Il fatto è che mentre la musica non è mai stata così redditizia per gli artisti di grande successo, quella che si è andata riducendo – com’è successo anche in altri campi – è la fascia intermedia di musicisti che un tempo riuscivano a guadagnarsi da vivere anche senza mai arrivare ai vertici delle classifiche. Non diventavano straricchi, ma tiravano avanti e godevano di una certa stabilità. In sostanza, si è ridotta la classe media: quella con carriere durature e case discografiche disposte a finanziare anche gli album non destinati a vendere milioni di copie. Quello che ci resta, oggi, è una specie di “tutto o niente”, per cui o scali le vette più alte o langui miseramente in basso.
Negli anni Ottanta a Palermo c’era una cittadella sotterranea della musica. Era un grande garage in via del Granatiere, un posto che poteva essere lugubre come un budello di cemento che scendeva per tre piani sotto il livello della strada e che invece era felicemente incasinato. Decine di box ospitavano band di varie perizie ed estrazioni: c’era il rock metallico di un gruppetto di adolescenti che avevano più brufoli che borchie e lo ska di un trio di indecisi che amavano il reggae ma non lo sapevano suonare; c’era la nostra fusion in bilico tra Frank Zappa e le Cozze e la samba di un tale che entrava e usciva dalla galera perché non era ancora stata stabilita (o inventata) la modica quantità. Continua a leggere Quando suonavamo
Per una generazione di cinquantenni, Pino Daniele è stata la scoperta della poesia della musica. Perché noi quindici-sedicenni degli anni Settanta siamo stati davvero fortunati. Avevamo la discomusic per ballare, musica vera suonata da esseri viventi mica dalle macchine. Avevamo il rock per suturare le ferite della giovinezza. Avevamo Dalla e De Gregori (alcuni anche Baglioni, ma non io) per cantare in coro nel nostro primo concerto da stadio. E avevamo lui. Pino Daniele era il suono della pioggia sulla terra calda e la misteriosa alchimia dell’inglesismo di cui non capivi un cazzo ma c’entrava eccome nella tua vita acerba e felice. Era il virtuosismo di una band che ci faceva sognare di essere lui, loro. Erano i mille playback che facevamo davanti allo specchio di casa quando alla radio passava una sua canzone. Era l’immortalità della poesia.
Senza Pino Daniele la musica della nostra generazione va definitivamente in archivio. Oggi l’artista che ci aveva riempito il cuore con un’opera che evocava tutto fuorché la pienezza, “Nero a metà”, ci lascia affamati. E purtroppo chi ama non è sentimentalmente onnivoro.
I Pomplamoose, non nuovi da queste parti, sono un duo californiano che fa dei video da manuale: ciò che ascolti, vedi. Sono una specie di tutorial per chi magari è digiuno di arrangiamenti e vuole capire come si struttura, in modo semplice, un brano. Prendete ad esempio questa cover dei Wham!, sembra un manuale di Paul Kent.
Tra mille video conditi da effetti speciali e invenzioni tecnologiche, vi segnalo questo “Happy” di Pharrel Williams (quello che cantava in “Get Lucky” dei Daft Punk) dalla colonna sonora del film “Cattivissimo me 2”. La canzone, candidata ai prossimi Oscar, è più che ripetitiva però il filmato rende bene il concetto del perché sono felice. Enjoy.
Nel settembre scorso mi incuriosì la vicenda di Salvo Castagna, il cantante-imprenditore che stupì la nazione acquistando un costoso spazio pubblicitario su Raiuno durante la partita di calcio Italia-Repubblica Ceca per far conoscere una sua canzone. Il motivetto era piacevole, l’idea di uno che investe su una passione mi affascinava, insomma intuivo che c’era una storia da raccontare. Concordai con la Repubblica un pezzo e chiamai Castagna che era ora di cena.
Avevo una certa urgenza di scrivere il pezzo perché già il web si era accorto del personaggio e il cartaceo cercava di mettersi in pari col consueto ritardo. Il tizio non rispose alla mia telefonata ma mi mandò un sms chiedendomi chi ero e che volevo. La cosa in qualche modo mi insospettì: uno che ha una canzone in promozione non fa lo schizzinoso al cellulare, risponde e basta, soprattutto se è soltanto Salvo Castagna. Comunque mi presentai e spiegai ulteriormente. Lui, sempre via sms, fu abbastanza scostante e mi scrisse che forse potevamo risentirci l’indomani. Io feci presente, sempre via sms, che i miei tempi erano molto ristretti. E lui che fece? Mi liquidò dicendomi che allora l’articolo non gli interessava: unico caso al mondo di esordiente che rifiuta un pezzo su un quotidiano che non è proprio l’Eco di Carrapipi. L’indomani Castagna fu ospite all’edicola di Fiorello, dove fece la figura del dilettante e non solo dal punto di vista musicale.
Un paio di giorni fa la mia amica Stefania Petyx, grande cacciatrice di notizie, ha raccontato su Striscia la notizia chi è davvero questo Salvo Castagna: uno che ha tirato su una compagnia telefonica senza pagare i creditori, uno che alla faccia dei debiti gira in Ferrari, uno che ha millantato di aver conseguito una laurea al Massachusetts Institute of Technology (Mit) di Boston, uno che chiacchiera troppo insomma.
Ecco alla luce di tutto questo, quell’intervista mancata è stata tutto sommato una fortuna. Perché, affascinato da un brandello della storia di questo Salvo Castagna, avrei probabilmente contribuito in modo del tutto involontario alla costruzione di un personaggio che non merita neanche un castello di sabbia. Ci stavo cadendo, insomma.
Nessuno è infallibile: queste righe rappresentano un mea culpa.
Una volta, quando lo intervistai, Michel Petrucciani mi disse: “Sono stufo di essere descritto a mezza voce come uno sgorbio che suona da maledetto figlio di puttana, io sono uno sgorbio che suona come un maledetto figlio di puttana”.
Ci pensavo ieri, mentre riascoltavo per l’ennesima volta She Did It Again. Ascoltatela anche voi alzate il volume e, se non lo avete mai sentito prima, fatevi un’idea di come volava sul pianoforte quest’omino sgraziato a cui la natura aveva tolto centimetri corporei e donato le ali dell’arte più sublime.
Indovinate chi è questo distinto signore? Un aiutino, negli anni ’80 era il leader di gruppo musicale bello tosto. La risposta (e qualche altra sorpresa) la trovate qui.