La faccia, il culo e il metodo Lippi

Non riesco a pensare allo sport, penso all’economia. Nel senso che la figuraccia dell’Italia ai Mondiali non può essere liquidata con il volemose bene del “ci rifaremo la prossima volta” o il luogo comune del “tanto è un gioco”, ma va inquadrata in un contesto in cui gli equilibri economici e i flussi di moneta stanno alla base di ogni scelta.
Perdere una partita o essere eliminati da una competizione è fisiologico, altrimenti non si chiamerebbero gare ma conviviali. Perdere senza mai giocare ed essere eliminati ancor prima di scaldarsi, specie se si ha il titolo di campioni del mondo, è grave e, addirittura, patologico.
Di malattia si tratta, infatti.
Il calcio italiano, quello impersonato da Marcello Lippi, è molto malato. Soffre di schizofrenia: il paese che non ama gli stranieri li strapaga se sanno dare due calci a un pallone. Soffre di emiparesi: i club meno blasonati si muovono e producono nuove leve, quelli più ricchi dettano le leggi, sono immobili e producono animali da gossip.
Il succo del problema sta tutto nella dichiarazione di Fabrizio Miccoli. Di una squadra come il Palermo – tanto per fare un esempio – Lippi non sa nulla e, quel che è peggio, non vuole sapere nulla.
Perché?
Siamo alla materia economica.
Il Palermo ha giocatori giovani che hanno un valore che cresce sul mercato internazionale. Un’altra squadra a caso, la Juventus, ha giocatori decotti che dopo l’ultima stagione deludente, avevano bisogno di essere rivalutati.
E quale migliore occasione di un Mondiale? Dentro gli juventini e fuori i palermitani.
Ne avevamo parlato qualche tempo fa, ne aveva discusso l’Italia intera. Il metodo Lippi, ammantato da quel fascino evanescente che solo nel nostro Paese riescono ad avere – inspiegabilmente – le operazioni di cui è facile non capirci un tubo, consisteva nell’assemblare giocatori anziani e spacciarli per giocatori imbattibili. Errore gravissimo perché, soprattutto nello sport, l’età non è sempre sinonimo di qualità: pensateci, Gattuso non è un Barolo.
Quel teatrino di conferenze stampa fatte di spocchia, risolini, certezze ostentate come se fossero assi nella manica e frecciate ai detrattori, aveva già dato fastidio a chi, come il sottoscritto, riteneva la missione Mondiale una questione seria, come seria è qualsiasi competizione in cui una Nazione ci mette la sua faccia e il suo culo. Ecco, questa è la lezione che Lippi porta a casa oggi. Quando si ha il privilegio di rappresentare faccia e culo di un intero popolo bisogna evitare di confondere le due parti del corpo. Cioè di avere la prima come il secondo e, in fondo, esserne anche un po’ orgogliosi. Perché alla fine, quando ti hanno gonfiato la prima e imbottito il secondo, non basta chiedere scusa. No, serve un surplus di umiltà che da qualche parte deve essere stato accumulato e che per Marcello Lippi è qualcosa di lontano, anzi sconosciuto.

Forza Italia

Aggiornamento.

Fabrizio Miccoli: “Ditemi voi perché in questa squadra azzurra non ci sia nemmeno uno del Palermo. Sapete perché? Perché Lippi non è mai venuto a vederci, non è mai sceso a Palermo. Gli stranieri del Palermo fanno il mondiale, noi italiani del Palermo no, siamo arrivati quinti e siamo a casa mentre gli juventini sono in gruppo”.

Costanzo, sciò!

di Abbattiamo i termosifoni

Guardo in diretta (o registro) ogni sera su Rai Uno “Notti mondiali”, un programma di commento sul calcio condotto da Jacopo Volpi. In uno studio di Roma, gestito dalla giornalista Paola Ferrari e collegato con quello principale di Johannesburg, spadroneggia Maurizio Costanzo. Spadroneggia, sì, perché da ospite che era, al fianco di Giampiero Galeazzi, nel giro di un paio di puntate è diventato il capoccia. Così:
– qualsiasi domanda la Ferrari faccia a Galeazzi, risponde il tricheco di Mediaset (e ieri finalmente Galeazzi, stufo della costante ingerenza, gli ha ribattuto in modo acido);
– se ha due minuti a disposizione per bofonchiare le sue amenità, ne arraffa una dozzina costringendo poi Volpi e compagni a correre con commenti e servizi;
– legge poesie fuori luogo, anche quando una traduttrice affianca l’ambasciatrice del Sudafrica che non capisce un emerito, perché tradurre una poesia di corsa è proprio arduo;
– interrompe chiunque e si sovrappone pure a Dio in terra, anche passando la parola agli ospiti quando gli pare, come se a condurre fosse lui;
– si lamenta di sentire un sottofondo musicale come tappeto dei suoi interventi (motivetto che nessun altro percepisce) e fa un cazziatone al basito Volpi;
– è artefice (a parer mio, perché altrimenti non me lo spiego) della comparsa in studio di ospiti di provenienza mediasettiana che col calcio nulla hanno a che fare: finora Rossella Brescia o un comicastro di nome Dado, che viene da Zelig e per di più canta;
– fa delle interviste on the road ai tifosi stranieri insieme a Galeazzi impedendo a quest’ultimo di porre qualunque domanda o di ascoltare qualunque risposta, perché le domande sue e i tifosi suoi devono avere sempre la meglio;
– l’ho beccato che si scaccola, tossisce, si presenta con la sciarpa di lana, si lamenta della sciatica.
Dato che lo paghiamo, non sarebbe meglio sobbarcarci l’onere della retta mensile di una casa di riposo? Con buona pace anche della sua invadenza senile.

