La lezione di Zeman

Ieri sera ho visto Zdenek Zeman a Che tempo che fa? e ho avuto un banale, scontato, meraviglioso attacco di malinconia.
Trenta e rotti anni fa Zeman è stato il mio allenatore di pallamano, a Palermo: dirompente lui, irrilevante io (durai niente in quella squadra e in quello sport).
Ricordo la sua fissazione per la preparazione atletica: una sera mio padre venne a spiare gli allenamenti serali (era inverno) e rimase scioccato per quanto questo signore ci faceva correre, scattare, in lungo e in largo per il campo.
Un’altra volta alcuni teppisti cominciarono a tirarci le pietre dal cavalcavia sotto il quale ci allenavamo. Avevamo 13, 14, 15 anni e un po’ ci spaventammo. Lui, Sdenko, ci intimò di rimanere dove eravamo, raccolse le pietre e le scagliò contro quei misteriosi teppisti. Ho bene in mente ancora le grida (ahi! azz! minch!) che arrivarono dal cavalcavia. E ricordo anche che, “restituita” l’ultima pietra, lui ci ordinò: dieci scatti andata e ritorno, ora!
Ieri sera l’ho rivisto con la nostalgia che riservo alle grandi occasioni: musica, letteratura, certi fenomeni sociali.
Zdenek Zeman parla ancora come parlava trenta e rotti anni fa. “Tu ci dai la palla a lui, lui ci dà la palla a lui, lui ci tira la palla a lui…”.
Se a 48 anni riesco a essere ancora uno sportivo praticante, seppur dilettante, so chi devo ringraziare: uno che fuma come un turco e che insegna agli altri come si corre.

Il premier che tocca ferro (e altro)

In merito a quanto riportano erroneamente alcune agenzie di stampa, il Presidente Silvio Berlusconi si è ben guardato dall’esprimere un pronostico sullo scudetto al Milan anche per evidenti ragioni scaramantiche.

Comunicato stampa di Palazzo Chigi.

Ogni picchiatore è bello a mamma soia

Da Corriere.it.

Inter contro Inter

Oggi l’Inter gioca a Palermo. Repubblica.it fa un bellissimo e completissimo articolo dove riesce a non dire una sola parola dei rosanero.

Grazie a La contessa.

Gentile presidente Zamparini


Il vero problema di una squadra è – bisognerebbe ricordarsene quando le cose non vanno bene – l’amministrazione.
Un allenatore fa quello che può, frigge con l’olio che ha (ad eccezione di Walter Zenga che col Palermo usava olio adulterato con la sua presunzione, ma quella è triste storia).
I rosanero oggi hanno un enorme problema: il presidente Zamparini, che ha confuso la squadra col suo conto titoli.
Il discorso è semplice. Se uno cerca il profitto economico fa un mestiere, se uno cerca di far quadrare i conti e le classifiche ne fa un altro.
Maurizio Zamparini ha fatto una non scelta.
E le conseguenze si vedono.
Con una squadra ridotta a incubatore di neonati dalle gambe d’oro. Con un allenatore che raschia il fondo del barile per imbastire una formazione presentabile. Con i risultati che sono la migliore testimonianza del peggiore Palermo. Con un pubblico che rischia di veder implodere il proprio entusiasmo.

Presidente Zamparini, i risultati sono contro di lei e contro nessun altro.
Ne prenda atto e corra ai ripari, per quel che una tifoseria e una città meritano.

Il calcio privato

Pare che la Lega Calcio, l’organismo più resistente all’evoluzione millenaria dopo gli squali, le tartarughe e una rara specie di lepidottero che vive sul versante sudest della seconda discesa a sinistra della prima porzione orientale della Papuasia, abbia deciso di vietare ogni forma di testimonianza umana delle partite, eccezion fatta per Sky, Rai (“Quelli che il calcio”, cioè la trasmissione che meno si occupa di calcio tra le trasmissioni sportive) ed eventuali network milionari.


Ciò significa che tutte le tv private perderebbero trasmissioni di punta, audience e spunti commerciali.
Sono un abbonato Rai, sono anche abbonato a un network privato: insomma pago tutto quello che c’è da pagare per vedere poche ore di tv all’anno. Per il calcio pago qualcosa in più, anche se io vorrei andare allo stadio, ma mia moglie (tifosa pure lei) ha un debole per la tribuna cuscinata del divano di casa.
Però un campionato senza i salottini delle tv private, senza la passione di telecronisti nostrani che farebbero quel mestiere anche gratis, senza il tifo verace che i media blasonati ci negano, senza il sudore vero che è il contrario di quello che appare prima e dopo il superspot, un campionato così io non me lo immagino.
Quella che la Lega calcio ha in mente è una competizione che si allontana, istante dopo istante, dalla gente, dal substrato del tifoso. E’ un modello che è sempre più Balotelli (un giocatore che se ne infischia del pubblico pagante della sua squadra, cioé di chi gli dà lo stipendio) ed è sempre meno Miccoli (uno che sceglie di rimanere in una piccola società pur di mantenere il piccolo scettro di piccolo re, anche a discapito dei guadagni).
La Lega Calcio è l’organo infetto di un Paese malato, dove neanche il divertimento si discosta per un attimo dalla logica del profitto sempre e comunque, dove la monetizzazione parte col primo applauso dell’ultrà borchiato e termina con l’ultimo sorriso di plastica di Simona Ventura.
Se fossi in campo saprei io contro chi scagliare la pallonata definitiva.

