I dilettanti dell’antimafia

Bene, dopo 48 ore calde forse è il caso di riepilogare. Un giornale scrive che il neo assessore regionale ai beni culturali, quando era alla guida di un ente pubblico catanese, non solo accumulò debiti per oltre tre milioni ma diede pure un appalto a una società riconducibile a un efferato boss. Di cui, per inciso, lo stesso neo assessore era ed è il legale. L’assessore di cui sopra prima denuncia di essere vittima del metodo Boffo (non so se mi spiego) poi dice che il timbro e la firma sull’appalto sono falsi, che qualcuno li ha apposti a sua insaputa (questa non mi sembra nuova). Quindi che fa? Si dimette, ovviamente. Citando, nell’ordine, la Settimana Santa, la Passione di Cristo e Simone il cirenaico. Il presidente Crocetta, che per molto meno ha esposto a pubblica gogna politici e funzionari pubblici, dice all’assessore dimissionato che “soffrirà assieme a lui”. E un deputato catanese chiede l’intervento dell’Antimafia non per denunciare il comportamento del dimissionato, ma perchè, secondo lui, è stata Cosa Nostra, in fondo, a farlo fuori. Ma si può ancora vivere in Sicilia?

Emanuele Lauria su Facebook.

C’era una volta un giardino proibito

giardino nascosto palermo

Un estratto dall’articolo di oggi su la Repubblica.

Quello che oggi chiamiamo “giardino segreto”, per noi ragazzini degli anni Settanta era il “giardino proibito”. Quindi un posto bellissimo. Non sapevamo che si chiamasse parco Mazzarino, che fosse stato realizzato dai Whitaker nell’Ottocento. Sapevamo che aveva due cancelli chiusi, uno in quella che oggi è via Antonino Cassarà, di fronte all’attuale ospedale CTO, e l’altro in piazza Salerno, vicino all’ingresso di villa Sofia. Sapevamo che in questo giardino, nel quale non c’era mai nessuno, si trovava un campo di calcio con l’erba e pure le porte.
Un giorno decidemmo di entrare, armati di borracce e Super Santos. Lo ricordo benissimo: era una domenica del 1974, eravamo in piena “austerity”, quel periodo in cui a causa della crisi petrolifera internazionale c’era il divieto assoluto di circolazione delle auto nei giorni festivi.
Arrivammo in bicicletta, eravamo una ventina. Scavalcammo il cancello della parte di villa Sofia e ci trovammo in un paradiso. L’incanto durò poco, giacché si materializzò un signore basso e incazzato che si qualificò come guardiano e ci disse che dovevamo andarcene immediatamente. Non ricordo come, ma si stabilì subito una trattativa: in cambio di qualche lira, il tizio ci avrebbe lasciato giocare per un’ora. Fu così che il “giardino proibito” divenne il nostro ritrovo domenicale.
Quando l’altro giorno ho letto il reportage di Repubblica su questo parco ho provato una sensazione dolorosa: perché è un luogo dimenticato e perché proprio io, noi, gli ex ragazzini del quartiere Resuttana – San Lorenzo ce ne siamo dimenticati. Noi che avevamo dieci anni quando giocavamo in quel verde che sembrava bosco, talmente impenetrabile da spingerci a non allontanarci mai dal sentiero principale, abbiamo consentito la fine ingloriosa di un luogo incantato.
Tutti gli altri parchi giochi estemporanei di quell’epoca – un’epoca in cui ancora si giocava per strada – sono scomparsi, inghiottiti dal cemento. Piste per bici ricavate tra gli agrumeti, campetti di calcio annidati negli scavi per le fondamenta dei palazzi che sarebbero sorti di lì a poco: non è rimasto più nulla. Solo quel mare di verde, in cui con la complicità del guardiano ci immergevamo la domenica ironizzando sul fatto che, in fondo, giocavamo tra due ospedali: il luogo più sicuro del mondo.
Oggi c’è un reticolo burocratico che impedisce il riscatto civile di quest’area.
(…)
Però a pensarci bene, la lunga dimenticanza è stata paradossalmente la salvezza del parco Mazzarino, sfuggito alla furia urbanistica dei Mondiali del ’90 e avvolto in un gigantesco bozzolo dove la natura fa tutto da sola, nutrendosi e nutrendo.
Ora che il giardino segreto non è più segreto, non c’è altro da fare che difenderlo. A Palermo non c’è nulla di più vulnerabile di uno spazio verde senza sorveglianza.

