La banda delle spalle lussate

Mi sono lussato una spalla, porto un tutore scomodissimo, vado in giro con una manica del maglione penzolante con conseguente effetto “tre braccia” che fa molto maniaco sessuale, e ho l’umore talmente nero che al confronto un corteo funebre è un’adunata di mattacchioni. Il tutto in un periodo di bug tecnologici che rimandano più al rito voodoo che alla nuvoletta di Fantozzi. Insomma, probabilmente qualcuno mi pensa ardentemente con sentimenti non proprio amorevoli.
Per questo sono rimasto spiazzato, e piacevolmente, davanti al manifestarsi spontaneo di una confraternita di perfetti sconosciuti che appena ne hanno l’occasione condividono con me l’esperienza di una spalla scassata. Dovunque vada, a fare la spesa, al lavoro, se cazzeggio sui social o se passeggio per strada, c’è quasi sempre qualcuno che mi ferma e che mi dice: “Eh, ti capisco!”. E via con la narrazione.
Non sapevo di quest’epidemia di spalle lussate, non immaginavo che un simile accidente – che è comunque una cosa risolvibile e non grave – potesse generare una spinta aggregativa e di altruismo così vigorosa.
Ci ho pensato su, per capire quale potrebbe essere il fattore scatenante. E, analizzando le frasi che mi vengono rivolte da questi caritatevoli sconosciuti, ho capito tutto.
Il dolore.
La spalla lussata provoca un dolore fortissimo, il più forte che abbia mai provato. Un dolore che però ha una specie di sortilegio in sé: scompare istantaneamente quando la testa dell’omero torna al suo posto. Un istante prima stavi per svenire (io piangevo, giuro!), un istante dopo tutto si placa. On – off. Nero – bianco. Orrore – piacere.
Ecco, andando per astratto, il senso di molte esperienze che ci accomunano è proprio questo: se il dolore affratella, il sollievo dal dolore rende complici. E più il sollievo confina col dolore, più l’incisione nella corteccia della memoria è profonda.
Insomma anche una spalla lussata può essere un’occasione per inventarci migliori (senza facili buonismi).
Se una sofferenza ci rende malvagi l’abbiamo sprecata.

Buon Natale e buona memoria

Esperimento. Per via del decimo compleanno di questo blog, ho fatto un’attenta ricognizione nel mio archivio (che poi è anche il vostro, dato che si tratta di cose pubbliche e pubblicate) e ho ripescato le parole seminate in tutti i Natali passati. Ne è venuto fuori un risultato impressionante, almeno per me.
Cose che ho messo qui in vetrina anni fa sembrano pensate oggi. E non per merito mio, ma per l’onestà della cronaca che non ha né padrini né poteri forti che la spalleggiano. Nell’avvertirvi che il post è un po’ lungo, vi assicuro che non c’è alcuna manipolazione. Per questo, ad ogni passaggio troverete un link di riferimento che vi porterà al post originario.
Siamo invecchiati eppure non troppo è cambiato. Non so quanto sia di consolazione. Però siccome sono, come si dice, un inguaribile ottimista penso che è già una cosa meravigliosa ritrovarci (quasi) tutti qui a parlare di noi anziché fare melina coi soliti discorsi sui parvenu della verità acquisita. Insomma ribadisco un concetto antico per chi frequenta queste pagine: noi siamo chi siamo stati.
E così diamo il via alle danze.

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La verità prima di tutto

facceCi ho pensato su. Ero tentato di lasciar perdere, ma poi mi sono detto: perché buttare alle ortiche la mia (seppur modesta) esperienza di trent’anni e passa di professione? Quindi ho deciso: da oggi cercherò di difendere le notizie vere con ogni mezzo a mia disposizione, web, carta, radio. Ricorrerò al classico fact checking, vi chiederò di collaborare inviandomi le vostre segnalazioni via mail, e opererò sul campo dei social per identificare con nomi e cognomi i portatori di notizie false. Diciamo che è una sorta di campagna anti-contraffazione applicata alle notizie. Perché se uno vende una borsa Gucci falsa può essere denunciato e chi spaccia bufale per verità se la deve passare liscia? Anche perché, alla luce di quello che sta accadendo nel mondo (Brexit, Trump, situazione politica italiana) i danni delle scempiaggini propalate nel web sono maggiori di quelli causati da una cinta dal marchio falsificato.
Quindi non guarderò in faccia nessuno, non mi interessano le fazioni politiche: la verità è un caleidoscopio di informazioni ed è troppo preziosa perché qualcuno ci metta in mezzo una patacca. #laveritaprimaditutto

