Notte di passione

Sono convinto che non siano solo i libri che leggiamo a dirci chi siamo, ma anche il come e il quando li leggiamo. Io ad esempio leggo la notte, per deliberato intento. Cioè non ho problemi di insonnia e sono uno che, tutto sommato, dorme abbastanza (forse troppo, a dispetto dell’età che avanza). Verso le tre/quattro del mattino il mio cervello si attiva e mi chiede di prendere un libro che tengo sul comodino: ne leggo sempre almeno due contemporaneamente e li scelgo a seconda del mood, ma di questo parliamo dopo.
Il cervello ordina, io ubbidisco e, cosa sorprendente per i miei bioritmi, trovo subito la lucidità necessaria per affrontare quelle pagine dopo aver riallacciato tutti i fili della storia (in tal senso ho la memoria di un pesce rosso). Questa cosa della lucidità mi sorprende perché solitamente ho risvegli lentissimi: invece la notte quando devo leggere è come se la ruggine del mio sistema cerebrale in fase di riavvio fosse sciolta dal CRC. Accade solo per i libri, per il resto sono un rincoglionito che stenta a trovare la bottiglia d’acqua a fianco del letto.

Adoro leggere nella penombra e nel silenzio di un momento che, per via dell’orario, mi piace pensare solo mio. Il fatto che la città e il mio mondo dormano mentre io mi tuffo in mille storie, mille paesaggi, indosso mille vite, cambio mille costumi, muoio e rinasco, vinco e sconfiggo, piango e rido per destini di carta, è una sorta di catalizzatore di attenzione ed eccitazione.
Al contrario di quando scrivo non c’è necessità, ma desiderio. Ho bisogno di scrivere e non sempre mi dà soddisfazione: chi scrive per mestiere lo sa, mette nel conto che la scrittura spesso è sofferenza, è dolore, è droga, è sentimento inespresso.
Invece la lettura è appagamento, coronamento di un desiderio, a volte anche vizio.
Io voglio svegliarmi nel cuore della notte per sapere come va a finire con quel tizio prigioniero tra pagina 252 e pagina 253. E se per caso ciò non accade – tutto sommato ho una vita normale con un adeguato influsso di imprevedibili cazzi miei – ci resto un po’ male perché so che il momento della lettura, dati gli impegni della giornata lavorativa eccetera, sarà rimandato.

Non sono un lettore bulimico. Non sono neanche un forzato della lettura. Leggo ciò che mi piace e butto tutto il resto. Per questo ho un turnover di libri che consuma il comodino e non la libreria. Perché è il comodino il vero banco di prova. La libreria è la pensione, il buen retiro dei volumi: l’alternativa è la pattumiera.
E siccome sono un lettore con pazienza zero, metto sempre due-tre libri sulla linea di partenza e do pari opportunità a tutti. Generalmente ne scarto uno su cinque: la statistica è dell’ultimo anno, mentre ci fu un periodo sfortunato in cui capitava di eliminarne anche tre su cinque (ricordo un Natale di molti anni fa in cui feci un en plein di cagate editoriali).
Insomma leggo come un medioman guarda la tv: più una cosa mi piace, più mi concilia il sonno. Mi sveglio nel cuore della notte, accendo la luce, prendo il libro, mi appassiono con la confortante certezza che mi scioglierò (troppo) presto nel migliore sonno, ancestrale e confortante. Quello in cui immagini che ci sia qualcuno che ti racconti una storia.

Una parola scritta ci salverà

penna

Scrivere nasce dal leggere e al leggere è grato. Scrivere è una delle poche cose rimaste uniche e nostre, dalla firma al romanzo, dal primo tema al testamento.

Stefano Benni – “Achille piè veloce”

C’è un modo semplice di dividere l’umanità in due categorie ben distinte, senza incorrere in questioni razziali, inciampare in dati sensibili, mettere in atto odiose disparità: ci sono quelli che scrivono e quelli che non scrivono. Badate bene, non parliamo di scrittura creativa o comunque di uso professionale. La scrittura che qui ci interessa è la forma elementare di comunicazione.
Provate a fare un elenco dei vostri amici che scrivono (mail personali, biglietti di auguri, appunti che vi sottopongono, post su Facebook che non siano l’elenco delle paturnie quotidiane, cose così…). Poi elencate quelli che non lo fanno, ai quali non avete mai strappato una parola scritta, di cui non conoscete la grafia o che addirittura non immaginate nemmeno con una penna in mano: generalmente sono quelli che dicono di non avere mai tempo, perché per loro c’è sempre qualcosa di inutilmente importante da fare.
Ecco, ora provate a trovare comuni denominatori per ciascuna delle due categorie. Se ci fate caso, della prima (quella di chi scrive) fanno parte i curiosi, gli accesi, i portatori sani di domande contagiose. Nella seconda invece troverete i galleggiatori, i razionali senza ritegno, i depositari della verità assoluta.
Scrivere è il miglior modo per mettersi in dubbio, perché un concetto messo nero su bianco è un’ipoteca sulla credibilità e solo chi ha coraggio sfida la solidità delle parole cristallizzate nell’inchiostro. La vacuità del parlato è l’alibi del politicante, la solidità dello scritto (altrui) la sua rovina. Un motivo in più per riempire fogli e fogli.