Dell’Utri, Cuntrera e una cronista invidiosetta

Senza titolo

Questa storia mi è tornata alla mente oggi, mentre mi documentavo sul caso del latitante Marcello Dell’Utri.
Ormai diversi anni fa, nel maggio 1998, il boss Pasquale Cuntrera fuggì dall’Italia alla vigilia di una cruciale sentenza. Il Giornale di Sicilia, dove ancora lavoravo, diede la notizia prima degli altri facendo un scoop mondiale che fece traballare il governo Prodi. Qualche giorno dopo una cronista su la Repubblica scrisse una brutta frase, fingendo stupore per una notizia che lei non aveva, ma qualcun altro sì. In casi del genere tra colleghi ci si complimenta, lei invece rosicò e tradì un’invidia che per fortuna è ancora ben visibile, a futura memoria, negli archivi telematici del giornale. Della serie: ecco come non si fa.

Dare dell’idiota a chi lo è

twitter

Il Marcello viaggiatore

Fermo restando che bisogna attendere ancora il timbro della Cassazione (l’ennesimo), che la presunzione di innocenza fa di lui un illustrissimo galantuomo, che il suo partito è perseguitato da un branco di giudici assetati di sangue berlusconiano, vi siete mai chiesti dove sarebbe adesso uno qualunque di noi con un decimo dei suoi trascorsi penali?

Qualche mese fa su diPalermo mi sono posto questa domanda. Oggi è arrivata la risposta: uno qualunque di noi sarebbe in galera, lui è all’estero.

Social media addiction

Grazie a Primaonline.

L’argine contro l’imbarazzo

Non accettiamo ultimatum di nessuno, men che meno che da Renato Brunetta.

Non sono uno affascinato da Renzi, però quel che mi aspetto da un premier che vuole ricostruire un paese raso al suolo dalla corruzione e dalla protervia dei potenti è esattamente questo. Un muro contro i ricatti. Un argine contro l’imbarazzo di dover sottostare ai diktat di personaggi come Brunetta.
Ci piaccia o no, Matteo Renzi è in questo momento la sola strada percorribile in una giungla di ingovernabilità e di populismo. Ci piaccia o no, dobbiamo lasciarlo fare. Del resto in un passato mai troppo lontano (e purtroppo indimenticato) abbiamo dato fiducia a imbonitori, giocolieri, prestigiatori, ci siamo lasciati incantare come topi da pifferai in playback, abbiamo affidato il nostro destino a soubrette travestite da onorevoli e a onorevoli che non valevano manco mezza soubrette.
Ora mi piace credere – senza avere mezza certezza, per carità –  che finalmente ci sia qualcuno che va avanti seguendo fedelmente un programma in cui rischia il culo, il suo. Sino a qualche tempo fa era solo il nostro.