Parola di Guido (il post più bello)

Per indole e per mestiere ho i muscoli del cinismo ben allenati. Leggo, digerisco, smaltisco parole (non sempre in quest’ordine) e, soprattutto su Facebook, lascio che sia il mio cuore bonsai a giudicare cosa salvare e cosa no.
Stilo anche una personalissima classifica delle cose peggiori, ma qui ve la risparmio. Perché è del meglio che voglio parlarvi, anzi è il meglio che voglio farvi leggere.
Il post più toccante e delicato che mi sia capitato di leggere negli ultimi mesi è di un ragazzo che ho visto nascere (lui non si ricorda nemmeno chi sono, ma è così che funziona quando si invecchia: la memoria scava nelle menti più decrepite e mette in salvo quelle più giovani).
E’ un fratello che scrive di una sorella che non c’è più, e lo fa con una delicatezza che fa evaporare anche le lacrime. Che sono la cosa più inutile quando ci si vuole concentrare, perché annebbiano quel che deve essere ben visibile: un pensiero, un’occasione, una mancanza.
Per una volta copio e incollo da Facebook. 

di Guido Morello

Il tempo di lettura è di circa due minuti, si tratta di una di quelle storie che potrebbe strappare qualche lacrimuccia, ma oso dire che si tratta di una storia a lieto fine.
“Forse posso fare un riassunto di quello che mi è successo negli ultimi cinque anni, tra i più turbolenti ma anche formativi della mia vita.
La mia vita era per lo più un susseguirsi di serate in discoteca e piccoli quesiti esistenziali le cui risposte mi interessavano relativamente.
Erano riflessioni per verificare che la mia vita non fosse legata soltanto alla ricerca del divertimento.
Il futuro si presentava tranquillo, come il mare all’alba di una bella giornata d’estate. Nulla lasciava presagire che il tempo sarebbe presto cambiato. Continua a leggere Parola di Guido (il post più bello)

Luoghi terribili e indimenticabili

Sant'Erasmo

Qualche giorno fa ho accompagnato una persona in un breve tour di luoghi terribili e indimenticabili di Palermo. L’occasione non era ovviamente turistica, ma di lavoro. Oltre che dall’incantato stupore del mio ospite nell’accarezzare con lo sguardo bellezza e abbandono insieme, sono rimasto colpito dalle sensazioni provate da me stesso che quei luoghi li conoscevo abbastanza bene.
A Sant’Erasmo ho provato a immaginare il placido porticciolo così tipicamente maleodorante, nonostante una congerie di lavori di sistemazione, popolato dai killer di Cosa Nostra che lo usavano come luogo di scarico di cadaveri più o meno liquefatti. A pochi passi c’è infatti la “camera della morte” in cui i mafiosi torturavano, uccidevano e scioglievano nell’acido i nemici di turno. Oggi è tutto un panorama di ordinaria e persino bella desolazione: l’acqua oleosa, qualche pesce coraggioso, la cornice montuosa sullo sfondo.

Omicidio don Pino Puglisi

Qualche chilometro più avanti, a Brancaccio, ci siamo fermati davanti alla casa di don Pino Puglisi, dove il piccolo prete coraggioso fu ucciso il 15 settembre 1993 nel giorno del suo compleanno. Qui la bellezza è tutta nella memoria. Il luogo in cui don Pino se ne andò guardando serenamente in faccia i suoi assassini splende di una speranza imbarazzante che francamente commuove. Provate a passare da questa piazzetta brutta e isolata, piazza Anita Garibaldi, e fermatevi davanti all’orribile monumento messo su per onorare il sacrificio del prete: troverete qualcosa che vi prende, vi porta a quella notte calda e, per chi ci crede, vi mette davanti all’imperscrutabile segno divino (più imperscrutabile che divino, a dire il vero).

Pastelli

infanzia felice

Non è mai troppo tardi per avere un’infanzia felice.

