L’articolo pubblicato su Repubblica Palermo.
Quindi questo depistaggio non fu manco roba di quattro amici al bar. Ed è un peccato che l’ex questore La Barbera e l’ex procuratore Tinebra siano morti senza veder riconosciuta la storica importanza del loro operato con adeguata medaglia di innocenza. L’ennesima innocenza in quella che credevamo fosse una nefanda macchinazione e che invece, stando alla giustizia italiana, è solo un’illusione ottica. Forse, di questo passo, potremmo scoprire che manco i morti erano morti e che il giudice Borsellino e gli agenti della sua scorta non sono stati dilaniati da un’autobomba, ma semplicemente inghiottiti da un buco spazio temporale di Stranger Things. Lo stesso buco che ha risucchiato, annullandole, le responsabilità dei magistrati coinvolti in questo gioco di prestigio – dove dal cilindro si tirano fuori pentiti come conigli – salvando però le loro carriere.
Alla fine scoprimmo che nessuno depistò o se lo fece fu a fin di bene: per porgerci una verità semplice, comoda, prêt-à-porter. Lo stesso Scarantino andrebbe ringraziato per lo spirito di sacrificio con cui ha interpretato il ruolo del provetto pentito: una via di mezzo tra un pupo di Mimmo Cuticchio e l’”Allegro chirurgo” che dove lo tocchi suona. Insomma tutti i protagonisti del depistaggio della strage di via D’Amelio, presenti o assenti, prescritti o coscritti, con distintivo o senza, vanno omaggiati per lo spettacolo avvincente e per la passione con cui continuano a recitare anche a show terminato. Purtroppo i morti non possono applaudire, ma restano i parenti delle vittime a sbracciarsi per loro. A brancolare in una vicenda di cui non gliene frega niente a nessuno, nel mainstream che elargisce successi di critica e di pubblico a chi nega la realtà e che stronca chi la afferma.
Non ci fu niente.