L’era del Trota

Un sindaco di una sperduta cittadina di una landa che non esiste e che qualcuno si ostina a chiamare Padania (la Neverland dei più ignoranti tra i nordisti) ha riempito una scuola di simboli leghisti. Il che equivale a mettere le mutande di Valeria Marini sugli scaffali della biblioteca comunale o a esporre un ciuffo di peli di Antonio Zequila al museo civico: una solenne cazzata, senza possibilità di discussione.
Se vivessimo in un paese coi normali sistemi di vigilanza del buon senso funzionanti, quel sindaco sarebbe stato rimosso (o meglio internato) ad opera dei suoi stessi compagni di partito. Persino Craxi mandò a quel paese Fabrizio Cicchitto quando lo scovò nelle liste della P2, a conferma che il potere è cieco solo quando vuole chiudere gli occhi.
Oggi invece il destino di una nazione è deciso da un manipolo di deputati che vestono di verde anche nell’intimità, scambiano l’acqua limacciosa di un fiume per acqua benedetta (e se la bevono pure), parlano una lingua che confina più con l’analfabetismo che con un qualsiasi dialetto, idolatrano un tale che abbaia trisillabi senza concetto.
Sapete perché quel sindaco non lo rimuove nessuno? Perché ogni meccanismo di ribellione e di autocontrollo democratico prevede un livello minimo di cultura. E noi, che un tempo rimpiangevamo l’era del Cinghiale bianco, siamo appena entrati nell’era della Trota.
Anzi, come ignoranza impone, del Trota.

Le stragi e la memoria tardiva

Foto di Paolo Beccari

Va di moda la memoria tardiva, cioè quella che si manifesta quando è troppo tardi. A diciotto anni dalle stragi di Capaci e via d’Amelio è un fiorire di ricostruzioni aggiornate, di dubbi che si incastonano nelle conferme, di testimonianze cruciali. Ora persino Carlo Azeglio Ciampi arriva a ipotizzare un coinvolgimento istituzionale nelle bombe del ’93 (che non furono meno peggiori di quelle dell’anno precedente: le bombe non si classificano, si odiano).
E prima di lui molti altri. C’è chi ricostruisce le biografie delle vittime, riscrivendone ambizioni e amicizie, e chi lascia intendere “io lo avevo detto, lo avevo previsto”.
In realtà tutti gli uomini di buona volontà e di coscienza pulita sanno che, in questo campo, chi aveva previsto davvero è colpevole quanto un mandante o un esecutore. Perchè allora non ci fu mai da parte di questi signori un solo sussurro d’allarme. Quindi o sapevano e tacquero, o adesso raccontano minchiate.
Qualcuno potrebbe ricordarmi che il mio fastidio per la memoria tardiva è anche quello espresso da Fabrizio Cicchitto ieri su Libero. Ok, però io non sono mai stato iscritto alla P2.