Non ci bastava l’ossimoro Domenico Scilipoti dei Responsabili (il movimento creato per appoggiare Silvio Berlusconi), ora questo Paese ha anche a che fare con gli scajoliani (cioé i deputati fedeli a Claudio Scajola).
Perché, diciamolo, una cosa è far passare per responsabile uno che è stato eletto con l’Idv e che finisce con il dare appoggio al governo che dovrebbe contrastare, un’altra cosa è ipotizzare una corrente che veda come punto di riferimento Claudio Scajola.
Scajola, già. Uno che da ministro dell’Interno diede l’ordine di sparare sui manifestanti del tragico G8 di Genova se solo ci fosse stato uno sbordamento nella zona rossa. Uno che diede del rompicoglioni al povero Marco Biagi, appena assassinato. Uno che fece istituire una tratta Alitalia che collegava casa sua (e il suo collegio elettorale) con Roma. Uno che ha sempre detto di non sapere che qualcuno gli pagava la casa appena acquistata.
Se la decenza fosse cemento, l’Italia sarebbe il più grande polmone verde del mondo.
Ieri il premier Silvio Berlusconi ha fatto il bilancio dei primi 14 mesi di vita del suo governo. Ecco i punti salienti del suo lungo intervento.
I giornalisti della Rai non possono attaccare il governo, mentre è auspicabile che si attacchino al tram.
Sempre più militari in strada, più precisamente in mezzo.
Con la Libia, la festa delle vendette è diventata la festa dell’amicizia. Donne e champagne li ho portati io.
Abbiamo risolto l’emergenza rifiuti a Napoli come a Palermo. Abbiamo tolto l’immondizia dai cassonetti e l’abbiamo gettata a mare. Ora provate ad appiccare il fuoco.
Col ritorno al nucleare gli italiani pagheranno meno l’energia. Nel paniere dell’Istat inseriremo le cure oncologiche.
Quella della scuola è stata una riforma di buon senso. Mandare i bambini a protestare per strada è stato un gesto di pessimo gusto: mi scrivono ancora molti poliziotti risentiti perché non gli erano stati forniti i manganelli adatti.
Alitalia è rimasta in mani italiane: vale il motto tutti per uno, uno per tutti. Praticamente una gang bang.
Contro di me solo calunnie. Non ho scheletri nell’armadio: sennò che minchia mi tenevo a fare tutte quelle tombe fenicie in cantina.
Fedele alla tradizione di fare spettacolo con personaggi banali, gretti, diseducativi e possibilmente volgari (e che quindi dovrebbero essere tenuti lontani da un qualsiasi spettacolo), il Grande Fratello 2009 punta su un’hostess dell’Alitalia. Non un’hostess qualunque, naturalmente. La prescelta è Daniela Martani, una che ha il merito di aver agitato un cappio, mentre con la sua divisa posava davanti ai fotografi – non lavorando – per difendere il suo lavoro – non lavorando – nei giorni della vertenza Cai, e lasciando a terra – non lavorando – migliaia di passeggeri che avevano pagato un regolare biglietto.
Istantaneamente promossa “icona della protesta”, la suddetta signora è descritta sui giornali come la pasionaria di Alitalia. Sembra che l’appellativo le piaccia, perché essendo spagnoleggiante ben si abbina alla sua pettinatura.
Non ho dubbi che la Martani al Grande Fratello farà un figurone.
Non lavorando, ovviamente.
Non so se ci avete fatto caso, ma c’è una recrudescenza di notizie di cronaca giudiziaria non di poco conto. Nel giro di poche ore, su e giù per lo Stivale, si è arrivati al giro di vite per un’inchiesta sugli appalti a Napoli che ha mandato in carcere un paio di assessori comunali e ha coinvolto un manipolo di altri affaristi (imprenditori e parlamentari compresi), si sono chiesti quattro anni per l’avvocato Mills in ragione di un rapporto di sudditanza nei confronti di Berlusconi, si sono indagati per bancarotta i vertici pregressi di Alitalia, si sono chiuse le indagini per l’inchiesta Why Not, si è assistito a uno scontro tra un giudice e un ministro sul destino di un essere umano in stato vegetativo.
E’ inevitabile che qualcuno – e non certo sbagliando – si interroghi sul peso della giustizia nella vita di questo Paese. E non certo per quello strapotere di cui si vagheggia, quanto per una certa indole molto italica che vuole la giustizia difesa da tutti, ma tenuta a distanza dagli interessi di ciascuno. Come i bambini vivaci: belli, cari, ma a casa d’altri. La giustizia, insomma, esercita una sorta di fascino perverso.
Sono di quella corrente di pensiero che sostiene l’importanza di una cura efficace, anche dura e dolorosa, al di sopra di qualunque palliativo. Non credo che Mani Pulite avrebbe sortito gli effetti indesiderati che ha avuto, se non ci fosse stato un cancro politico e sociale da aggredire. C’era una metastasi, si doveva ricorrere a un intervento mutilante: nessun altra via.
Tuttavia farei la figura del pesce in barile (e io odio le conserve ittiche) se dimenticassi un passaggio della lettera dell’anarchico conservatoreGiuseppe Prezzolini a Giovanni Amendola: la giustizia e i suoi palazzi sono qualcosa da cui è saggio cercare di stare il più lontano possibile.
Il consiglio vale solo se lo si pronuncia con avvilimento.