Cose da portare in un eremo

Rivellino
Foto di Daniela Groppuso

Siccome – come sta scritto nella breve bio di questa homepage – il sottoscritto ogni tanto scrive un libro, ho l’impellenza di arrivare alla parola fine di un benedetto manoscritto che da qualche tempo occupa uno spazio sempre più ampio nel mio settore sensi di colpa. La storia è ben incardinata, mancano soltanto le pagine necessarie per chiuderla felicemente e consegnarla all’editore.
Insomma mi servirebbe un mese, un mese solo, di eremitaggio per fare il mio sporco lavoro. Se avessi tempo e soldi mi ritirerei in un’isoletta, o in una casetta di montagna, in un posto comunque lontano dalle distrazioni della città.
E, a parte i generi di prima necessità e il computer per scrivere, porterei con me le seguenti cose:

Il caricabatterie del telefonino per ricordarmi che il telefonino l’ho lasciato a casa ed è inutile cercarlo.
Una bottiglia di Sassicaia del 2006.
La fotografia in cui, giovane e coi capelli lunghi, mi arrampico sulla “Diretta” di Monte Pellegrino.
Il dizionario della lingua italiana (nell’eremo non c’è internet).
Un paio di romanzoni scacciapensieri alla Ken Follet o alla Stephen King da farmi leggere la sera da mia moglie (nell’eremo non c’è televisore).
L’orologio di mio nonno Gerlando.
La ricetta della pasta coi broccoli di mia madre.
L’iPod ben carico.
Le scarpe da running.
Un coltello Eliss, perché in cucina non si affetta con coltelli qualunque.
La meravigliosa maglietta verde di cotone sdrucito che rubai a mio fratello diciannove anni fa.
Due cuscini alti.
Il plaid rosso che ci ha regalato Mara.
Due dei bicchieri Riedel che ci ha regalato Antonella.
Il Timex che mi ha accompagnato in mille avventure.
Lo zaino lurido che di quelle mille avventure porta i segni.
Il biglietto di ritorno.

Come non si scrive

L’esempio che vi sottopongo mi sembra cruciale per dare un’idea della realtà del web in Italia.
C’è un sito, l’Huffington Post, che propone un’ampia varietà di contenuti.
C’è la voglia di imitare un format americano di grande successo.
C’è il vezzo di portare testimonianze che dovrebbero risaltare non per il valore della testimonianza stessa, ma per la figura che la propone.
C’è un gran lavoro di Seo, con una perfetta indicizzazione.
Manca solo una cosa: la qualità del testo.
Perché l’ortografia e la solidità degli argomenti non sono un bug di sistema.
Ecco, leggete questo pezzo della columnist dell’Huffington Post Italia, Anna Kanakis, e ditemi se non è da manuale. Per come non si scrive.

Aperitivo insieme?

Oggi alle 19 sono a Villa Filippina, a Palermo, per fare da cavia a un esperimento condotto da Salvo Toscano e Fabio Lannino. In pratica parlerò di scrittura e proporrò una tracklist di musica ad hoc.
Un vantaggio è che tutto ciò accade nell’ora dell’aperitivo e lì sono ben forniti.

Oggi non è ieri

Cose che adesso mi piacciono
(e che prima, quindi, non mi piacevano)

La proprietà.
L’assenza di stipendio fisso.
La carne di maiale.
Lo snobismo.
La scrittura semplice.
L’intolleranza nei confronti dei cretini.
La corsa lenta.
Passare la mano in cucina.
Il rimprovero giustificato.
L’orecchino.
Il pesce a forma di pesce.
I genitori-amici.
La dipendenza da una (sola) persona.

