Il signor B e l’evidenza

di Vincenzo Lima

Qualunque ragionamento, discussione, operazione intellettuale prende le mosse da un fatto, da una verità. Questo fatto/verità che può essere più o meno complesso viene acquisito come evidente e a partire da questa evidenza si può procedere per illuminare nuovi fatti/verità e renderli evidenti. Così funziona la mente, così funziona la conoscenza.
Chiunque può rifiutarsi di dare il proprio assenso a ciò che si presenta o viene presentato davanti ai suoi occhi fisici o mentali come evidente.
Se io dico: “Oggi è una bella giornata di sole” e tu mi rispondi: “Questo è tutto da dimostrare”, la nostra discussione è bella e finita. Ed è del tutto inutile stampare bollettini metereologici che comprovano che oggi è una bella giornata perché quelli saranno ancora più discutibili ed incerti dell’evidenza.
Che Berlusconi si circondi di prostitute e/o ragazze di facili costumi (come si diceva una volta) e che talvolta le premi per le loro grazie e favori con delle cariche politiche è un fatto evidente.
Se siamo davanti ad un interlocutore che dinanzi all’evidenza prima enunciata comincia a dire: “Queste ragazze saranno anche carine e la danno via volentieri, ma Berlusconi le frequenta e le fa eleggere perché sono laureate ed hanno fatto dei corsi e poi non vorrai mica discriminare quelle carine e che la danno via facile … e poi Lui le frequenta perché le vuole redimere …”; è meglio lasciar perdere perché il nostro interlocutore o non vede o rifiuta l’assenso a ciò che vede e quindi in entrambi i casi non si arriverà da nessuna parte.
Quindi alla prima affermazione di questo tenore è meglio farci sopra una grassa risata.

Oscenità in prima serata

di Daniela Groppuso

Credevo di aver visto cose che voi umani… Mi sbagliavo. Ieri sera Barbara D’Urso (e i suoi autori) sono riusciti a farmi indignare. Ancora una volta.
A parte le interviste inutili a un annoiato Checco Zalone e ad Anna Falchi (il cui patetico obiettivo era quello di riabilitarsi dopo le ultime paparazzate che le avevano fatto perdere qualche punto con il “suo” pubblico), ho assistito a un fuoco di fila di oscenità.
Protagonista assoluto: Aldo Busi. Lo scoramento è tale che non riesco neanche ad affibbiargli una definizione sarcastica. Ma chi è che ha detto che questo qui è un fine intellettuale? Non riesce a esprimere un concetto senza cadere nel pecoreccio. E sì, perchè frasi del tipo: “cazzo in culo non fa figli, bensì brodo di conigli”, o “sembra un gesuita inculato da una salamandra” non arricchiscono proprio nessuno.
E la porno-professoressa e il marito scambista ospiti del programma che – è bene ricordarlo – va in onda in prima serata? Non era meglio lasciarli cristallizzati nel loro filmetto amatoriale e nelle fantasie dei cinque milioni che li hanno cliccati su youtube?
Non so come riesca ancora ad arrabbiarmi di fronte a tutto questo, e no, cambiare canale non mi farà stare meglio.

Yara e la prudenza che serve

di Alfred Breitman

Fidiamoci delle autorità, ma dati i tempi che corrono, vigiliamo sugli esiti delle indagini legate al caso della tredicenne Yara, scomparsa da Brembate Sopra (Bergamo) il 26 novembre scorso e già data per morta assassinata dagli inquirenti. Un testimone – vicino di casa di Yara – che ha dichiarato di averla vista insieme a due uomini adulti nei pressi dell’abitazione della giovane e che ha affermato di aver notato nelle vicinanze una citroen rossa ammaccata non solo non è stato creduto, ma è anche stato denunciato per procurato allarme e falso. Se vi sono altri testimoni di quello stesso evento, dopo la sorte toccata al primo, di certo non si faranno avanti. Successivamente sono scattate, in tempi record, intercettazioni nei confronti di un giovane operaio tunisino, che è stato bloccato mentre si trovava a bordo di un traghetto e accusato di omicidio. Pare che in una telefonata abbia detto: “Che Allah mi perdoni, ma non l’ho uccisa io”. Un’espressione che fa pensare che il giovane temesse di essere sospettato del crimine, magari – chissà? – dopo essere stato avvicinato da qualcuno che l’abbia spaventato comunicandogli tale ipotesi. Non ha detto: “L’ho uccisa io,” ma “non l’ho uccisa io!”. Vi sono attinenze con casi del passato: dal caso Romulus Mailat (il romeno, dopo la condanna in Cassazione è ricorso presso la Corte europea dei Diritti Umani) al caso Racz e Lojos, fino a quello della giovane Rom Angelica, che attende il giudizio in Cassazione riguardo al “tentato rapimento” di Ponticelli. Fidiamoci delle autorità, ma aiutiamole a seguire in ogni momento piste corrette, valutando gli alibi del tunisino e garantendo che i suoi diritti umani, durante gli interrogatori, siano sempre rispettati. Forse Yara è morta. Forse l’ha uccisa il tunisino. Forse i due uomini con la Citroen rossa esistono e forse no. Tuttavia, evitiamo che questo caso termini con un colpevole in galera a vita, ma con una coda di domande e dubbi senza risposta. E nuove ondate di xenofobia che agevolano solo le carriere di politici intolleranti e l’ascesa a un potere sempre più forte da parte dei movimenti razzisti.

