Un estratto dall’articolo di oggi su la Repubblica.
La richiesta di affidamento ai servizi sociali da parte di Salvatore Cuffaro è un’occasione importante per portare alla luce un paradosso che potremmo definire di strabismo sociale: molti di quelli che hanno detestato l’ex governatore come politico, lo hanno stimato come detenuto. E ciò perché l’ex governatore si è comportato bene in carcere e perché non ha mai offeso i giudici che lo avevano stangato con una condanna di sette anni per favoreggiamento aggravato a Cosa Nostra e rivelazione di segreto istruttorio. Il “senso dello Stato” attribuito al Cuffaro galeotto è insomma il frutto della sua semplice accettazione della pena, deriva dal suo inchinarsi davanti alla legge degli uomini e ha provocato, nel tempo, un imbarazzante ricorso al surrogato della santificazione in vita che ha più a che fare con l’ipocrisia che col sentimento della pietà.
Ora Cuffaro vorrebbe prestare la sua opera presso la missione Speranza e Carità di Biagio Conte.
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Con la sentenza di condanna definitiva credevamo che si fosse chiusa un’epoca: il potente, anzi il potentissimo nella polvere ci dava l’illusione di una vittoria di popolo, l’alba di una rivoluzione rischiarava il buio di una Sicilia clientelare e malandrina. E invece no, nuovi scandali covavano sotto la cenere della pubblica amministrazione e l’unica luce che baluginava nel buio era il lampeggiante di una macchina della polizia.
La sola verità che ci è venuta incontro, e che ha resistito alle tempeste della disillusione, era di un’evidenza spiazzante: la privazione della libertà è talvolta un momento drammaticamente democratico.
E in questo l’immagine del Cuffaro detenuto tende a stravolgere, davanti ai nostri occhi strabici, il concetto di espiazione che il diritto ci consegna, cioè di qualcosa che “non coincide con la conversione spirituale o con il ravvedimento del reo, bensì con la sua rigenerazione giuridica, indipendentemente dall’atteggiamento interiore”. Cuffaro al contrario mostra di espiare – di star espiando – innanzitutto con lo spirito, davanti al suo dio, nella sete degli affetti. E’ questo che gli dà dignità, non il fatto di mostrarsi come il carcerato perfetto.
La scelta della missione Speranza e Carità appare quindi severamente congrua proprio per quel che Biagio Conte rappresenta: la forza dell’anarchia umanitaria, il potere dell’altruismo. Solo un kamikaze della fratellanza come lui può far deflagrare in chi ha avuto tutto e tutto ha perso quel senso di liberazione che è davvero degli ultimi per scelta, e non dei poveri disgraziati.
Forse solo allora, quando vedremo questo Cuffaro missionario riusciremo a guarire dal nostro strabismo sociale senza aver più imbarazzo nel giudicare per quel che è adesso l’ex politico che sussurrava ai mafiosi, che baciava chiunque senza sentimento, che agitava potere e religiosità come se fossero una sola bandiera.
Salvatore Cuffaro, detto Totò, tra i poveri di Biagio Conte sarebbe il felice esito di una storia infelice.
In mezzo a questa mandria di lestofanti che ci governano o ci hanno governati, pur con tutte le sue pecche, Totò Cuffaro è stato di una coerenza quasi rara, la sua difesa nel processo, e non dal, come altri fanno, forse sorretta da una Fede sincera e allo stesso tempo ingenua (per essersi forse fidato di certe persone, o avere permesso di essere usato da certe persone) non poteva non avere come conseguenza che quella di accettare serenamente la pesante condanna, e lavorare per riscattarsi.