Qualche giorno fa ho accompagnato una persona in un breve tour di luoghi terribili e indimenticabili di Palermo. L’occasione non era ovviamente turistica, ma di lavoro. Oltre che dall’incantato stupore del mio ospite nell’accarezzare con lo sguardo bellezza e abbandono insieme, sono rimasto colpito dalle sensazioni provate da me stesso che quei luoghi li conoscevo abbastanza bene.
A Sant’Erasmo ho provato a immaginare il placido porticciolo così tipicamente maleodorante, nonostante una congerie di lavori di sistemazione, popolato dai killer di Cosa Nostra che lo usavano come luogo di scarico di cadaveri più o meno liquefatti. A pochi passi c’è infatti la “camera della morte” in cui i mafiosi torturavano, uccidevano e scioglievano nell’acido i nemici di turno. Oggi è tutto un panorama di ordinaria e persino bella desolazione: l’acqua oleosa, qualche pesce coraggioso, la cornice montuosa sullo sfondo.
Qualche chilometro più avanti, a Brancaccio, ci siamo fermati davanti alla casa di don Pino Puglisi, dove il piccolo prete coraggioso fu ucciso il 15 settembre 1993 nel giorno del suo compleanno. Qui la bellezza è tutta nella memoria. Il luogo in cui don Pino se ne andò guardando serenamente in faccia i suoi assassini splende di una speranza imbarazzante che francamente commuove. Provate a passare da questa piazzetta brutta e isolata, piazza Anita Garibaldi, e fermatevi davanti all’orribile monumento messo su per onorare il sacrificio del prete: troverete qualcosa che vi prende, vi porta a quella notte calda e, per chi ci crede, vi mette davanti all’imperscrutabile segno divino (più imperscrutabile che divino, a dire il vero).