle agenzie immobiliari. Non c’era una pagina, in quel giornalino di propaganda, che non avesse un taglio personale, e dunque potenzialmente privato;  non un rigo o una fotografia che non contenesse informazioni sull’uomo, sulla sua famiglia, sulla sua origine e sulla sua ascesa, sui fiori che gli piaceva avere in giardino; tutto in previsione di un culto che sarebbe stato. Lo usai, stupido io, come lettiera per il gatto: la stessa sorte che riservo a “La torre di guardia” e alle pubblicità dei discount. Chi lo avesse conservato, se lo tenga stretto. Potrebbe essere un argomento di conversazione per una cena in piedi. Magari in presenza di qualche fedele del cavaliere, che insista: l’uomo è una cosa, il politico un’altra.

Sogno o son mesto?

L’attimino fuggente
di Giacomo Cacciatore

Ho fatto un sogno.
Un paese libero da Libero e da Feltri.
Un paese in cui a Cossiga, invece di lettere aperte sui giornali, diano una pacca sulla spalla, una caramella al miele e un bacetto della buonanotte.
Un paese in cui “intellettuale” o “istruito” sia una definizione di vanto e “coatto” una di demerito, e non viceversa.
Un paese in cui un capo dello stato sappia dire cose come “siate padri migliori se non perfetti” e non ” farò piazza pulita dell’immondizia dei giornali di sinistra”.

Mi sono svegliato, ho letto il giornale e mi sono detto: ma che cavolo di sogno.