La frase rimbalza da un libro all’altro, da un autore all’altro. Io l’ho afferrata ne “I figli dei guardiani di elefanti” di Peter Høeg, ma lo scrittore danese si spoglia di ogni responsabilità sull’attribuzione e fa dire genericamente al suo personaggio di averla letta “in un libro in biblioteca”. Nulla di più.
Scavando nel web si trovano rimandi allo scrittore Tom Robbins e ancora allo psicologo Richard Bandler. Ma questa è solo circostanza, a noi interessa la sostanza. Che è questa: se si è fortunati c’è molto tempo per invecchiare, tanto quanto per rimanere giovani. Il confine tra le epoche della vita lo spostiamo ogni giorno, avanti e indietro, senza un andamento costante, senza una direzione fissa. Si può ringiovanire e invecchiare di colpo, basta cambiare colonna sonora, guardarsi più che guardare. L’idea di un’infanzia da continuare a colorare, come quegli album in bianco e nero che da bambini imbrattavamo coi pastelli, è l’unico argomento che abbiamo per combattere la noia della biologia che ci vuole ogni giorno più canuti, più curvi, più incazzati. Basta trovare il pastello giusto e ripulire la propria vita sporcandosi le mani di cera. E al limite scambiarselo, condividerlo. Essere giovani da soli che senso ha?

Einstein e la relatività (questione di compagnie)

insieme

Nel giorno in cui si celebra la scoperta delle onde gravitazionali ho solo un modo, da ignorante cosmico, per celebrare in queste pagine la grandezza di Albert Einstein che queste cose aveva capito prima degli altri, con un secolo di anticipo. Riportare una sua allegra spiegazione della teoria della relatività, che da sola vale non un nobel, non una presenza solida nella storia, ma addirittura la santità (l’allegra spiegazione, non la teoria).
Questa:

Quando un uomo siede vicino ad una ragazza carina per un’ora, sembra che sia passato un minuto. Ma fatelo sedere su una stufa accesa per un minuto e gli sembrerà più lungo di qualsiasi ora. Questa è la relatività.

Nel nome della rosa

Mario Calabresi
Mario Calabresi

Non ci deve essere vergogna ad ammettere le proprie debolezze. Ho quasi tutti i difetti del mondo, e una schiera di testimoni infinita per elencarli, ma so per certo di non essere un invidioso.
Tuttavia devo confessarlo: in questo momento io invidio Mario Calabresi. Non perché è a capo di un grande giornale, non perché ha bruciato le tappe, tutte, di una vita non facile, non per il potere acquisito.
Lo invidio perché è chiamato a gestire un progetto rischiosissimo. Che è motivazione, giustificazione, droga e antidoto al tempo stesso. Lo invidio perché non può perdersi tra pensieri inutili e al contempo affidarsi solo all’utilitarismo. Lo invidio perché è seduto su una sedia scomoda e probabilmente dorme poco e male, a buon dirittto. Lo invidio perché ha una bomba tra le mani che è anche un giocattolo, e sa che la differenza tra una bomba e un giocattolo è solo nel numero degli spettatori che possono parlarne.
Non vorrei essere lui se rinascessi, ma vorrei esserci.
Chissà.
Forse il giornalismo è come la vita, o come certi romanzi. Stat rosa pristine nomine, nomina nuda tenemus.

L’unico augurio

speranzaGli auguri di Natale sono come le opinioni sulla Nazionale di calcio, ognuno crede di avere l’illuminazione giusta. Però me ne frego e sarò breve.
È stato un anno complicato, denso di emozioni, pieno di cose, alcune delle quali non mi mancheranno. Un anno di resistenza e di avventure. Un anno di soddisfazioni e di errori. Ci siamo fatti belli su Instagram, siamo apparsi intelligenti su Twitter, abbiamo stretto amicizia su Facebook, e poi magari non ci siamo rivolti la parola per ore mentre eravamo seduti accanto. Abbiamo sognato la fuga quando la vera trasgressione era rimanere, e ci siamo dimenticati che, non a caso, amare e lottare hanno in comune una cosa che si chiama passione. Ci siamo concentrati su piccolezze che meritavano poco meno di un pensiero flash e ci sono sfuggiti attimi preziosi che purtroppo non torneranno più.
Siamo stati forti, spesso inutilmente.
Ci siamo creduti furbi, spesso inutilmente.
Ci siamo sentiti utili, spesso inutilmente.
Non ci siamo confessati abbastanza che, in fondo, anche per arrendersi ci vuole coraggio. Molte cose abbiamo fatto credendo, in realtà, di farne altre. E in questa confusione di intenzioni, obiettivi, ambizioni interconnesse e speranze sconnesse abbiamo cercato di diluire le nostre debolezze senza capire che l’unico augurio sincero e dal pratico effetto è, in fondo, chiedere scusa.