Vomito ergo sum

Uno dei guai prodotti dal recentismo, cioè da quella pratica di arricchire una voce del nostro vocabolario sociale senza curarsi di pesare la prospettiva storica e senza fare la tara della spinta momentanea dei media, è la distorsione di teorie già distorte. Tipo i complottismi di ogni sorta, che non sono affatto un’invenzione recente. Pensate, ad esempio, che il folle convincimento che il mondo sia governato da una misteriosa regia di potenti malvagi risale alla fine del Settecento: e la storia (con la esse minuscola) regge tutt’ora grazie a(gl)i (inde)fessi sostenitori della teoria del Nuovo ordine mondiale.

Qualche tempo fa la Cambridge University ha chiesto ad ampi campioni di persone in 24 paesi del mondo come giudicavano la veridicità dei più comuni teoremi complottisti. Ad esempio, tra i paesi in esame, la convinzione che l’umanità sia segretamente in contatto con gli alieni raggiunge il livello più alto in India (ci crede il 37% della popolazione) e quello più basso in Danimarca (6%). L’Italia si attesta su una posizione di mezza classifica (21%), appena sopra gli Stati Uniti (20%).

La madre di tutte le stramberie illogiche ha una base logica abbastanza forte. Il “popolo bue” visto come maggioranza umiliata e sottomessa per secoli vuole trovare da sempre – e incolpevolmente – un alibi per uscire dalla mortificazione, per conquistare un diritto di parola pur senza curarsi della parola.
Il complottismo è la rivincita ideale. Un “noi ve lo avevamo detto” senza che mai lo avessero detto. Un “noi lo sapevamo” senza un minimo di sapere. Una corsa forsennata al grottesco (in tempi di Covid ne stiamo leggendo di tutti i colori) che vorrebbe essere vendetta e invece è una raffica di minchiate senza un domani (ma, come abbiamo visto, con un solido “ieri”).
Vomito (minchiate) ergo sum.
Però dallo sbarco sulla Luna che mai sarebbe avvenuto, al riscaldamento climatico che mai potrebbe avvenire, c’è un dato sorprendente.
Tra le nazioni tendenzialmente più complottiste, o se volete paranoiche, come la Nigeria e il Messico, che occupano posizioni alte nelle classifiche della negazione della verità ci sono molti paesi con una bassa penetrazione di Internet.

Prendiamo nota e continuiamo a leggere, studiare, documentarci, abbeverarci da fonti non avvelenate. Forse internet non è la morte nera, ma il suo specchio deformante.

Forme varie di resistenza

Resistenza alla tentazione di valutare i vizi come virtù. Siamo un Paese che per anni ha premiato i peggiori, umiliando il merito e brandendo una finta uguaglianza dinanzi alla valutazione oggettiva: l’uno vale uno, che non è un’invenzione dei 5 stelle ma è figlio del ’68, ha impoverito classi politiche, consigli di amministrazione, facoltà universitarie, consessi artistici e via discorrendo. Come ha scritto qualche giorno fa Claudio Cerasa sul Foglio “il coronavirus ha avuto sul nostro sistema politico e statale lo stesso impatto che ha una safety car quando entra in un circuito di Formula 1”. Rallentare serve a pesare i difetti. Per ripartire quando gli effetti dell’incidente saranno stati eliminati.

Resistenza ai massimalismi che tendono a ottenere un (impossibile) risultato positivo azzerando ogni forma di soluzione intermedia. Ne sto osservando di ogni tipo. Sindacali: con atteggiamenti di inspiegabile rigidità in tempi in cui dobbiamo imparare a essere elastici. Artistici: con esilaranti opposizioni nei confronti delle nuove tecnologie (leggi web) che invece servono a raggiungere un pubblico che altrimenti si dimenticherà di teatri, musei, concerti e altro. Giornalistici: giornali che ritengono ancora di essere gli unici depositari della Cronaca Rivelata e che propongono al lettore le notizie che il lettore medesimo conosce dal giorno prima (a mezzo tv e web, ad esempio); i giornali stanno morendo perché non sanno ripensarsi così come stanno facendo altri settori cruciali della vita sociale e culturale del Paese, e ripensarsi significa fare cose che nessun altro ha il coraggio di fare (su questo magari ne parliamo in un altro post).

