Se il Paese reale se la ride del web (e di tutti noi)

La rinascita di Berlusconi era inaspettata. Dovunque, principalmente sulla gogna di Twitter e sulla piazza di Facebook, le sue sparate suscitavano migliaia di battute e reazioni di scherno che sembravano aver sterilizzato l’elettorato dalle facili promesse e dai guizzi del grande giullare.
E invece i risultati sono stati quelli che conosciamo.
Da giorni i migliori analisti s’interrogano sulle doti del Grande Comunicatore e sulla ruffianeria dei suoi programmi televisivi – quello di Barbara D’Urso su tutti – ma risparmierebbero tempo e fatica se rivolgessero la loro attenzione esclusivamente al web. Dal web infatti sono venute le illusioni ottiche, le false prospettive, le congetture secondo le quali Berlusconi era spacciato. L’ironia di internet ha gonfiato le gote del pagliaccio senza depotenziarne la capacità di fare proseliti. E perché?
Perché l’Italia vera non è quella che sta in rete. Perché, checché ne dica Grillo, il web non è il termometro di un Paese con la febbre alta: è solo uno sfogatoio in cui la maggior parte delle persone non è disposta a mettere in atto neanche l”uno per cento di quello che promette a followers e sodali telematici. E poi arrendiamoci all”evidenza: chi si prende la briga di smanettare dietro a un computer ha un senso critico che non è quello dominante. Il Paese che conta è quello che va a votare aspettandosi l’immediata restituzione dell’Imu con gli interessi, è quello che il pc non sa cosa sia, è quello che si pianta davanti a Pomeriggio Cinque rincoglionendosi con le faccine della conduttrice. Tutti noi, in queste pagine virtuali, ci illudiamo di fare massa, soprattutto massa critica e invece siano solo una massa lasciata all”ammasso.
Il Movimento 5 stelle è una minuscola eccezione di fronte al dilagare delle chiacchiere inconsistenti della rete e sul fenomeno ha un”incidenza minima: quella di Grillo è una vittoria concreta, internet c”entra poco o nulla.
Su Twitter ci ammazziamo dalle risate prendendo in giro i potenti e chi gli va appresso, ma al confronto siamo quattro gatti spelacchiati e pure un tantino sfigati. Immaginate le risate che adesso si stanno facendo tutti quelli che hanno portato di nuovo Scilipoti in parlamento, Berlusconi in auge, Bersani sull’orlo della depressione e Ingroia nella pensioncina vista mare a giocare a briscola con Di Pietro.

Parla come mangi

 

Grillo, il trionfo e le risposte che servono

Un estratto dall’articolo di oggi su la Repubblica.

Da ieri pomeriggio se uno dice “rivoluzione civile” è più intuitivo pensare al “Movimento 5 stelle” che al partito di Antonio Ingroia, che pure quelle parole se le era messe nel simbolo. E ciò perché alla luce dei fatti (e dei misfatti) elettorali i candidati di Beppe Grillo sono i protagonisti di un mutamento epocale che introduce una sorta di nuovo modello di rappresentanza sociale.
Se in passato si è parlato della Sicilia come di un laboratorio politico – un modo spesso elegante per ammantare nefandezze e tradimenti di una veste pittoresca e un po’ naif – oggi è il caso di identificarla come un palcoscenico: niente esperimenti, ma esibizioni, niente soluzioni scientifiche, ma doppi salti mortali.
Il movimento di Beppe Grillo ha riempito le piazze e i cuori di molti disillusi dalla politica, pur non riuscendo a influire sensibilmente, come invece da più parti ci si aspettava, sui refrattari al voto, ed ha saputo approfittare del vento contrario della politica per accelerare l’andatura: i velisti la chiamano bolina, tutti gli altri furbizia. All’Ars con la restituzione di parte dei compensi dei deputati e con l’opposizione al Muos e alle trivelle nel Belice ha dato una sua efficace interpretazione della “politica del fare”. Un buon punto di partenza, certo, ma tra l’atto dimostrativo, figlio legittimo dell’entusiasmo e della novità, e una coerente strategia amministrativa c’è differenza: una cosa sono i numeri in cui esibirsi, un’altra sono quelli da far quadrare.
L’esito delle elezioni politiche è quindi per il “Movimento 5 stelle” l’occasione per tendere i muscoli e spiccare il grande salto. Il vero ostacolo da superare è la coesistenza con gli altri, partiti e soprattutto elettori. L’ambizione dei grillini di rappresentare la vera Italia si schianta con i risultati elettorali che ci raccontano di tante piccole Italie, e soprattutto di tante piccole Sicilie che votano da un lato guardando dall’altro. Sinora Grillo ha scelto di non rispondere delle sue scelte riscuotendo una fiducia degna di un mahatma. Tra i suoi seguaci ha mostrato le migliori casalinghe, ha esibito i disoccupati più valorosi, ha schierato i laureati più incompresi. Si è persino scelto i giornalisti che dovevano interagire con lui (tagliandone fuori la maggior parte). (…)