La Rai e il pizzo

Pago il canone Rai. Non siamo in molti.
Seguo i Mondiali di calcio. Siamo in molti.
Domandina semplice semplice: perché devo avere dalla tv di Stato un servizio inefficiente che si è obbligati a pagare (basta avere un televisore), e invidiare chi ha un servizio perfetto da parte di una tv privata e magari non paga un bel niente alla Rai?
Il succo è questo: oggi io non conto nulla nelle scelte del palinsesto della Rai, di cui pure sono cliente con quel che ne consegue, ma se verso qualche centinaio di euro in più posso avere sul mio televisore tutto quello che vorrei e che non ho. Se ci pensate bene è il principio del pizzo: la normale sorveglianza costa quanto costano le tasse (le forze dell’ordine sono nel bilancio dello Stato), se vuoi di più devi sganciare.
Ora, non mi sogno di accostare Sky a un mercato illegale di servizi, però credo che questa Rai, inefficiente e clientelare, vada messa sul mercato. In modo che io possa scegliere tra le varie offerte senza dover essere obbligato a pagare un servizio scadente.
Insomma – tanto per fare un esempio – a me e a molti altri non ce ne frega niente di avere ogni pomeriggio Monica Setta che ostenta il suo banale davanzale a tot migliaio di euro a puntata, a noi interessa che la Rai (che paghiamo in anticipo e in moneta sonante) sia presente degnamente nei due o tre fondamentali appuntamenti di cronaca annuali.
E i Mondiali di calcio fino a prova contraria sono un evento di una certa importanza.

Sviste mondiali

Suocerando

di Abbattiamo i termosifoni

Durante Italia-Nuova Zelanda, una telecamera Rai inquadra un uomo con una testa fitta di capelli bianchi, un paio d’occhiali, un mezzobusto vestito di color porpora.
Mia suocera chiede: “Ma che ci fa il papa allo stadio?”.
Era Marcello Lippi.

Il re di Palermo

Il re di Palermo è nato a Nardò, in provincia di Foggia Lecce, parla pugliese ed è un campione di umanità.
E’ Fabrizio Miccoli, il mio calciatore preferito: ovvero un termine di paragone costante, qualunque sia la partita che si sta guardando, un magico anello di congiunzione con l’infanzia delle figurine Panini, un’entità superiore alla quale si chiedono miracoli di cuoio.
Sire Miccoli ieri ha raccontato come e perché ha scelto di rimanere a Palermo, nonostante un’offerta milionaria da Birmingham: non esistono solo i soldi, questo è il succo.
In un momento in cui cresce la folla di personaggi che insultano quotidianamente, con la loro semplice presenza, questa città, in cui si tende a fuggire più che a rimanere (vedi l’avventura del sindaco in contumacia), in cui ci si riempie la bocca di verbi al futuro dimenticando l’urgenza del presente, in questo momento il gesto di re Miccoli mi appare consolante.
E non mi importa se i suoi sacrifici economici sono quelli di un giocatore che è già ben pagato, né della ruffianeria intrinseca delle conferenze stampa, mi interessa soltanto la gioia egoistica di poter contare ancora su un gigante di un metro e sessantotto quando la mia squadra è in difficoltà, di ballare di gioia davanti al divano quando il re manda in rete un pallone che sembra radiocomandato. Mi affascina il mito dell’uomo che usa il piede come bacchetta magica e che quando segna ci guarda dal televisore con quegli occhi sgranati e ci dice: questo gol è per voi.
Perché lui questo sa fare: violare difese avversarie, abbattere portieri blasonati, correre col ginocchio fracassato, sparare pallonate, dipingere traiettorie e riscuotere applausi meritati.
In una città priva di gran parte di ciò che le è dovuto, Fabrizio Miccoli è un uomo da portare in trionfo. Come si addice a un re.

Fenomenologia di Marcello Lippi

Fenomenologia di Marcello Lippi. Si mostra soddisfatto quando c’è da essere allarmati (pur non essendo allarmisti). Mastica rabbia perché il popolo non condivide, con un’unica ola da Aosta a Pachino, le sue scelte. Rimanda perennemente a una resa dei conti coi suoi detrattori dimenticando che lui è solo un allenatore di calcio e non un presidente del consiglio. Preferisce mettere in squadra i soliti noti piuttosto che dare spazio ai nuovi fuoriclasse. Ostenta il suo appeal di antipatico come se fosse una rockstar. Non è ancora cosciente della fortuna che, quattro anni fa, lo ha portato a vincere il Mondiale.
Si crede l’unico mister della nazionale di calcio in un Paese che ne conta più o meno sessanta milioni.

Cammarata mondiale

Pare che l’evanescente sindaco di Palermo sia in Sudafrica per assistere alle partite dei Mondiali. A nessuno si nega una vacanza, né la possibilità di uno svago. Ma Cammarata è ormai il catalizzatore delle pochezze di Palermo. Svogliato, superficiale, inefficiente, questo sindaco è l’immagine riflessa di una città che galleggia davanti a un orizzonte di eutanasia civile e che non ha la forza, o il coraggio, di buttare via l’ultimo respiro e calarsi giù, a fondo.
Diego Cammarata può ovviamente andare in Sudafrica, come alle Maldive o chissà dove senza che nessuno gli chieda conto e ragione. Il problema è che poi ritorna, allungando l’agonia di una città che rischia di estinguersi prima di lui. E questo non è bello.

Benedetti francesi

Ai francesi è piaciuta l’avventura di un tifoso palermitano in terra nordica.

(Qui l’articolo originale)

Chi gli dà un passaggio in aeroporto?

In palermitano questi si chiamano nimici ‘ra cuntintizza. Non so dalle vostre parti.

Grazie alla Contessa.