In cammino da dieci anni

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Oggi questo blog compie 10 anni. E già questo basterebbe per dire: miii! Nell’era dell’ultravelocità, della compressione temporale, dell’istantaneità di Snapchat, dell’invecchiamento subitaneo dei concetti, un blog che dura da 3.650 giorni, con 3.480 post pubblicati e 18.630 commenti, va in qualche modo celebrato (che sia il mio o quello di qualcun altro).
E allora partiamo con la parte più semplice, quella che compone la short version di questo pezzo.
Come siamo cambiati?
Politicamente siamo avanzati di pochi passi, quello che serve per poter tornare indietro senza fatica non appena se ne presenta l’occasione.
Tecnologicamente siamo extraterrestri rispetto a dieci anni fa, basti pensare alla rivoluzione degli smartphone che ha influenzato i nostri costumi.
Sul fronte del web lo tsunami dei social ha cambiato l’orografia dei luoghi digitali. Un esempio per tutti, tra quelli che mi riguardano direttamente in questa occasione: il trasferimento dei commenti dal blog a Facebook, cioè dal luogo primigenio dell’idea, a quello in cui l’idea è semplicemente messa in vetrina. Ci ho messo del tempo per adattarmi a questo circolo innaturale dell’opinione: io scrivo sul blog, posto il link sul social, la gente dal link del social va a leggere il blog, quindi torna indietro, e poi va di nuovo in avanti, al social, dove commenta qualcosa che lì non c’è, perché il testo originale è nel blog. In principio credevo di trovarmi di fronte a una sorta di schizofrenia, poi però ci ho fatto l’abitudine: del resto anche il cilicio col tempo diventa meno straziante.
C’è stato un momento, lo scorso anno, in cui ho avuto la tentazione di mollare. Gli impegni personali, l’invadenza dei social network, la mancanza di grandi stimoli di cronaca mi avevano fiaccato. Ma proprio mentre stavo per vergare la mia letterina di addio mi è capitato di rileggere alcune di queste pagine e di rivivere l’emozione di un tempo, quando scrivevo qui per missione, per vendetta, per esigenza vitale. All’improvviso mi sono imbattuto in un commento di una persona che poi, proprio grazie al blog, è diventata amica: mi faceva il complimento più bello.

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Ecco che cosa cerchiamo noi che viviamo di parole scritte. Cerchiamo altre parole scritte che ci sostengano, perché noi non siamo cemento, ma mattoni. E i mattoni da soli non servono a niente se non c’è qualcosa che li tenga su, impilati e solidi.
Questo penso al traguardo di questi dieci anni. E per questo vi ringrazio. Per essere stati cemento, tutti voi.

 Fine della short version.

 

Per chi ha ancora voglia e pazienza di leggere c’è poi il capitolo personale.

Questo blog e questo decennio hanno camminato a braccetto. Ero triste, scrivevo. Ero felice, scrivevo. Avevo troppe cose da fare, scrivevo. Ero annoiato, scrivevo. C’è stato un momento in cui con un caro amico si pensò di tirarne fuori un libro da leggere in due direzioni, quella della cronaca e quella dei sentimenti. Poi il mio amico morì e con lui se ne andò la voglia di realizzare quel progetto.
I progetti non sono mai mancati da queste parti e per buona sorte la maggior parte sono andati a buon fine. Ho cambiato lavoro molte volte, o meglio ho cambiato modo di lavorare, obiettivo e datore di lavoro: in fondo ho sempre continuato a fare l’unica cosa che so fare, ma ho imparato a farla in modi sempre diversi. E senza questo blog nulla sarebbe stato: probabilmente sarei ancora al Giornale di Sicilia o chissà, magari avrei accettato la proposta di trasferimento al Nord che mi arrivò in una giornata di nebbia fitta, con le conseguenze che avete sotto gli occhi: sono ancora un pesce di scoglio, o forse di tana, e sono felice così. Ma non è detta l’ultima parola.
Se dovessi fare un distillato di sentimenti – e io li frequento con passione tutti, anche quelli più disdicevoli – il risultato sarebbe in una parola: riconoscenza. In questi dieci anni ho imparato a usarla, la riconoscenza, spesso senza la prudenza necessaria. Ma alla fine mi guardo intorno e credo che il mio angelo custode abbia fatto davvero un buon lavoro. È merito del mio angelo custode (un tipo con cui mi scazzo spesso ma che alla fine mi stende sempre senza neanche muovere un pugno) se, attraverso la riconoscenza, sono riuscito a scartare amicizie farlocche e a coltivarne di nuove davvero sincere. Non è colpa sua invece se ho ferito chi non lo meritava, ma è merito suo se me ne sono sinceramente pentito. La riconoscenza mi ha guidato nelle scelte più decise e, giuro, ho cercato di ammorbidire certe mie posizioni taglienti (sulla politica, sui cretini, sulla violenza). Certo, detto da uno che adesso ha un programma in radio che si chiama Il giustiziere può suonare strano, ma ricordate che c’è del buono persino nei fondi di caffè.
Quando questa avventura è iniziata, nell’inverno del 2006, non mi interessava il futuro giacché ero troppo preso dal presente. Ci sono voluti molti anni e molti giri di valzer nel destino per capire che c’è un solo modo per staccarsi dal passato e incamminarsi lungo la strada dell’avvenire: prendere per mano la persona giusta e togliere gli occhi dall’orizzonte solo per godersi il suo sorriso. Beh, anche in ciò sono stato fortunato.
In fondo l’amore è una forma di riconoscenza nei confronti di chi non te la chiede.
Pure questo penso al traguardo di questi dieci anni. E per questo ringrazio la mia Dani. Per essere stata cemento dei miei mattoni sgraziati (dai, andiamo che abbiamo molte cose ancora da fare prima di invecchiare).

Pubblicato da

Gery Palazzotto

Palermo. Classe 1963. Sei-sette vite vissute sempre sbagliando da solo. Sportivo nonostante tutto.

4 commenti su “In cammino da dieci anni”

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