Date a Cesaro quel che…

Camorrista o no, il deputato del Pdl ed ex presidente della Provincia di Napoli Luigi Cesaro è la rappresentazione più luminosa, esplicita e inequivoca dell’eccezionalità della politica italiana. I giudici ne hanno chiesto l’arresto per appalti sospetti ad aziende legate a quei galantuomini dei casalesi, ma non è questo a destare stupore e/o indignazione. L’atroce rovello che divora noi comuni mortali, non camorristi non raccomandati non scodinzolanti non corrotti non furbastri, è concentrato tutto in un dubbio: come ha fatto Totò a imitarlo con mezzo secolo di anticipo?

Je so’ pazzo

«Borsellino e Falcone li hanno uccisi perché erano vicini alla verità. Pensate che se Saviano fosse davvero pericoloso non lo avrebbero già ucciso? Io nella camorra ci sono nato, so come agisce».

Mi era sfuggita questa entrata a gamba tesa di Pino Daniele su Roberto Saviano.

I fatti di Facci

Su Libero, Filippo Facci difende Saviano e Gomorra.

Il lettore non è imbecille per default

L’ultima questione nazionale innescata dal quel mattacchione del presidente del Consiglio è adesso una questione tra Saviano e la Mondadori. Cioè tra un autore che può scegliere a casaccio (nel mondo) un editore con cui pubblicare col miglior profitto, e una casa editrice che può scegliere a casaccio (nel mondo) un autore da pubblicare col miglior profitto.
E’ la degna conclusione italiana di una polemica in cui chi lancia la pietra è anche stagno e acqua.
Il problema – mi pare – non è Roberto Saviano, che apprezzo per tutto ciò che non è  Gomorra, ma un principio sacrosanto: quello del buon gusto.
I presidenti Berlusconi, padre e figlia, rivendicano il diritto di critica: l’uno in chiave istituzionale, l’altra in chiave anagrafico-aziendale.
Lo scrittore ne fa una questione di principio. Della serie: ok mi pagano, ma io sono nudo e puro.
Nello scenario letterario italiano il suo verbo conta più di quanto pesi sulle borse internazionali una riforma economica di Obama. Quindi tutti lì a strattonarlo: vieni con noi, passa dalla nostra parte, abbandona le file del nemico…
Il buon gusto, dicevamo.
Quando sono in atto operazioni milionarie, come quelle di Gomorra, bisognerebbe inventarsi una zona franca.

Prendete fiato perchè la frase che segue è lunga e contorta (e implora perdono per la strage di relative).

Ci vorrebbe uno spazio di compensazione in cui lo sventurato (e)lettore dovrebbe trovare la serenità di chiedersi come e perché il presidente del Consiglio che è padre del presidente della Mondadori arriva a stigmatizzare il successo di un romanzo edito da sua figlia che lo difende a seguito di un attacco dell’autore del romanzo che si erge a tutore della libertà contro quella stessa azienda-famiglia che ha pubblicato il suo romanzo rendendolo famoso nel mondo.

E poi dicono che lettori ed elettori sono in calo.

P.S.
Silvio Berlusconi era Silvio Berlusconi molto prima che Roberto Saviano diventasse Roberto Saviano.
Traduco: al momento di scegliere con chi pubblicare
Gomorra, lo scrittore sapeva benissimo con chi si univa. Io e molti altri lettori, che pure non abbiamo nessuna simpatia per Berlusconi, non gliene abbiamo mai fatto una colpa.
Però,
lettore non è sinonimo di imbecille.

La prossima volta, una telefonata

di Tanus

Ecco l’ultima uscita del capo: la mafia e la camorra sono famose grazie a “La Piovra” e a “Gomorra”.
Peccato che, come gli ha ricordato Michele Placido, le sue reti abbiano contribuito all’infame causa con fiction come “Il Capo dei Capi” e “Ultimo”.
Per quanto riguarda “Gomorra” non passerà inosservato un dettaglio: il libro è edito da Mondadori.
E sapete di chi è la Mondadori? Sicuramente .
Insomma anzichè una pomposa dichiarazione pubblica sarebbe bastata una telefonatina a Piersilvio e Marina.

La solitudine di Saviano

savianoHo visto ieri lo speciale “Che tempo che fa” con Roberto Saviano. All’opera dello scrittore abbiamo dedicato su queste pagine molto spazio, in passato. E i toni del dibattito sono stati accesi. L’apparizione televisiva di ieri ha però dato una quarta dimensione al personaggio: quella di un ragazzo (non ha ancora 30 anni) che vive della sua emergenza. Il disagio di una vita blindata, e tutto sommato impossibile, traspare infatti in ogni sua parola. E a poco valgono i milioni di copie vendute con Gomorra, le traduzioni in cinquanta Paesi, l’invito all’Accademia dei Nobel, le mobilitazioni di scrittori di tutto il mondo, i soldi e la fama. I racconti accorati dei misfatti di malavitosi e amici dei malavitosi, di una stampa criminale che infanga prima e dopo le pallottole,  dell’inaudito consenso riscosso dai clan tra i ragazzi di Casal di Principe, nella voce di Saviano sono lacrime trattenute e rabbia compressa.
Ieri lo scrittore simbolo della resistenza contro il Male ha mostrato le cicatrici per un combattimento su un altro fronte: quello della sua resistenza personale.
C’è mancato poco che non si liberasse in una maledizione del suo romanzo-denuncia. Per fortuna ciò non è avvenuto – almeno in toni espliciti – e tutti noi possiamo auspicare che la solitudine che egli avverte sia quella dei pensatori sofferti, dei simboli controvoglia e contronatura.
Roberto Saviano è uno scrittore e chi vuole farne un Dorian Gray dell’antimafia militante non gli rende un buon servizio. Scriva, racconti e guardi avanti, per quanto difficile la strada può apparire. La sua testimonianza, ieri, mi ha fatto riappacificare per quasi due ore con la televisione.