La pecora solitaria

Se c’è una cosa che lo stare soli per scelta ti aiuta a valorizzare, è la conoscenza delle cose. Non è che se vai in eremitaggio o ti chiudi in casa per un mese poi, alla fine, sei più colto. Però è probabile che sia più consapevole.
Vi faccio il mio esempio. Dopo un mese di Cammino portoghese, bellissimo e che consiglio, mi sono beccato per la prima volta il Covid. Da quattro giorni sono murato in casa e solo oggi sono in grado di scrivere due righe incatenate poiché sono stato con 38,8 fisso mattina e sera con rincoglionimento totale.
Quindi quest’estate ho sperimentato due tipi di solitudine, molto diversi tra loro eppure complementari: quello del Cammino tutto fatica e larghi orizzonti e quello del Covid tutto brividi da fermo e vista confinata. Senza il primo non avrei valorizzato il secondo, ve lo confesso.

Perché il Covid che mai avevo conosciuto – sono un iper vaccinato e iper anti-antivaccinisti, tifoso della medicina e nemico delle scemenze – mi ha fatto conoscere qualcosa di me e delle mie reazioni. Sono uno che vive da solo, quindi i momenti di malattia sono una bella prova: se non stai bene solo con te stesso quando sei in forze, figuriamoci appena hai un problema di salute. La febbre non era quella dell’influenza, parlo di sensazioni eh. Era come un motore di grossa cilindrata costretto e contenuto: si capiva che voleva rombare, ma qualcosa lo costringeva, lo soffocava. Era questo che non mi faceva dormire la notte: sentire questo rombo persistente, fisso, che non cala mai e che ti dice “se fosse per me esploderei”.
È lì che ho valorizzato la conoscenza dei vaccini. Non per quel virus dentro di me, ma per il sistema di contagio mondiale che è stato depotenziato grazie alle vaccinazioni. Insomma quel brutto motore dentro di me è domato grazie ai vaccini di tutti voi e se fosse stato per quegli imbecilli della dittatura sanitaria di ‘staminchia, quelli del microchip (che a loro un microchip servirebbe davvero, ma nel cervello), io magari a quest’ora sarei boccheggiante in un ospedale o chissà. Invece sono qui a scrivere, deboluccio, ma con la luce e l’umore giusti.

La conoscenza è anche saper mettere in fila le cose nel modo adeguato. Durante i miei cammini ad esempio ho imparato che i muscoli si allenano, quindi poi hanno meno bisogno di riposo, ma i tendini e le ossa sono quelli più a rischio, e che metterli a riposo è complicato (solo oggi, dopo quattro giorni di completa inattività i miei talloni e le mie caviglie tornano a darmi confidenza). Durante il Covid invece ho imparato che non si può usare una pubblicità di oltre un decennio fa di Dolce&Gabbana per stigmatizzare un crimine come lo stupro. È una stupidaggine anzi peggio è una scorciatoia dei social che rende chi la prende credulone: tipo uno che crede di raccontare una barzelletta nuova quando quella storiella la raccontava Gino Bramieri, 40 anni fa, meglio di lui ovviamente. La storia la scrivono gli storici, non l’utente456 di Facebook.
Non si può ignorare di ignorare.
Ecco perché un po’ di solitudine aiuta. Perché ti toglie l’alibi di condividere i passi che non sono tuoi, ti insegna a sperimentare sulla tua pelle, toglie potere ai polpastrelli e lo dà a sensi che normalmente usi poco, come l’olfatto (anche se durante il Covid…). Perché ti obbliga a smettere per una volta di essere pecora in un gregge di cui manco sai chi è il pastore.

Repertorio dei neo cretini

L’articolo pubblicato su Repubblica Palermo.

Dobbiamo imparare a guardare le cose in modo nuovo. Non è come cambiare gli occhiali, quello significa guardare meglio. Non è più il tempo della messa a fuoco – dando per scontato che a tentoni non si va da nessuna parte – ma quello della ridefinizione. E per fare ciò dobbiamo partire dall’infinitamente piccolo per arrivare all’infinitamente grande. Perché, a guardare le cose in modo diverso, c’è un filo che collega un imbianchino di Favara al fenomeno della polarizzazione delle opinioni nel mondo moderno.