Una noia mondiale


Credo che questi mondiali di poco calcio e di molti sbadigli possano essere archiviati senza rimpianti.
Una finale noiosa ha certificato lo stato di salute del football mondiale, una specie di animale con uno stomaco ipertrofico e le zampe corte.
Qual è la morale? Vincono le pochissime squadre che scommettono sui giovani, e non è poi una grande scoperta. Solo il nostro Lippi aveva la presunzione non dico di vincere ma di giocare con una formazione in avanzato stato di decomposizione.
Mi pare, ma posso sbagliare, che il calcio planetario sia in overdose di tecnica e di strategia: insomma è sempre meno sport e, quel che è peggio, è sempre meno giocato sul campo. Gli schemi prevalgono sull’inventiva, la moltiplicazione di telecamere ci dice tutto su ogni singolo filo d’erba ma non può regalare allo spettacolo la fantasia che non c’è.
Persino in Olanda-Spagna, cioè nella finale della coppa del mondo (la partita più importante degli ultimi quattro anni) ci si è dovuti arrendere al black-out del divertimento, fatta eccezione per qualche sussulto sotto porta o qualche calcione olandese sul petto degli avversari.
E quando alla fine è arrivato il gol della Spagna, gran parte del mondo ha gioito. Perché finalmente era finita.

Idee chiare

Cesare Prandelli, appena insediatosi alla guida della nazionale italiana di calcio, ha le idee chiare:

Il lavoro di Lippi non è per nulla da buttare, non si butta nulla.

La vedo male.

La crisi degli arbitri

Dal calcio alla politica alla Chiesa, c’è una crisi di arbitri.
Ci manca cioè quella illusione di terzietà che la figura di un giudice infonde in noi quando le acque sono torbide e servono occhi limpidi per scegliere, decidere, deliberare.
Il paradosso dei nostri tempi è che si avverte la mancanza di arbitri degni di questo nome quando invece se ne promuovono in gran quantità, a tutti i livelli. Insomma non c’è certo una crisi di vocazioni, al contrario c’è un aggrovigliarsi di regole. La politica, ad esempio, più che formare amministratori forgia le leggi a misura del politico di turno.
Non è facile dirigere il traffico degli umani – calciatori, cittadini o fedeli che siano –  ed è importante che l’errore non sia considerato malattia e non vada debellato con vaccini ad ampio spettro perché si rischia di fare più vittime. L’errore va eliminato con obiettività e altruismo: mettendosi in discussione, arbitro per primo, e tenendo d’occhio l’interesse generale.
Guardate i Mondiali, guardate la politica italiana, guardate il Vaticano. Quanto conta in questi ambiti l’interesse generale e quanto pesano invece gli interessi di pochissimi?
Quando la finiremo di ritoccare le regole per giustificare l’inadeguatezza degli arbitri attuali e invece ci dedicheremo al rigoroso rispetto delle norme, allora sarà un giorno di speranza.

P.S.
Non so perché, ma oggi mi venne fuori una specie di omelia… Pardon.

La bandiera dove la metto?


di Tony Gaudesi

Se le maledizioni fossero proiettili il bel giubbotto rosso di Lippi avrebbe più buchi di una montagna di gruviera.  Bossi, Trota e cronista di Radio Padania a parte, l’Italia tutta si è unita nel nome di ct. Dal medico al fruttivendolo, dal professionista al venditore di tricolori sotto casa mia, che tra una bestemmia e l’altra arrotola le bandiere alle aste, giurando di  sapere dove potrebbe infilarle.
Eppure Lippi è stato di parola. Non farà salire nessuno sul carro dei vincitori, come aveva promesso. Ci salirà lui, sul carro. Quello funebre, che riporterà in Italia i tanti cadaveri visti in Sudafrica.
E dire che alla Fiat, secondo Marchionne, avrebbero scioperato per vedere la Nazionale. Chissà, c’è da chiedersi, quanti italiani sarebbero pronti a scioperare per vedere la Nazionale, quella Nazionale, lavorare alla Fiat. Magari a 1300 euro al mese.
Parlare col senno del poi, si dirà, è operazione sempre facile. Meglio, comunque, che allenare col senno del mai, ignorando i colori del campionato per diramare convocazioni quasi esclusivamente in bianco e nero. Che avrà fatto mai la Juventus, si chiederanno da Los Angeles a Shangai, per emigrare quasi in massa in Sudafrica? Tutto! Ha sbaraccato a metà campionato, ha fallito l’Europa che conta (e pure quella che non conta). Ha mancato coppe e coppette. Zero tituli, ma primato nella lista del ct, alla faccia di chi i gol li ha fatti a grappoli, incantato, deliziato  (Miccoli, Cassano Balotelli, etc), della stampa, dei tifosi, dei 50 milioni e passa di commissari tecnici nostrani.
Si torna pertanto prematuramente e meritatamente a casa. Contro tutti i pronostici (i bookmakers pagavano la vittoria della Slovacchia 7 volte la posta) e con buona pace di tutti. Anche del venditore di tricolori sotto casa mia, che sbaracca e ribadisce, bandiera dopo bandiera: “So io dove la metterei questa”.