Barzellette

Non siamo barzellettieri.

La dichiarazione politica più dirompente dell’ultimo ventennio la pronuncia Angelino Alfano abolendo, con una barzelletta, l’esistenza di un partito fondato sulle barzellette. Come se Craxi avesse detto: il Psi non ruba. O Fassino: la sinistra non perde. O Pannella: i radicali non si fanno le canne. O Maroni: la Lega è coerente.
Il barzellettiere che nega di esserlo è un clown senza circo. Fa pena.

 

L’era del Trota

Un sindaco di una sperduta cittadina di una landa che non esiste e che qualcuno si ostina a chiamare Padania (la Neverland dei più ignoranti tra i nordisti) ha riempito una scuola di simboli leghisti. Il che equivale a mettere le mutande di Valeria Marini sugli scaffali della biblioteca comunale o a esporre un ciuffo di peli di Antonio Zequila al museo civico: una solenne cazzata, senza possibilità di discussione.
Se vivessimo in un paese coi normali sistemi di vigilanza del buon senso funzionanti, quel sindaco sarebbe stato rimosso (o meglio internato) ad opera dei suoi stessi compagni di partito. Persino Craxi mandò a quel paese Fabrizio Cicchitto quando lo scovò nelle liste della P2, a conferma che il potere è cieco solo quando vuole chiudere gli occhi.
Oggi invece il destino di una nazione è deciso da un manipolo di deputati che vestono di verde anche nell’intimità, scambiano l’acqua limacciosa di un fiume per acqua benedetta (e se la bevono pure), parlano una lingua che confina più con l’analfabetismo che con un qualsiasi dialetto, idolatrano un tale che abbaia trisillabi senza concetto.
Sapete perché quel sindaco non lo rimuove nessuno? Perché ogni meccanismo di ribellione e di autocontrollo democratico prevede un livello minimo di cultura. E noi, che un tempo rimpiangevamo l’era del Cinghiale bianco, siamo appena entrati nell’era della Trota.
Anzi, come ignoranza impone, del Trota.

La finta democrazia

Presentatrici televisive che fanno i sindaci, soubrette che fanno i ministri, piduisti che fanno i premier, pregiudicati che fanno i senatori, lingue felpate che fanno i direttori di tg, imbroglioni e bugiardi che fanno i direttori di giornali.
Ogni mattina quando leggo i giornali, l’Italia mi appare sempre più dannata.
L’occupazione militare di ogni scranno, seggiola o strapuntino segue una regola fondamentale: quella della mistificazione.
Nella Prima Repubblica c’erano la corruzione e la censura, ed erano sotto gli occhi di tutti. Lo erano a tal punto che il potere non si sognava di nascondersi. Al contrario, l’imbroglio era ottriato come simbolo del privilegio del potere. Dalla Rai di Bernabei alla Milano da bere di Craxi, era un tripudio di benessere oligarchico.
Nella Seconda Repubblica qualcuno ha deciso che bisognava cambiare, se non altro per giustificare il terremoto politico. Il potere non voleva rinunciare ai suoi vantaggi trasversali e disonesti, ma non voleva più nascondersi. Così ha scelto di costruire una realtà deformata da elargire ai sudditi adoranti.
La negazione dell’evidenza è diventata lo strumento chiave di lotta alla verità.
Nani e ballerini al governo? No, no, mai, mai, vergogna, vergogna!
E intanto sale la musica e scintillano le paillettes: inizia il consiglio dei ministri.

Ai postumi l’ardua sentenza

Non ci si stupisca per l’apertura al processo di riabilitazione di Bettino Craxi da parte del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. In fondo è solo la restituzione (postuma) di un favore.