Schettino e il naufragio dell’informazione

Il caso della gaffe di Televideo su “Io capitano” associato alla storia di Schettino e del naufragio della Concordia rimanda a due considerazioni, che vi porgo in modo spero agile (perché il discorso potrebbe essere complesso).

La prima riguarda il disagio dei giornalisti come categoria in un Paese (verrebbe da dire in un mondo, ma restiamo circoscritti) che legge sempre meno e che, soprattutto, è sempre meno interessato alla qualità della lettura. E lettori pessimi si accontentano di giornali pessimi. Lo dimostra il fatto che esistono ottimi prodotti editoriali che nessuno compra, perché si preferisce la spazzatura gratuita dei social o di bassa lega.
Le redazioni sono svuotate per motivi economici, il lavoro che veniva fatto da dieci persone è oggi fatto da due, il che alimenta l’offerta di informazione scadente. In più ci si mette l’uso folle dell’intelligenza artificiale, che pare aver un ruolo nell’incidente di Televideo.

La seconda considerazione è figlia della prima. Nei giornali che vogliono essere troppo nuovi le decisioni editoriali sono guidate da statistiche che, analizzando ciò che genera più traffico, decretano la morte dell’idea originale, del guizzo, della bracciata controcorrente. In un loop paradossale (di cui stiamo già pagando le conseguenze) gli algoritmi non riflettono solo le tendenze, ma addirittura le creano incrementando la popolarità di temi già popolari e determinando una polarizzazione dei lettori che non riflette gli equilibri reali. Insomma – come scrissi qui qualche tempo fa – se a nessuno viene mai spiegato che la musica elettronica o l’architettura postmoderna sono argomenti importanti, è molto difficile che qualcuno li tratti come tali.
La verità è una sola: il ruolo del giornale come arbitro si sta perdendo. Se i dati dicono che gli argomenti provinciali sono i più rilevanti, anche il giornale diventerà provinciale. Morale storta: cercando di essere più grandi, si rischia di diventare più piccoli.
Il bello, o meglio il brutto, è che colpevolmente quasi nessuno nelle aziende editoriali italiane (e non) è mai stato colpito dall’idea che bisogna cambiare radicalmente il modo di lavorare, di scegliere le notizie, persino di reclutare giornalisti. Ma questo è un problema di conoscenza e di coraggio. E il coraggio viene dopo.

Crash

Stamattina la mia amica Barbara mi ha chiamato in causa su Facebook per una catena di segnalazioni di film, una cosa di quelle tipo “un film al giorno, posta una foto eccetera”. Io non amo questo tipo di giochi social, ma quel post mi ha innescato un pensiero. E quel pensiero si è solidificato: ho cercato il film che avrei voluto suggerire, il mio film, e non l’ho trovato su Netflix, Sky e Amazon. Allora ho esteso le ricerche e alla fine l’ho beccato su Google Play Film. E l’ho comprato per non doverne mai più avvertire la mancanza.

È un grande film. Ha vinto tre oscar nel 2006, ma non è questo che ne fa un capolavoro. La grandezza sta nel fatto che è un film che sembra essere stato scritto per questi nostri giorni, pur arrivando dal decennio scorso. È il più lacerante film sulla rabbia che abbia mai visto. Parla della diversità e dello scempio della tolleranza. È un film sulla speranza che nasce dal dolore e sullo scontro delle esistenze, sul pregiudizio e sulla precisione chirurgica con la quale il destino può sbagliare.

Si chiama Crash. Ed è il mio film.

Roma goes to Hollywood

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Poche parole su “La grande bellezza” di Paolo Sorrentino, dato che non dirle sarebbe omissione e dirne molte sarebbe sbrodolamento in ritardo.
Il soggetto è discreto, ma è la sceneggiatura a essere eccezionale. Servillo si muove con consueta leggiadria nei ruoli più pesanti: riluce nel buio senza abbagliare, ed è un ulteriore segno di grandezza.
I movimenti della macchina da presa 2013/32886/ giochi da casino gratis /SCO dell’ 11 novembre 2013 – Revoca della convenzione di concessione n. scandiscono bene il trascorrere delle emozioni, tra salotti affollati e atmosfere decadenti. E il modello romano che ne viene fuori è piacevolmente irritante, verosimile come la folla di mantenuti che riempie la nostra politica.
Ecco, se una cosa mi è rimasta di tutto il film, è il piacere di assistere a un’opera confezionata con grande cura dei dettagli. Il che nel panorama del cinema italiano, denso di idee senza confezione e di confezioni vuote di idee, è davvero incredibile.
Specchio dei tempi: il simbolo dell’Italia, della città eterna, della genialità mediterranea, è un film tipicamente hollywoodiano.

Happy, almeno in video

Tra mille video conditi da effetti speciali e invenzioni tecnologiche, vi segnalo questo “Happy” di Pharrel Williams (quello che cantava in “Get Lucky” dei Daft Punk) dalla colonna sonora del film “Cattivissimo me 2”. La canzone, candidata ai prossimi Oscar, è più che ripetitiva però il filmato rende bene il concetto del perché sono felice.  Enjoy.