L’imbianchino Domenico Quaranta è un odiatore disordinato che ha scontato sedici anni per gli attentati della metropolitana di Milano e della Valle dei Templi fra il 2001 e il 2002, convertito all’Islam, seguace della filosofia Tik Tok, e autore a tempo perso del raid che ha deturpato la scorsa settimana la Scala dei Turchi. Tanto per dire, è uno che sui social prende in giro il magistrato che deve decidere sulla sua sorte.

Poi c’è l’infermiera delle false vaccinazioni all’hub della Fiera del Mediterraneo di Palermo, Anna Maria Lo Brano. Come prima ammissione dice di aver fatto tutto “per pura amicizia”. Cioè la sua finta vaccinazione, che espone la persona alla malattia, va intesa come segno di vicinanza. Poi però si pente – persino nelle menti più anguste ogni tanto filtra una lama di luce – e dice di non averlo fatto per amicizia, ma per soldi. Il che almeno la rende umana: disonesta, ma con un minimo di senso logico.

E siamo a un altro personaggio di questa narrazione. Il no vax palermitano Filippo Accetta che incarna le grossolane spericolatezze alle quali ci si deve sottoporre al giorno d’oggi per diventare leader di qualcosa o di qualcuno. Lui c’è riuscito inanellando una serie di successi di critica e di pubblico: è stato caporione degli ambulanti di Palermo, di alcuni ex detenuti che chiedevano un lavoro senza lavorare, delle anime di un’immortale destra estrema, ha condiviso alcuni rigurgiti di nuova democrazia della Lega di Salvini, ha elargito benedizioni e ammonimenti dal pulpito della sua pagina Facebook seguita da 44 mila persone, e naturalmente è partito lancia in resta per la lotta di resistenza contro i vaccini. Il suo slogan: la gente come noi non molla mai. Una sola paura ha ammesso, davanti ai magistrati, quella di subire la stessa punturina all’avambraccio che si fa persino ai bambini. Per questo il poveretto è stato costretto a pagare per avere il green pass senza il vaccino. La debolezza del duro.

Poi ci sono due carabinieri, purtroppo senza nome, che si presentano all’hub vaccinale del Centro La Torre mentre medici e infermieri sono allo stremo. Bloccano l’attività per protesta contro la pericolosità dei vaccini o forse lo strapotere della lobby dei farmaci o forse l’atto illiberale di una iniezione di Stato: insomma una di queste o tutte insieme, tanto sempre minestra rancida è.  Intervengono per disturbare la più importante operazione sociale e sanitaria che in questo momento si possa mettere in atto nel nostro Paese. E si piccano di avere il bandolo del discorso, di svolgere non un ruolo ma una missione. Sono in missione per conto di uno Stato che li paga proprio per evitare di essere disturbato da missioni non richieste, e per di più pericolose, come queste.

La galleria dei personaggi di questa storia potrebbe essere quasi infinita. Poiché il Covid è solo l’ultimo catalizzatore di molte reazioni insensate e grottesche: ricordate gli odiatori di Mattarella, Manlio Cassarà e Eliodora Elvira Zanrosso? Il primo appena lo beccarono biascicò a verbale di essersi confuso nell’aver scritto una frase orribile contro il Presidente; la seconda addirittura, che si professava nonna affettuosa, ammise di aver digitato quello schifo perché era su di giri per questioni politiche che afferivano a Grillo e ai 5 Stelle del 2018.

Guardiamoli così, questi minuscoli protagonisti di una cronaca che non li merita neanche, spogliamoli del loro peso simbolico. Cerchiamo di trovare il coraggio di decostruire anche le nostre più disperate certezze. Forse, lontani dall’idea di Eraclito che un solo essere umano può valerne almeno trentamila mentre la folla è zero, riusciamo finalmente a ridefinire. È così che certe storie insulse, che tali resterebbero se non interferissero con le vite delle persone perbene, conducono a un concetto grande e complesso come quello della scomparsa delle complessità. La polarizzazione delle opinioni attuata, con gravi colpe, dai social network ha cancellato le zone intermedie in cui anche chi non aveva i mezzi culturali ed emotivi poteva trovare rifugio. L’incertezza è stato per secoli un porto in cui approdare nell’attesa di scegliere, agire: nelle zone intermedie si pensava e non si digitava d’impulso, magari si trovava il coraggio per farsi una punturina, o semplicemente ci si imbatteva nella dignità di restare dritti anche quando si è storti.

E se i nuovi demolitori non fossero altro che cretini? Anzi neo cretini?

