La verità prima di tutto

facceCi ho pensato su. Ero tentato di lasciar perdere, ma poi mi sono detto: perché buttare alle ortiche la mia (seppur modesta) esperienza di trent’anni e passa di professione? Quindi ho deciso: da oggi cercherò di difendere le notizie vere con ogni mezzo a mia disposizione, web, carta, radio. Ricorrerò al classico fact checking, vi chiederò di collaborare inviandomi le vostre segnalazioni via mail, e opererò sul campo dei social per identificare con nomi e cognomi i portatori di notizie false. Diciamo che è una sorta di campagna anti-contraffazione applicata alle notizie. Perché se uno vende una borsa Gucci falsa può essere denunciato e chi spaccia bufale per verità se la deve passare liscia? Anche perché, alla luce di quello che sta accadendo nel mondo (Brexit, Trump, situazione politica italiana) i danni delle scempiaggini propalate nel web sono maggiori di quelli causati da una cinta dal marchio falsificato.
Quindi non guarderò in faccia nessuno, non mi interessano le fazioni politiche: la verità è un caleidoscopio di informazioni ed è troppo preziosa perché qualcuno ci metta in mezzo una patacca. #laveritaprimaditutto

Il giornalismo più bello del mondo

New-Yorker

Questo avviene al termine di un meticolosissimo lavoro di revisione e correzione che dura settimane e che coinvolge almeno l’autore, l’editor, i fact checker, un avvocato, uno o due copy editor, uno o due rilettori che verificano la fedeltà delle modifiche e una serie di correttori di bozze che rileggono l’articolo a vari stadi della lavorazione.

Su Internazionale si racconta con involontaria crudeltà (rivolta a noi giornalisti italiani) la produzione di un articolo al New Yorker. Produzione, come si fa con un vero manufatto di pregio: con tanto di sforzo di ideazione, manualità, rifinitura e controllo di qualità. Mentre i giornali italiani sono impegnati in una strenua rincorsa di quella innovazione che hanno colpevolmente ignorato per qualche decennio credendo nell’immortalità della carta, il “giornale più bello del mondo” imbastito al 38° piano del One World Trade Center con vista su Manhattan, si preoccupa con cura maniacale del più antico dei requisiti della buona informazione: la correttezza delle informazioni.
Mi disse una volta la direttrice di un noto newsmagazine italiano: “Io non mi incazzo se siamo imprecisi sull’avviso di garanzia a un Dell’Utri di questi, mi incazzo se sbagliamo il nome del liceo che frequentava”. Ironia della sorte il giornale che dirigeva, lo scorso anno, ha preso uno dei granchi più clamorosi (e pericolosi) della nostra storia recente.