Il corso di Fattesto

logo fattesto

Dal 12 febbraio parte  la nuova edizione del corso “Editoria e creatività” organizzato dal gruppo Fattesto di cui mi onoro di far parte. Le lezioni si terranno ogni venerdì (ore 18-21) e sabato (ore 9-12) nella sede dell’Assocomav di via Abela 10, a Palermo. Ai corsisti risultati più meritevoli saranno offerti stage presso le redazioni di case editrici, riviste e portali internet. Tra i docenti ci saranno editor, scrittori, giornalisti, grafici ed esperti di formazione e marketing.
Ci sono due motivi per cui vi faccio questa comunicazione.
Primo. Alcuni tra i corsisti formati nelle scorse edizioni sono stati assunti in case editrici e redazioni di giornali con contratto a tempo indeterminato o hanno avuto incarichi come collaboratori: insomma sono entrati – e non per magia o per spintarella – nel mondo del lavoro.
Secondo. Sabato scorso c’è stata la prima adunata di corsisti per un incontro preparatorio ed è andata talmente bene che adesso abbiamo adesioni per un altro meeting pre-corso, sabato prossimo.
Se volete essere dei nostri – tenendo conto che il corso è a pagamento perché non gode di alcun finanziamento pubblico – potete scrivere a: fattesto@fastwebnet.it

Potere di link

potere di link

Ieri ho dedicato tre ore del mio tempo a leggere il saggio di Rosa Maria Di Natale (giornalista, docente all’università di Catania, vincitrice del Premio tv Alpi 2007) su scrittura  e lettura ai tempi di internet. Il libro si intitola “Potere di link” ed è un testo che, pur avendo una destinazione universitaria, ha una chiarezza di esposizione difficile da trovare in testi del genere. Da Calvino agli e-book, da Fedro e Socrate alla “googlizzazione” delle biblioteche. Il concetto di base è che i tempi non cambiano inutilmente e che l’unico modo per non sentirsi inutili è correre insieme al tempo.
Arroccarsi in posizioni di inutile difesa contro un progresso che riteniamo nemico solo perché s’impantana nella nostra ignoranza è un ottimo metodo per ferire l’intelligenza. “Potere di link” è un saggio socraticamente dedicato a chi sa di non sapere e, al contempo, una guida per chi vuole saperne di più.
I lettori di questo blog troveranno anche una sorpresa a pagina 122. Posso solo dirvi che si fanno nomi, cognomi e nickname…

Prestazioni gratuite

E se lo dice Lansdale.

Domanda: c’è la stessa soddisfazione a leggere gratis?

Mai gratis

L'illustrazione è di Gianni Allegra
L'illustrazione è di Gianni Allegra

Questo blog, a differenza di quello precedente, non ha pubblicità. Potrebbe rappresentare cioè un prodotto gratuito. Occhio però: io non regalo nulla. Scrivo perché per me scrivere è una necessità, un piacere, un’eruzione cutanea, una difesa, una dimostrazione di esistenza in vita, una possibilità di confronto, un atto di onanismo sfuggito alle regole della Chiesa, una liberazione, e un lavoro. Quindi il blog ha l’effetto di un prodotto gratuito, ma non lo è. In realtà io ho un compenso duplice: la mia soddisfazione (intellettuale, onanistica, eccetera) e la vostra partecipazione. Voi, in questo caso, mi pagate con la moneta dell’attenzione.
Quindi non è gratis. Ci tengo a sottolinearlo perché io ho allergia a tutto ciò che è gratis.
Come sapete, ogni opera della natura ha la sua moneta. In termini di energia, di conservazione, di miglioramento, di semplice sussistenza. In campo umano – esclusi ovviamente i regali, il volontariato e i sentimenti – la prestazione d’opera gratuita è un modo di richiedere/fornire prodotti di infima qualità travestendoli da prodotti convenienti quindi opportuni.
Nel mio mestiere di autore – e qui molti colleghi potranno confermare – si vive nella rarefazione del buon senso. Uno ti chiede di scrivergli “una cosa” perchè “che ti costa? Tu ci sei abituato. A te viene facile…”.  Ora, il fatto che a me/noi venga più semplice scrivere rispetto a chi si occupa di altro non comporta l’abolizione del compenso. Nella bellissima prefazione di Raffaella Catalano per un volume che sarà pubblicato il prossimo anno in Spagna si legge pressappoco così: quando a Palermo ti chiedono cosa fai per vivere e tu rispondi “lo scrittore”, la domanda seguente è “sì, ma che lavoro fai?”.
Insomma, la possibilità di guadagnare scrivendo è esclusa per assioma.
Ecco, pur sapendo che ci sono autori ben più titolati di me, vorrei sommessamente ululare che gratis non si crea. Nel migliore dei casi si pasticcia.