Contro il diritto di uguaglianza

Questo è un post contro il diritto di uguaglianza. Anzi contro la dittatura di doverci sentire tutti uguali quando non solo non lo siamo, ma ci offende persino il pensiero di doverlo essere.Ho fatto, tre giorni fa, il richiamo del vaccino J&J, il cosiddetto booster con Pfizer. Vabbè io sono esagerato (in quanto maschio, capriccioso, e pure viziatello), però mi sono beccato un giorno e mezzo di postumi belli tosti: febbre a 38,5, debolezza, dolori. Poca roba in rapporto all’immenso beneficio che solo il vaccino anti-Covid ci dà. Ma non è questo il punto. Il punto è che io, come altri milioni di persone, ho accettato un disagio fisico (che si ripercuote sul lavoro, sulla socialità e in generale sui cazzi miei) per il bene mio e della comunità tutta. Come sappiamo, nonostante le scemenze dei no vax, il vaccino è l’unica strada percorribile al momento per salvare le nostre vite: biologiche e sociali. Quindi chi lo fa, accettando anche i piccoli disagi che possono verificarsi, compie un atto di civica responsabilità, un po’ come pagare le tasse. Chi invece si sottrae per motivi che non siano strettamente legati alla sua condizione di età o di salute, certifica la propria irresponsabilità. E come tale mi offende, mi irrita e soprattutto mi mette in pericolo. Ecco perché non siamo tutti uguali. Perché io non voglio pagare per le scelte dei pazzi, non voglio che la mia vita sia limitata dagli irresponsabili, non voglio nemmeno stare accanto a chi pensa di giocare con la mia salute credendosi più scaltro. Da questa disuguaglianza sostanziale devono derivare atti politici e amministrativi che sanciscano la differenza, una volta per tutte: senza bizantinismi e compromessi giacché bizantinismi e compromessi non frenano l’avanzata del virus, anzi. Non vedo perché io mi devo beccare febbre e dolori (giustificatissimi) per essere in regola ed essere considerato allo stesso modo di chi se ne frega di vaccini e mascherine, inneggia al complottismo di ‘staminchia e mette in pericolo se stesso (cosa trascurabile) e tutto il mondo che più o meno inconsciamente detesta (adeguatamente ricambiato).

Il desiderio di Ragazza X

Qualche anno fa l’attore porno James Deen ha girato un film con una ragazza che era una sua fan. La chiamava Ragazza X. Non era una novità. Spesso Deen – che in passato è stato accusato, ma poi prosciolto, per stupro – si è concesso alle sue ammiratrici. Metteva su una specie di contest sul suo sito e chi vinceva…
In realtà i video di questo genere hanno poco a che fare con il sesso poiché si tratta di filmati in cui prevalentemente si parla, si filmano le titubanze e comunque se sesso ci sarà, sarà solo un dettaglio. Perché il clou della discussione è “voglio fare sesso con te, ma non voglio mostrarlo al mondo”. Di questo argomento ha scritto qualche mese fa la scrittrice Katherine Angel sul Guardian analizzando il “presunto desiderio di una donna che, anche se si manifesta una sola volta, per un solo uomo, la rende vulnerabile. Come se il suo desiderio non la rendesse più degna di protezione”.
È un tema, generale, e applicabile a tutto il ventaglio di scelte della nostra socialità.
Desiderare è scoprire il fianco?
Auspicare significa necessariamente schierarsi?
Volere è per forza scegliere?
Pensate alle infinite declinazioni di questo argomento. Magari applicandolo al (falso) dilemma sui vaccini: mostrarsi perplessi è già un atto di imperio?
Non ho una risposta perché se è vero che domandare è lecito, spesso è anche vero che rispondere non è cortesia, ma sfogo, liberazione. Viviamo tempi complicati in cui è pericolosissimo desiderare senza filtro, in cui persino la fantasia deve stare attenta al suo genere femminile (e chi lo ha detto che non ci sia un fantasio? E chi ha scritto le regole di questa discriminazione che parte dalle vocali e finisce chissà dove?). Dobbiamo di nuovo imparare a desiderare, senza farci condizionare dal giudizio. E contemporaneamente dobbiamo stabilire un direzione coerente degli auspici, coerente con la storia, con il giudizio, con la buona creanza.

Non è sparandola grossa che si va sulla luna. O che si corona un sogno erotico.

