Sul diritto di faziosità

Moltissimi giornalisti – io sono tra questi – nella loro carriera hanno avuto a che fare con scelte editoriali contestabili, persino odiose. È nei poteri del direttore scegliere cosa scrivere, come scriverlo e se scriverlo, inutile girarci intorno.

Molto spesso la parola censura viene usata a sproposito dentro e fuori le redazioni, perché un giornale (e in generale una testata giornalistica) vive di scelte. E anche le scelte più impopolari, se guardate con altri occhi, possono essere viste come scelte di comodo o addirittura di saggezza. Insomma esistono manuali di giornalismo, ma non di prudenza. E per fortuna, perché il nostro mestiere è fatto ogni tanto di colpi di testa, di idee balzane, di piedi nella minestra.

Leggendo del caso Petrecca a Rainews viene a galla l’unica eccezione rispetto a tutto questo ragionamento. Che ha a che fare con la realtà dei fatti. Quando un direttore vuole cambiare la realtà dei fatti, siamo dinanzi non già a una censura bensì a una cazzata. Tagliare non serve a servire un padrone. Ragionare sī. 

Anziché sfrondare i servizi su La Russa, Facci e Roccella vari, un direttore iperfazioso o fortemente asservito ma abile avrebbe potuto arricchire il suo tg di contropareri, di editoriali, di dettagli. La notizia come un ingrediente della minestra, più ce n’è meglio è. Anche i palati più raffinati (o diffidenti) possono essere ammaliati da un piatto ricco, magari troppo ricco. È una visione cinica lo so. Ma è realistica e soprattutto pratica. Il giornalismo romantico ormai esiste solo nei film: e ringraziamo il cielo che esiste ancora il giornalismo e basta.
Insomma ragionare, anche in termini fastidiosamente obliqui, non ha controindicazioni. Bisogna solo avere la capacità di farlo.