Ieri sera ho visto Zdenek Zeman a Che tempo che fa? e ho avuto un banale, scontato, meraviglioso attacco di malinconia.
Trenta e rotti anni fa Zeman è stato il mio allenatore di pallamano, a Palermo: dirompente lui, irrilevante io (durai niente in quella squadra e in quello sport).
Ricordo la sua fissazione per la preparazione atletica: una sera mio padre venne a spiare gli allenamenti serali (era inverno) e rimase scioccato per quanto questo signore ci faceva correre, scattare, in lungo e in largo per il campo.
Un’altra volta alcuni teppisti cominciarono a tirarci le pietre dal cavalcavia sotto il quale ci allenavamo. Avevamo 13, 14, 15 anni e un po’ ci spaventammo. Lui, Sdenko, ci intimò di rimanere dove eravamo, raccolse le pietre e le scagliò contro quei misteriosi teppisti. Ho bene in mente ancora le grida (ahi! azz! minch!) che arrivarono dal cavalcavia. E ricordo anche che, “restituita” l’ultima pietra, lui ci ordinò: dieci scatti andata e ritorno, ora!
Ieri sera l’ho rivisto con la nostalgia che riservo alle grandi occasioni: musica, letteratura, certi fenomeni sociali.
Zdenek Zeman parla ancora come parlava trenta e rotti anni fa. “Tu ci dai la palla a lui, lui ci dà la palla a lui, lui ci tira la palla a lui…”.
Se a 48 anni riesco a essere ancora uno sportivo praticante, seppur dilettante, so chi devo ringraziare: uno che fuma come un turco e che insegna agli altri come si corre.
Ricordiamoci anche che Zeman e’stato anche un campione di onesta’ sportiva.Per primo infatti ha denunciato la corruzione nel mondo del calcio e per questo e’ stato emarginato.Mi sembra che anche per questo merita ricordo e rispetto.
“Non importa quanto corri, ma dove corri e perchè corri.”
Z. Z.
@Gery: Hai visto Zemanlandia? Io lo devo ancora vedere, ma penso sia un ottimo documentario. Sansonna, il regista, è un grande esperto di cinema.
Non ancora C&C caro. Il primo che lo vede, ne scrive qui.
Ok!
Questo post mi fa tornare agli anni del liceo. Mi fa pensare alla prof. di lettere e latino, Nicoletta. Un raro esempio di cuore e cervello, che galoppavano all’unisono, talvolta in un modo che poteva sembrare scellerato.
Ricordo la sua ruvidità, quando noi studenti rischiavamo di assopirci su un bel voto.
Ho a memoria certi suoi sguardi impenetrabili, quando qualcuno di noi veniva meno al proprio dovere umano (prima che a quello da studente).
Risento la sua voce superba, quando inscenavamo scioperi, con la scusa di voler cambiare il mondo e invece volevamo solo andarcene al mare (bigiate pure, ma non fate finta di essere dei nuovi eroi, ci diceva).
E poi era la volta dei sorrisi, del cuore di mamma prudente, di quella saggezza retrò, che oggi non si trova più da nessuna parte.
Nicoletta mi insegnò l’amore per la scrittura e per la narratività. Si ostinò a temprarmi, quando era il caso, e ad esaltarmi, quando era necessario. E’ stato così che mi ha regalato per sempre un grande sogno.