Resistenza alla tentazione di valutare i vizi come virtù. Siamo un Paese che per anni ha premiato i peggiori, umiliando il merito e brandendo una finta uguaglianza dinanzi alla valutazione oggettiva: l’uno vale uno, che non è un’invenzione dei 5 stelle ma è figlio del ’68, ha impoverito classi politiche, consigli di amministrazione, facoltà universitarie, consessi artistici e via discorrendo. Come ha scritto qualche giorno fa Claudio Cerasa sul Foglio “il coronavirus ha avuto sul nostro sistema politico e statale lo stesso impatto che ha una safety car quando entra in un circuito di Formula 1”. Rallentare serve a pesare i difetti. Per ripartire quando gli effetti dell’incidente saranno stati eliminati.
Resistenza ai massimalismi che tendono a ottenere un (impossibile) risultato positivo azzerando ogni forma di soluzione intermedia. Ne sto osservando di ogni tipo. Sindacali: con atteggiamenti di inspiegabile rigidità in tempi in cui dobbiamo imparare a essere elastici. Artistici: con esilaranti opposizioni nei confronti delle nuove tecnologie (leggi web) che invece servono a raggiungere un pubblico che altrimenti si dimenticherà di teatri, musei, concerti e altro. Giornalistici: giornali che ritengono ancora di essere gli unici depositari della Cronaca Rivelata e che propongono al lettore le notizie che il lettore medesimo conosce dal giorno prima (a mezzo tv e web, ad esempio); i giornali stanno morendo perché non sanno ripensarsi così come stanno facendo altri settori cruciali della vita sociale e culturale del Paese, e ripensarsi significa fare cose che nessun altro ha il coraggio di fare (su questo magari ne parliamo in un altro post).
Resistenza al voyeurismo da isolamento. È un capitolo molto delicato di questa èra di contatti senza tatto. L’ho sperimentato su me stesso. Con la clausura si tende ad abbassare l’asticella dei contenuti da offrire in pasto ai social network. Così ho visto persone che conoscevo come timide e riservate postare proprie foto appena uscite dalla doccia (senza annessi e senza connessi), ho letto confessioni intime (condivise con 4.000 persone) che forse in altri frangenti non sarebbero state manco sussurrate al confidente di turno, ho assistito a cerimonie di socializzazione tra elementi che nel mondo reale si sarebbero tenuti a distanza con la canna. Tutto per noia o peggio, per paura della noia.
Resistenza alle scorciatoie. Dovrebbe essere un impegno prioritario, persino cristiano per chi ci crede. Penso ai complottismi che stanno insudiciando le nostre timeline, che dovrebbero essere invece spazi di riflessione pulita. Da anni mi dedico al debunking e sono abbastanza rodato (una volta mi inserirono in un elenco di “nemici della verità” da “abbattere”, ma poi appena la polizia postale fece bau, gli “amici della verità” se la squagliarono facendosela sotto) e sono abituato alla virulenza di certe offese. Ma mai come adesso ho assistito al dilagare dell’ignoranza travestita da libertà. “Ognuno la pensa come vuole” è il refrain di chi ti spaccia la minchiata del momento (solitamente manco l’ha letta): e invece no, su certezze acclarate da chi ne sa più di noi, soprattutto in questi tempi di post-antivaccinismo del cazzo, ognuno la pensa com’è giusto che si debba pensarla. Secondo scienza e coscienza. Del resto, come si dice, ci sono molte scorciatoie per il fallimento, ma non ci sono scorciatoie per il successo.