Notizie come le prugne

corriereit

Da quando importanti testate, come il Corriere della Sera, hanno intuito che il web è una cosa diversa rispetto alla carta si verifica un imbarazzante accumulo di notiziole-scaccia-pensieri. Che sono quelle notizie non notizie confezionate a mo’ di notizie senza voler avere la pesantezza delle notizie: nella maggior parte dei casi fuffa, accattivante, ruffiana, spumeggiante fuffa.
Funziona così: una si fa un selfie in vasca da bagno, un’altra la emula e il povero redattore deve andare a caccia, su Instagram, di altre sceme esibizioniste da riunire in una gallery dal titolo “l’ultima moda del web, il sexy selfie”.
Come in natura nulla si crea e nulla si distrugge, nel web nulla tutto si rimpasta e si ricicla. Negli anni Settanta, i selfie spinti alimentavano rubriche ben note sui giornaletti porno, solo che allora si chiamava autoscatto e se qualcuno ti taggava, cioè ti dava pubblicamente un nome e cognome, non finivi su Corriere.it ma dritto alla Squadra buoncostume.
Oggi si gallerizza tutto nel nome del Dio Clic. Cadute, ascese, risate, pianti, peti, smorfie, nudi, incidenti, salvataggi, miracoli, fandonie. Tutto cambierà quando, chissà quando, qualcuno riuscirà a spiegare a questi poveri giornalisti accatastanti che le notiziole-scaccia-pensieri sono come le prugne. Una o due vanno bene. Alla terza qualcosa cambia.

Finalmente morta

L’Amministrazione provinciale di Palermo si è intestata un importante ruolo di mediazione tra Stato, Regione e Comuni affermandosi luogo ideale per la gestione della concertazione e della programmazione negoziata tra soggetti pubblici e privati. Questo grazie  alla  visione precisa e chiara delle diverse realtà sociali, economiche e culturali del territorio, che fanno dell’Ente provinciale palermitano un attore fondamentale nella creazione di nuovi percorsi di sviluppo all’interno di un progetto condiviso e partecipato.

Ora che hanno abolito le Province ci sarà una tragica mancanza di “concertazione e programmazione negoziata”. E soprattutto si leverà un immane dubbio collettivo: su quali palchi andrà a esibirsi quell'”attore fondamentale nella creazione di nuovi percorsi di sviluppo all’interno di un progetto condiviso e partecipato”?

So che vi chiederete chi è lo scienziato che ha partorito il testo originale che leggete in apertura di questo post. Non lo so, anche se ho qualche sospetto. Dico solo che è tratto dal sito ufficiale della (finalmente) defunta Provincia di Palermo e che spero resti a futura memoria come monumento delle “cazzate possibili e impossibili, presenti e passate”.

La rivoluzione dei portafogli pieni

Un estratto dall’articolo di oggi su la Repubblica.

La frase chiave è questa: “Nell’interesse superiore dell’Autonomia siciliana”. E’ con sacro furore che ieri l’Assemblea regionale ha approvato una risoluzione che dà mandato al presidente Ardizzone di mobilitarsi, lui e tutte le truppe cammellate della “deputazione siciliana al Parlamento nazionale”, affinché venga sventato il grave attentato ai danni della Sicilia organizzato dal governo Renzi. La bomba sarebbe nascosta nel comma 13 dell’articolo 33 del ddl di riforma del Senato, laddove si stabilisce che le Regioni a statuto speciale dovrebbero perdere le competenze esclusive.
Deflagrando, l’ordigno annienterebbe il monumento simbolo della specificità isolana e raderebbe al suolo il totem dell’autodeterminazione.
(…)
Insomma anni e anni di “interesse superiore” calpestati dai tacchi centralisti di un governo che va contro la storia e la geografia. Il sospetto, però, è che il vero problema sia la matematica.
Il Senato rappresenta infatti un sempiterno termine di paragone quando si parla di indennità nella Regione sommamente autonoma, cioè quando si tratta di stipendi di personale e deputati. Non a caso nel 1948 la prima, mirabile, applicazione concreta del concetto di autonomia fu una delibera in cui l’Assemblea si attribuì, senza pensarci su, un trattamento economico privilegiato in linea con le tabelle del Senato. E da quel giorno quando qualcuno mette in dubbio la storica equiparazione con Palazzo Madama, all’Ars i pugni fendono l’aria, ma soprattutto stringono i portafogli.