Le parole si pesano o si contano?

Dopo l’anatema di Michele Serra, l’omelia di Luca Sofri e gli strilli di centinaia di blogger anonimi (che sono un po’ come gli alcolisti, in cerca di qualcuno che li ascolti), speriamo che adesso la cruciale questione dell’importanza di Twitter nella vita di tutti i giorni venga accantonata.  Perché non c’è nulla di peggio nelle mode, dell’esegesi forzata del fenomeno fatta da chi ostenta, come vessillo di democrazia, un partito preso. Tipo, io sono di sinistra e per assioma la sinistra non si accoda ai fenomeni di massa, quindi tutto ciò che è casinaro, aggregante, allegro, disordinato non mi interessa (infatti si perde generalmente perché si rimane soli). Continua a leggere Le parole si pesano o si contano?

Twitter ammazza i blog?

Twitter ammazza i blog? La domanda è glamour. Oggi tutto ciò che riguarda Twitter è alla moda, figo, trendy.
Twitter influenza il giornalismo?
Twitter fa anche il caffè?
Twitter nuoce ai mancini?
Twitter è un sogno o i sogni aiutano a twittare meglio?
Tornando alla prima domanda, la mia risposta è no.
E’ vero, io stesso scrivo un po’ meno sul blog da quando mi dedico anche a Twitter, perché diluisco da quelle parti molti spunti che in altri tempi avrei concentrato qua. Però resto molto affezionato a questo spazio. Inoltre non credo che l’esercizio sul social network tolga mattoni fondamentali alla struttura del blog. Sono cose molto diverse. Chiunque può cinguettare o esercitarsi su Facebook perché lì ciò che importa è l’interazione. Sul blog è il contenuto che conta e lo scambio con gli altri  è molto meno immediato.
Il vero cambiamento invece riguarda la quantità di parole usate per raccontare. Se vado indietro ai post di tre-quattro anni fa, c’erano paginate e paginate di roba complicata che andata forse filtrata meglio. Però allora funzionava.
C’è un tempo per tutto. Oggi trovo che tutti noi blogger siamo più sintetici, più efficaci. E probabilmente, per via di Twitter, più in linea coi tempi.

Un traguardo per Twitter (forse)

Pare che entro stasera Twitter raggiungerà 500 milioni di utenti, a colpi di 12,7 nuovi adepti al secondo. Da appassionato di cinguettii e da nemico di Facebook dico solo che il social network di Zuckeberg è a quota 850 milioni…

Aggiornamento. Probabilmente il dato dei 500 milioni è sovrastimato come potete leggere qua.

La migrazione verso Twitter

E’ in atto una migrazione nel web. Porta migliaia di persone, provenienti da ogni dove, su Twitter. Colpa o merito, probabilmente, di Fiorello che fa spettacolo coi suoi “cinguettii”. O forse dei media che hanno trovato in Twitter un’importante sorgente di notizie. O, chissà, delle mode.
Comunque sia, c’è gran fermento nel paradiso del microblogging.
Sono un nemico dei social network, e non da adesso. Non li considero importanti per lo scambio di idee in rete e anzi mi sembrano il cimitero di ogni ispirazione: su Facebook uno c’è anche senza manifestarsi e l’amicizia è più una moneta, o peggio un’arma, che un sentimento.
Twitter, che frequento già da qualche tempo, mi pare diverso. Qui la posizione bisogna guadagnarsela e per di più con commenti stringati. Certo, il rischio chat è sempre in agguato, ma per scongiurarlo basta scegliere interlocutori intelligenti.
L’unico dubbio riguarda l’attendibilità sul fronte del reperimento delle notizie… e finiamo nel padellone del citizen journalism: siamo sicuri che il tam tam dei cinguettii sia utile in quanto immediato, rapido? La narrazione istantanea di un fatto mantiene una verginità a prescindere da chi la imbastisca?
Lo dico chiaramente: io sono all’antica. Per me essere testimoni non significa essere automaticamente e modernamente giornalisti. Twitter può dare uno, cento, mille spunti, ma ci vorrà sempre una professionalità per collegarli. Se ci pensate, è la differenza che passa tra un telegiornale (in senso assoluto, Minzolini e Fede esclusi) e un reality show. Se puntassimo tutte le nostre webcam sul mondo esterno avremmo di certo un volume superiore di informazioni, ma nessuno ci garantirebbe contro le sovrapposizioni, gli errori di prospettiva, gli abbagli dell’emozione. Il giornalismo, per quanto vituperato e detestabile, serve a ricomporre le diverse inquadrature e a dare l’illusione della plausibilità. Come gli occhialini per i film in 3d.

Approvato e sottoscritto

“Un Martini, please. E non occupare spazio con quelle inutili olive”.

Letta su Facebook da Giuseppe Giglio.

Digito ergo sum

Non riesco ancora a capire cosa spinge milioni di persone a comunicare pubblicamente, tramite Foursquare o altre diavolerie, la propria posizione geografica.
Su Facebook e su Twitter è tutto un fiorire di messaggi, in inglese e con tanto di mappa, in cui grazie alla geolocalizzazione si comunica al mondo intero: “Sono qui”, con orario e foto di accompagnamento.
A parte la rinuncia ostentata a qualsiasi forma di privacy, c’è anche – secondo me – un difetto di strategia. Se io, ad esempio, voglio sapere cosa fa un mio concorrente commerciale basta che ne segua le tracce sul web e potrò intuire qualcosa dei suoi programmi: un bel vantaggio.
Il successo di Foursquare è fondato, come sempre più spesso accade, sulle schizofrenie degli sfegatati di internet. Che da un lato fanno crociate per la sacrosanta riservatezza degli indirizzi di posta elettronica e dall’altro regalano informazioni molto personali al mondo intero (che non è fatto solo di amici e parenti).

Tardoni digitali

C’è un che di schizofrenico nei rapporti imposti da Facebook ai suoi accoliti. Se una persona, che nella vita è tua amica, ti chiede l’amicizia, tu non hai problemi ad accettarla: il passo è telematicamente formale, poi magari la sera vi vedete a cena. Se invece quella persona non ti è amica o ti è sconosciuta, che fai? Se accettassi l’amicizia potresti essere accusato di ipocrisia, mentre al contrario ti si potrebbe tacciare di maleducazione. In ogni caso la coerenza della vita reale – io manifesto amicizia solo a persone che mi sono realmente amiche – va a farsi benedire.
Mi hanno raccontato di faide internettiane per un’amicizia negata o per un ammiccamento di troppo in bacheca.
Sarà.
Io quasi quasi rimpiango i tempi dello struscio e degli abbordaggi per strada.
“Ci conosciamo?”.
“No”.
“E allora?”.
“Proviamo a conoscerci”.
L’incontro in versione analogica ha sempre un certo fascino in più rispetto a quello digitale, soprattutto per i tardivi (tardoni?) digitali.

Refusi di Facebook

Mi segnalano in termini tecnici che non sono in grado nemmeno di ricopiare (tanto mi sono estranee certe diavolerie) quel che avevo visto da qualche tempo e di cui non avevo percezione cosciente (tanto mi sono estranee certe razionalizzazioni): il fan box di Facebook che vedete su migliaia di siti italiani ha un refuso che nessuno ha ancora corretto. Guardate attentamente sopra.

Per questo non vinceranno mai

L’Italia dei Valori ha bocciato la candidata a vicesindaco di Reggio Emilia perché su Facebook aveva messo questa foto, giudicata troppo sexy.
Berlusconi, come minimo, l’avrebbe fatta sottosegretario.

Social media

E me lo dite dopo che mi sono suicidato da Facebok?

Via Deeario.