Prigionieri nella rete?

di Roberto Buscetta
Da qualche tempo mi chiedo che cosa farei, qualora fossi un dittatore, per scansare o domare il dissenso: se censurare la Rete o se, al contrario, lasciarla totalmente senza vincoli né censure. Sono sempre più convinto che praticherei la seconda ipotesi, per tutta una serie di ragioni.

È innegabile che la comunicazione via Web, se libera e a costi bassi, se non addirittura gratuita, funziona in modo sorprendente ed efficace, e raggiunge in tempo reale l’angolo più sperduto della Terra, giungendo contemporaneamente a un numero incredibilmente alto di utenti. È questa la convinzione della stragrande maggioranza di internauti – me compreso -, i quali si compiacciono della potenza e della potenzialità della Rete, inimmaginabili fino a qualche anno fa. Nulla da obiettare a questa rivoluzionaria modalità di comunicare e d’informarsi, che supera qualunque limite o barriera e scavalca le censure palesemente o velatamente imposte dai vari notiziari ufficiali, permettendo, inoltre, un’interattività molto più democratica e vivace.

Ma la rete ha più ombre che luci, e ora provo a segnalarne il perché.

Il Web permette a tutti di accedere a infinite fonti d’informazione, ma nessuno ci garantisce che siano tutte parimenti credibili e all’altezza di ciò che cerchiamo o dell’argomento trattato. Sappiamo, anzi, che non è così, e che è necessaria una matura ed esperta capacità di discernere le notizie, qualità non equamente distribuita nella popolazione, come succede per tante altre cose. Il problema è per ovvie ragioni più minaccioso per le nuove generazioni, non abituate a reperire notizie in modo più tradizionale, e colpisce maggiormente i meno “attrezzati” rispetto ai più dotati e/o istruiti.

Il problema più inquietante, però, almeno per me -ma ne parla anche Lee Siegel nel suo saggio Against The Machine, ne fa cenno Jaron Lanier in You are not a gadget, ma anche Paolo Landi nel suo lucidissimo Impigliati nella Rete, edito da Bompiani nel 2007- è il ruolo che attribuiamo alla comunicazione nel Web, scambiando troppo spesso quest’ultimo per il luogo reale e unico in cui si svolge, tutta, la nostra esistenza. La Rete è gravida di violenza verbale e riesce a far esprimere il peggio di ciascuno di noi, dandoci l’illusione di indirizzare in modo efficace e, se vogliamo, anche anonimo, i contenuti che desideriamo inoltrare in direzione di uno o più interlocutori. Oltre al probabile (o quanto meno ipotetico) inganno derivato da un presunto anonimato, e al decadimento linguistico, stilistico e morale assegnato alla forma dei messaggi veicolati, vale la pena di soffermarsi sull’efficacia di una frustrazione di qualsivoglia natura consegnata alla virtualità del Web. C’è la convinzione di aver trovato il modo e il luogo giusto in cui poter finalmente dire la propria, sfogare il proprio disagio, dichiarare per filo e per segno ciò che si pensa di qualcosa o di qualcuno “senza mandarle a dire”. E tutto ciò stando comodamente seduti a casa propria o nel proprio posto di lavoro. La verità, però, è che il risultato di tanta immissione di energia, a parte una indubbia facilità, almeno in potenza, nel raggiungere contemporaneamente tanti lettori da cui magari anche ricevere un feedback o un segnale di consenso (vedi, per esempio, Facebook o gli altri social network), si spegne nella virtualità, senza nessun obbligo di output verso la vita reale, quella fatta di quotidianità, di carne e ossa, di emozioni comunicate, di sudore e di tantissime altre cose neppure surrogabili nella second life dell’esistenza in Rete. Io sono convinto che un dissenso manifestato apertamente, vis-à-vis, nei confronti di un interlocutore in carne e ossa, sia esso un individuo, una istituzione o un organismo di qualunque natura, richieda sì più coraggio, più responsabilità e più impegno reale, nel senso di volontà e capacità di rischiare ed esporsi di persona, ma che sia l’unica possibilità, ancora oggi in cui il virtuale non ha totalmente soppiantato il reale, per ottenere visibilità e risultati concreti. L’eventuale dittatore che avesse deciso di lasciare totalmente libera la Rete ricaverebbe solo dei vantaggi, o comunque non avrebbe alcun reale fastidio, se tutte le energie rivolte contro di lui si spegnessero dentro uno schermo, incapaci di uscirne sottoforma di dissensi, ovviamente pacifici e  democratici,  ma massicci e visivamente solidali, o di concrete richieste di risposte tangibili a problemi tristemente tutt’altro che virtuali.

