Bum

La Nuova Sardegna oggi si preoccupa della sorte di un copertone.

Via Il Post.

Spread, bund, flop, sigh!

In questo momento l’apertura del sito del Corriere è questa. Il titolista ha bisogno di ferie.

Update: adesso il titolo è stato diluito su due righe.

Signori o dottori?

Tremendo è il laureato che si firma, si fa chiamare e, addirittura, si presenta col titolo di dottore. Peggio ancora è il non laureato che millanta e si fregia di qualcosa che non merita: ricordo un corrispondente di provincia che, esagerando, si faceva chiamare direttore.
Campioni mondiali di povera presunzione,  in tal senso, sono alcuni (pochi) medici, i magistrati e commercialisti, possibilmente neo laureati dopo una navigazione fuoricorso decennale. Ostentano il loro titolo di dottore come un elemento di distacco: del resto il loro rapporto con l’altro necessita di un balcone, di un predellino che renda evidente il dislivello, la differenza di altezza. Io guaritore, tu paziente. Io giudice, tu cittadino. Io esperto, tu cliente.
Anche tra le altre categorie c’è un grottesco orgoglio nel fregiarsi di un’abbreviazione di quattro lettere: dott e il portinaio ti rispetta; dott e la segretaria è più motivata; dott e la vita ti sorride.
Non cerco il colpo a effetto e vi dico una cosa scontata. Alcune delle persone migliori che ho conosciuto hanno schivato con grande attenzione il sistema della finta meritocrazia del “dottoresimo”. Come si dice? Signori si nasce, di sicuro. Dottori lo si diventa, forse.

La crociata

La settimana scorsa, scrivendo su questo blog, mi è tornata in mente una vecchia storia.
Qualche anno fa al Giornale di Sicilia il direttore lanciò una crociata contro le parole straniere, soprattutto quelle contenute nei titoli. L’idea di base era condivisibile: spesso per motivi di spazio (i titoli hanno un numero di battute predefinite) si tende a scegliere termini che non tutti capiscono. Solo che, come accade con le crociate, la ragione trovò ben presto il suo sonno nella ricerca ossessiva di un risultato immediato. Tutte le parole straniere dovevano essere eliminate in un batter d’occhio, pena cazziatone da sincope.
Fu così che un dirigente, che non aveva troppa confidenza con l’italiano, stabilì che anche le parole tronche facevano parte dei termini proibiti. In un’epica serata un collega coraggioso riuscì a far passare bar in un titolo, ma dovette capitolare davanti a camion. Il termine indicato dal regolamento era autocarro.