Resistenza al voyeurismo da isolamento. È un capitolo molto delicato di questa èra di contatti senza tatto. L’ho sperimentato su me stesso. Con la clausura si tende ad abbassare l’asticella dei contenuti da offrire in pasto ai social network. Così ho visto persone che conoscevo come timide e riservate postare proprie foto appena uscite dalla doccia (senza annessi e senza connessi), ho letto confessioni intime (condivise con 4.000 persone) che forse in altri frangenti non sarebbero state manco sussurrate al confidente di turno, ho assistito a cerimonie di socializzazione tra elementi che nel mondo reale si sarebbero tenuti a distanza con la canna. Tutto per noia o peggio, per paura della noia.

Resistenza alle scorciatoie. Dovrebbe essere un impegno prioritario, persino cristiano per chi ci crede. Penso ai complottismi che stanno insudiciando le nostre timeline, che dovrebbero essere invece spazi di riflessione pulita. Da anni mi dedico al debunking e sono abbastanza rodato (una volta mi inserirono in un elenco di “nemici della verità” da “abbattere”, ma poi appena la polizia postale fece bau, gli “amici della verità” se la squagliarono facendosela sotto) e sono abituato alla virulenza di certe offese. Ma mai come adesso ho assistito al dilagare dell’ignoranza travestita da libertà. “Ognuno la pensa come vuole” è il refrain di chi ti spaccia la minchiata del momento (solitamente manco l’ha letta): e invece no, su certezze acclarate da chi ne sa più di noi, soprattutto in questi tempi di post-antivaccinismo del cazzo, ognuno la pensa com’è giusto che si debba pensarla. Secondo scienza e coscienza. Del resto, come si dice, ci sono molte scorciatoie per il fallimento, ma non ci sono scorciatoie per il successo.   

Le cazzate sull’Aids

Aids

Uno dei campi di maggior affollamento complottistico è quello dell’Aids.
Le teorie più fantasiose vertono sui seguenti argomenti:

l’Hiv non esiste;

l’Hiv esiste e potrebbe causare l’Aids, ma non è stato mai provato;

l’Hiv non è un virus;

l’Hiv non è mai stato isolato;

Robert Gallo, lo scopritore della relazione Aids-Hiv, non ha mai pubblicato niente su una rivista scientifica. Il fatto poi che non abbia mai ricevuto il Nobel è la prova che non scoprì un bel nulla;

l’Hiv esiste e potrebbe causare l’Aids, ma soltanto in combinazione con altri fattori;

l’Hiv esiste, ma non è responsabile dell’Aids in quanto la causa è una combinazione di altri fattori, infettivi e non infettivi;

l’Hiv esiste, ma è un retrovirus inoffensivo e non è all’origine dell’Aids, l’Aids non è quindi una malattia infettiva;

le teorie alternative sull’Aids sono sostenute da importanti premi Nobel per la medicina;

i farmaci antiretrovirali sono la vera causa dell’Aids.

Non una sola di queste affermazioni ha trovato serio riscontro, e per il dettagli basta farsi un giro su internet dove ci sono siti attendibili (di scienziati, di organizzazioni mondiali, di università) che demoliscono la teoria complottista.
Ieri però è stato pubblicato uno studio che spiega con una certa dovizia di particolari come e dove nacque l’Aids. E così anche la più balzana delle fantasie sull’Aids (talmente balzana che non l’ho elencata prima) quella secondo la quale il virus Hiv sarebbe stato inventato in laboratorio da uno scienziato pazzo, o dall’America cattiva, o da un extraterrestre annoiato, finisce dove merita.
Cioè nel cesso.

Ancora sulle scie chimiche

Qualche tempo fa ragionammo sull’irragionevolezza della teoria sulle scie chimiche. Questo video aggiunge qualche tassello al puzzle.