Chiaro no?

La Gazzetta del Sud è una miniera di titoli memorabili. Dovrei leggerla più spesso.

Grazie a Tony Siino.

Con scarsa Letizia

A Gallinaro, provincia di Frosinone, il concorso Star of the Year (che in ciociaro vuol dire“che fatica campare così”) sarà presentato da Noemi Letizia, in tandem con Antonio Zequila. Ora: non si può pretendere che le protette del premier abbiano la parte della protagonista nel nuovo film di Spielberg. Ma si poteva presumere che saltassero almeno qualche tappa della massacrante gavetta di chi vuole fare spettacolo. Insomma, non subito a Hollywood con Hugh Grant, ma neanche subito a Gallinaro con Antonio Zequila

Michele Serra oggi nella sua Amaca riprende un argomento a noi ben noto.

A chi servono le elezioni anticipate

di Tony Gaudesi

Sacra, inviolabile, sovrana. Da stuoino, qual è sempre stata, la volontà popolare sembra  di colpo diventata – a parole – l’ombelico del mondo politico, il denominatore comune, unico e irrinuncialbile, di tutte le politiche prossime venture. Bello, bellissimo, anzi patetico.

I nostri politicanti che oggi  fanno la ruota davanti alla telecamere, inalberando il vessillo popolare a difesa della maggioranza uscita dalle urne, evidentemente hanno la lingua e le mani lunghe ma la memoria corta.
Era il 1993 quando l’intoccabile volontà popolare, dicendo sì al referendum proposto dai radicali, scaraventò a mare il finanziamento pubblico ai partiti. E furono adesioni bulgare: oltre il 90 per cento degli italiani  (31 milioni contro 3 milioni) cassò l’iniquo balzello, che, uscito dalla porta, fu però fatto rientrare dalla finestra. Già lo stesso anno, infatti,  il finanziamento fu parzialmente riesumato  per essere potenziato nel 1994 e vitaminizzato nel 2002 prima e nel 2006 dopo. Risultato: i rivoli di denaro indirizzati alle casse dei partiti divennero torrenti, fiumi in piena, mentre il rimborso perdeva attinenza diretta con le spese realmente sostenute dai partiti, abbassava la soglia della rimborsabilità dal 4 all’1 per cento e, soprattutto, diveniva erogabile per tutti e cinque anni di legislatura, indipendentemente dalla sua durata effettiva.

E proprio quest’ultima ciliegina rischia di rendere particolarmente indigesta per i cittadini la torta in preparazione nelle segreterie romane dei partiti: la chiamata alle urne.  L’avvio anticipato della macchina elettorale innescherebbe infatti l’ennesimo maxi-scippo alle casse dello Stato. Questo perché l’ultima versione della legge-truffa che  si è fatta beffe delle “sacre” decisioni degli italiani porterebbe al terzo contemporaneo rimborso per i partiti: per la XV legislatura (Prodi) la XVI (attuale) e la XVII (nuova).
E si tratta di rimborsi enormi, ben più grossi delle spese sostenute: il Pdl, ad esempio, per il 2008 riceverà un rimborso di oltre 205 milioni di euro a fronte di spese accertate di poco più di 53 milioni, il Pd di 180 milioni a fronte di esborsi pari a 18 milioni e l’Udeur (l’Udeur???) continuerà a ricevere rimborsi fino al 2013.

Tutto mentre Roma predica sacrifici e razzola negli sperperi, i cittadini aggiungono buchi su buchi alla cinghia-groviera che ha più che doppiato il punto vita, i ricercatori vanno alla ricerca… di posti all’estero e i professori, in bagno, insegnano ai figli che uso fare del titolo di studio.

Salina, la luce che resta

Alicudi e Filicudi viste da Salina.

Foto di Gaetano Sampino.

Salina, la luna che resta

foto di Daniela Groppuso

Il coccodrillo come fa?

Giuseppe Giglio mi invia questo foto con allegata spiegazione.

“Quello che vedete è un grande cartello pubblicitario esposto all’aeroporto dell’isola di Langkawi, in Malesia.
Reclamizza una crocodile farm ovvero una sorta di zoo-fattoria, dove si possono amminare i coccodrilli.
Naturalmente, come ogni sito turistico che si rispetti, è incluso nel tour dei padiglioni lo spettacolino  e… la boutique di souvenir. Che, per l’appunto, è stato ritenuto opportuno pubblicizzare nel medesimo cartello, in alto a destra”.