Ho finito di leggere Il quarto comandamento di Francesca Barra e ne ho scritto su diPalermo.
Qui invece mi piace fornire una inquadratura diversa della storia, che – lo ricordiamo – è quella del giornalista Mario Francese, ucciso dalla mafia, e del figlio Giuseppe, che rese possibile il riavvio della macchina giudiziaria per scoprire assassini e mandanti.
Sono stato collega di Giulio Francese, il maggiore dei figli di Mario. Al Giornale di Sicilia eravamo compagni di banco, dato che le nostre scrivanie erano vicine (nonostante ci fosse una vetrata nel mezzo, lui ha dovuto sopportare per anni la mia musica e la mia voce squillante).
Dei tormenti e del dolore che Giulio ha vissuto nella sua vita non c’è mai stata traccia visibile al giornale. La compostezza e la serietà dell’uomo e del professionista non hanno mai conosciuto incrinature. Neanche nei giorni drammatici del suicidio del fratello Giuseppe, Giulio mostrò di perdere mai il controllo. Eppure lui non è una persona fredda, al contrario è un tipo sanguigno, pronto a battersi per un principio e a difendere un’idea coi denti.
Solo che nel dolore Giulio ha sempre veleggiato in solitaria, almeno in redazione. E ciò lo ha reso titanico ai miei occhi.
L’ho rivisto qualche giorno fa, quando è venuto a casa mia per consegnarmi il libro. Oggi è in pensione, nonostante sembri un ragazzino e abbia ancora lo stesso ciuffo di capelli elettrici che, al giornale, era il termometro della tensione lavorativa. Era sereno e sorridente come non lo vedevo da molto tempo. Pensavo che fosse per la sua nuova vita un po’ più rilassata e invece dopo aver letto il libro ho capito perché: in quelle pagine ci sono molti cerchi che finalmente si chiudono.
Il sollievo è un sentiero lungo che, pur partendo dal dolore, alla fine può arrivare sino alla felicità.
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