L’orgoglio del coniglio

 

Promesso

Il primo che stasera ammette la sconfitta, lo voto alle prossime elezioni. Promesso.

La spending review applicata alla grammatica

 

La moda dell’onestà

Grillo promette: “L’onestà diverrà di moda”. E’ una bella prospettiva che non può avere oppositori: trovereste qualcuno che promette il contrario? Vabbè, forse sì… ma per praticità escludiamo i lestofanti.
Comunque il problema è questo: basta l’onesta per governare un Paese?
Ovviamente no. Però l’Italia si trova in una posizione più scomoda, in cui chiede non già di essere governata, bensì implora una ricostruzione. Che è una cosa diversa.
Per amministrare servono competenze e furbizia. Per scavare tra le macerie servono braccia forti, magari giovani, e abnegata onestà. Perché tra governi politici e tecnici, tra ministri esperti e creativi, tra figli di papà e figli di puttana, abbiamo consegnato la nostra nazione a gente che quanto a capacità distruttiva considera gli Unni poco meno che pivelli.
La moda dell’onestà, con tutte le scintille qualunquiste che può suscitare, è quindi più che auspicabile, chiunque la proponga.
Il modello di governo che l’Italia degli onesti si aspetta è semplice e di un’intransigenza ferrea: lavorare a testa bassa per tirare su tutto ciò che è venuto giù. Senza fronzoli, senza privilegi, senza odiosi orpelli.
Altrimenti le prossime elezioni, se le faremo, le faremo nelle caserme.

In caduta

Grillo è la spinta.

Berlusconi è il baratro.

Ingroia è il vuoto.

Bersani è la rete bucata.

Monti è lo scoglio fatale.

Beppe Grillo, il silenzio non è d’oro

Grillo ha scelto di non concedere interviste. Il leader del Movimento 5 stelle ha una manifesta allergia nei confronti dei giornalisti, basta vedere l’insofferenza con cui li respinge quando se ne trova qualcuno tra i piedi. E’ una scelta che difficilmente può essere condivisibile, anche tra i suoi accoliti suppongo.
In campagna elettorale la comunicazione – quella vera, non quella ossequiosa delle Barbare D’Urso e delle altre pie imploranti come busta paga impone –  è fondamentale. Perché, oltre a diffondere idee e progetti, dà la possibilità agli elettori di tastare il polso del candidato, di metterlo alla prova, di verificarne la tenuta. Grillo dice: il nostro programma è tutto sul web. Sì ma, se solo fosse possibile, qualcuno dovrebbe chiedergli se lui comprerebbe mai un’auto vedendola solo sul catalogo.
Il mondo, nell’ottica del capo del Movimento 5 stelle, è tutto un complotto, tutto un magna magna. Chissà, magari è vero. E magari Grillo ha il lanternino per guidarci alla scoperta della verità. Però in un Paese che ha perso la fiducia chiedere un voto sulla fiducia è un passo ardito: per combattere un’epidemia bisogna dimostrare non soltanto di essere medici ma anche di avere i farmaci giusti.
La sensazione è che Grillo giochi molto col suo personaggio – interessante e ammaliante – e sottovaluti l’intelligenza dell’elettorato. Lo dimostra la sufficienza con la quale il comico si rivolge a chi osa fare una domanda. Caro Grillo, la sa una cosa? C’è un sacco di gente intelligente, furba e colta in quest’Italia di mezze calzette, gente che la voterebbe se solo lei si degnasse di darle conto, senza ridacchiare quando uno chiede. Solo che lei sta dimostrando di confondere il palco di un artista con quello di un politicante.
Le rivoluzioni hanno bisogno tanto di fede quanto di coraggio: la prima si coltiva in solitudine, il secondo si rafforza col confronto.
Grillo, mi duole molto dirlo, in questo momento rischia di andare a combattere con un esercito di automi.

Ci deve essere un errore

Secondo questo sito io sarei un elettore di centro.