Ciabatte e vaccini

L’altro giorno in un raro momento di relax sotto un ombrellone (ebbene sì, ogni tanto anch’io mi trasformo in un pigro ciabattante vista mare) ho sentito due signori discutere di vaccini. Erano alle mie spalle, ascritti alla categoria dei cosiddetti vicini di ombrellone: sui 40-45 anni, mediamente istruiti, mediamente impigriti dal caldo, mediamente appassionati alle vicende covidesche.
Dichiaravano di non capirci più nulla, e qui siamo in un campo abbastanza neutro. Ma poi concordavano sul fatto che nella confusione generale non ci si può schierare in alcun modo. Insomma non erano contro i vaccini, ma manco a favore. A questo punto avrei voluto intervenire per dire che sulla scienza non ci sono equivoci, o le si crede o si emigra su Marte. Per fortuna il libro che avevo tra le mani e la compagnia che rendeva il clima meno aggressivo mi hanno convinto a dedicarmi ad altro.

Però quelli continuavano.

Tutto è cambiato quando i tizi hanno cominciato ad allargare il discorso, in un’evoluzione tipica che parte dalla misteriosa sparizione delle mezze stagioni e finisce al piove governo ladro, passando per la differenza tra caldo/freddo secco e caldo/freddo umido. Dai vaccini, non so come, la discussione è arrivata ai terrapiattisti e uno dei due ha detto:

“Terra rotonda o terra piatta: che ne so io? Non so niente, chi mi dice qual è la verità?”.

Insomma, con la complicità dell’altro allegro bagnante, il tizio ha imboccato la pericolosa “terza via”, cioè in cui tutto è possibile, teoricamente anche che siamo tutti morti e che i vivi sono i morti stessi, tipo “Sesto senso” al lido Miramare.

La “terza via” è l’aspetto più inquietante del ventaglio di scemenze agitato dai no-vax: scemenze, si badi, che basterebbero da sole per autodissolversi un pozzo nero ma che, proprio perché vacanti di ogni minimo contatto con la realtà, sono quasi impossibili da estirpare. Il “che ne so io” è una pericolosa miscela di qualunquismo, egoismo e angustia mentale che supera per drammaticità sociale l’ignoranza del tale che scende in piazza agitando la foto di un ago-che-starebbe-dentro-l’ago-che-inietta-il-vaccino (una cazzata talmente enorme che è impossibile da spiegare, guardate qui). Perché vorrebbe essere deresponsabilizzazione allo stato puro e invece è il via libera alla prima panzana che atterra dal web, un vile omicidio della buona creanza.

Insomma nonostante questo attentato alla mia salute mentale in un momento di abbandono balneare, quando i freni inibitori sono bloccati dalla salsedine, ho resistito alla tentazione di alzarmi e usare le ciabatte in modo poco consono. Una parte della mia autostima mi ha comunicato che si trattava di un successo del sistema di autocontrollo ben oliato dalla mia (santa) psicologa, un’altra mi ha sussurrato di non illudermi e di considerare che invecchiare significa anche imparare a sopportare. Ommm.

Gli avvoltoi su Report (che sbaglia)

La sensazione è che non aspettavano altro. Tutti in fila ad attendere il passo falso di Report per ottenere due risultati in un sol colpo: mettere o rimettere le mani sulla Rai e soprattutto togliere di mezzo uno dei pochissimi programmi di inchiesta rimasti nel nostro Paese.
Il servizio sui vaccini era sbagliato, ok. Mancava di prospettiva, di aperture scientifiche: sarebbe bastato usare la testimonianza cruciale come spunto di approfondimento e dar voce alla Scienza con la esse maiuscola (ne abbiamo parlato diffusamente qui).
Ma epic fail a parte, restano i meriti storici di un programma difficile da realizzare e impossibile da cancellare. Report è il manuale di un giornalismo in estinzione, è la risposta argomentata ai bimbimikia di Facebook, è il totem contro il nauseabondo dilagare delle fake news. E un errore, seppur grave, non può oscurare la sua stella.
Il valzer della politica attorno al giornalismo è la parte più grottesca della vicenda. Movimenti che volevano abolire la Rai s’inventano paladini della televisione pubblica. Figuri più o meno loschi che sul complottismo (e su un certo negazionismo di maniera) hanno basato le loro fortune, cantano (e pure in modo stonato) vittoria. Partiti che predicavano un inconfessato perdonismo per i loro accoliti beccati con le mani nella marmellata si scoprono intransigenti sostenitori del castigo esemplare e della pena certa. Insomma un incrocio di cattive intenzioni e di infelici trasversalismi.
Ricordiamocelo: peggio di un’informazione sbagliata c’è solo una correzione sbagliata.