Una noia mondiale


Credo che questi mondiali di poco calcio e di molti sbadigli possano essere archiviati senza rimpianti.
Una finale noiosa ha certificato lo stato di salute del football mondiale, una specie di animale con uno stomaco ipertrofico e le zampe corte.
Qual è la morale? Vincono le pochissime squadre che scommettono sui giovani, e non è poi una grande scoperta. Solo il nostro Lippi aveva la presunzione non dico di vincere ma di giocare con una formazione in avanzato stato di decomposizione.
Mi pare, ma posso sbagliare, che il calcio planetario sia in overdose di tecnica e di strategia: insomma è sempre meno sport e, quel che è peggio, è sempre meno giocato sul campo. Gli schemi prevalgono sull’inventiva, la moltiplicazione di telecamere ci dice tutto su ogni singolo filo d’erba ma non può regalare allo spettacolo la fantasia che non c’è.
Persino in Olanda-Spagna, cioè nella finale della coppa del mondo (la partita più importante degli ultimi quattro anni) ci si è dovuti arrendere al black-out del divertimento, fatta eccezione per qualche sussulto sotto porta o qualche calcione olandese sul petto degli avversari.
E quando alla fine è arrivato il gol della Spagna, gran parte del mondo ha gioito. Perché finalmente era finita.

Cammarata mondiale

Pare che l’evanescente sindaco di Palermo sia in Sudafrica per assistere alle partite dei Mondiali. A nessuno si nega una vacanza, né la possibilità di uno svago. Ma Cammarata è ormai il catalizzatore delle pochezze di Palermo. Svogliato, superficiale, inefficiente, questo sindaco è l’immagine riflessa di una città che galleggia davanti a un orizzonte di eutanasia civile e che non ha la forza, o il coraggio, di buttare via l’ultimo respiro e calarsi giù, a fondo.
Diego Cammarata può ovviamente andare in Sudafrica, come alle Maldive o chissà dove senza che nessuno gli chieda conto e ragione. Il problema è che poi ritorna, allungando l’agonia di una città che rischia di estinguersi prima di lui. E questo non è bello.

I mondiali della Juventus

L’Italia è l’unico paese al mondo con sessanta milioni di allenatori della nazionale di calcio che si sentono titolati e irripetibili a dispetto dell’evidenza: l’unico sono io.

La vecchia battuta di padre ignoto non deve trarre in inganno.
E’ vero che ci sentiamo tutti mister, ma è anche vero che ci sono mister che dovrebbero calarsi nei nostri panni di tecnici improvvisati e capirci quando ci sentiamo spaesati.
Il caso di Marcello Lippi è emblematico.
Capisco il carattere e la schiena dritta, ma un allenatore che imbottisce il contingente mondiale con  una maggioranza di giocatori presi da una squadra decotta come la Juventus, qualche spiegazione al suo pubblico la dovrebbe.
Invece niente.
Messa da parte la foga rosanero, anche se Sirigu e Cassani sono tra i convocati (assordante l’assenza di Fabrizio Miccoli), resta il dubbio espresso qualche giorno fa da Paolo Villaggio: non sarà che con la missione sudafricana si cerca di drogare il valore di giocatori (e di club) le cui azioni sono in picchiata?
Prendiamo un appunto e parliamone a Mondiali terminati. Sarò felice di essere smentito.