Rotolarsi nel fango

È davvero complessa la vicenda della ristoratrice suicida dopo le critiche di Selvaggia Lucarelli per i sospetti di recensione farlocca sul suo locale.
Brevemente vi spiego un mio metodo quando mi trovo ad affrontare una notizia difficile da commentare: identificato uno o più fattori scatenanti cerco di immaginare qualcosa ad hoc per ciascuno di essi. Quindi decompongo il problema e sposto un mattoncino dopo l’altro.
Qui abbiamo: un probabile errore commesso dalla signora che si sarebbe inventata una recensione falsa sfruttando temi delicati per farsi un po’ di pubblicità; un’operazione di debunking che smaschera il presunto imbroglio; l’aggressività polarizzata dei social che mette sugli altari e seppellisce nella polvere con la stessa velocità di un clic.

Il primo mattoncino è facile da spostare: sarebbe bastato non commettere l’errore all’origine di tutta la drammatica vicenda. Capisco che è una frase scontata, però la scrivo per una questione di metodo: prima spunta.

Il secondo è già più dirimente: dobbiamo rinunciare a interrogarci su ciò che accade intorno a noi, ad analizzare i fatti, a inseguire verità solo per paura delle conseguenze che il risultato della nostra osservazione possa far male a qualcuno? Tutto il giornalismo di inchiesta – e parlo in generale – porta in sé i semi di effetti indesiderati: leggetemi dimenticando per un attimo il caso della signora Giovanna Pedretti. Nel momento in cui indagando ognuno col suo mestiere (magistrato, giornalista, poliziotto, ma anche insegnante, psicologo, medico, eccetera), si apre una via nuova per una lettura diversa dei fatti, il percorso delle vite coinvolte cambia. Delle vite di tutti, da un lato e dall’altro rispetto all’evento chiave. La sola idea di rinunciare a interrogarsi e a interrogare per timore di non poter esercitare un controllo sugli effetti di quei punti interrogativi rimanda a censure e verità di Stato di cui la nostra storia è piena.

Tornando alla tragedia della ristoratrice di Sant’Angelo Lodigiano siamo al terzo mattoncino. I social. Stiamo discutendo su un supporto basculante in cui il reale flusso di una notizia è sconvolto pericolosamente. Nel mondo dell’informazione, quindi non sui social, una notizia si forma secondo uno schema abbastanza stabile. C’è un professionista, cioè uno che di mestiere trova e analizza le notizie. C’è un mezzo blindato su cui quella notizia viene inserita, è uno strumento o se volete un prodotto che offre l’unica garanzia possibile, quella della responsabilità: cioè c’è qualcuno che è sempre identificabile per rispondere dinanzi alla legge di quel che è stato diffuso. C’è un pubblico che fa il suo mestiere di pubblico: legge, assorbe, ci ragiona su e si fa una sua idea. Non si trasforma nel professionista che ha studiato per porgere e scovare le notizie. Non le arricchisce. Non ha modo di andare a molestare facilmente le persone coinvolte.
Nel mondo dei social invece la notizia rotola e si infanga, assorbe la melma di cui non è fatta e se ne sostanzia sino a diventare un’altra cosa.
Merda.

Questa è la realtà.

Un passo in più, nel vuoto

Sulla fragilità degli scrittori e sul senso della vita o della morte. Raul Montanari ha scritto questo piccolo capolavoro. Che merita di esser tirato fuori dall’evanescenza dei social.

Ieri mattina ho saputo che Stefano Di Marino si è ucciso. Come molti altri scrittori, ha scelto di gettarsi nel vuoto.Per chi non lo conoscesse: era un prodigioso artigiano della narrativa di genere, autore di duecento romanzi; uno di quegli scrittori che negli USA degli anni ’30 si chiamavano pulp, ma da noi la parola ha un altro significato.Non eravamo amici, quindi vi verranno risparmiati ricordi tediosi o foto di noi due teneramente abbracciati e cose simili, che peraltro tendo a non postare nemmeno quando a morire è un amico. Ci eravamo incontrati tre o quattro volte e c’era fra noi molta considerazione e simpatia, tutto qui.Eppure la sua morte mi ha colpito moltissimo. Nessuno è più ingenuo di chi crede che l’esercizio della scrittura generi conoscenza della vita, quindi saggezza. È il contrario: il punto d’arrivo di questa esplorazione dell’umano è spesso la desolazione, lo spettacolo malinconico delle nostre azioni ripetitive, delle nostre piccinerie senza fine, del muro che corre accanto a noi e oltre il quale non vediamo nulla. Lo scrittore non è una persona corazzata contro la vita: se è davvero uno scrittore, è la creatura più indifesa che esista. Uno degli autori amati da Di Marino, Edgar Allan Poe, ha detto che la vertigine non è la paura dell’abisso ma l’attrazione per l’abisso; prima di lui, Platone aveva detto che lo scrittore è una creatura lieve, una creatura alata. Lo scrittore, quando è tale e non un ottuso contatore di copie vendute, è così vicino all’abisso che a volte fa quel passo in più e spicca il volo, per scoprire se le sue ali sono reali o immaginarie come il resto del mondo che ha abitato fino a quel momento. Perfino più immaginario di quelli che lui ha inventato per ospitare i suoi personaggi e le sue storie.

Dalle notti magiche alle notti in bianco

rita bonaccorso schillaci

Un estratto dall’articolo di oggi su la Repubblica.

Come in un pallonetto dell’ex marito, la traiettoria della vita di Rita Bonaccorso è da anni quella di una parabola discendente. E non trattandosi di storie di pallone è chiaro che nessuno si aspetta un gol, al contrario si resta spettatori attoniti davanti a certi capovolgimenti di un destino bizzarro.
Era la moglie del bomber di Italia ‘90. Era il simbolo ideale per rappresentare l’invidiata fortuna di diventare qualcuno pur essendo nessuno. Era la moglie di Totò Schillaci. Continua a leggere Dalle notti magiche alle notti in bianco

L’abbraccio

La notizia, nella sua scarna drammaticità, l’ha data con garbo Michela Giuffrida oggi su Repubblica. Marito e moglie sessantenni australiani si sono uccisi nella stanza di un bell’albergo a Taormina: li hanno trovati abbracciati a letto. Avevano organizzato tutto per bene, e per bene suona beffardo quando ci si appropinqua al male di una morte prematura imposta a se stessi e al contorno degli affetti: il conto già pagato, le valigie chiuse, le medicine da ingurgitare  disposte sul comodino, la stanza in ordine, una lettera in cui si spiegava che lei era malata e ci si scusava per il disturbo.
Eppure c’è qualcos’altro che s’intravede in questa storia, o meglio nel suo finale. Ed è qualcosa che mi piace immaginare, poiché nessuno me lo può raccontare.
Un amore che si fonde sino all’estrema conseguenza, nonostante l’orribile atto di egoismo rappresentato dal suicidio, è un amore crudelmente vero. E non è la morte a renderlo meraviglioso, ma il desiderio di condividere l’eternità di un abbraccio. Penso al lungo viaggio di quei due innamorati, dall’Australia alla Sicilia, magari un ritorno nel segno del ricordo, della nostalgia di una vacanza felice. Penso alla serena rassegnazione nel piegare i vestiti che non indosseranno mai più, alla cura per i dettagli che resteranno in un mondo che non è più il loro. Penso a quell’ultima stretta  di amore e consolazione, di forza e vittoria. Penso alla sincerità di due innamorati che si dicono “per sempre” e per sempre sarà.

E no che non Mannoia

Su diPalermo c’è una delle battute più crudeli ma efficaci lette negli ultimi mesi. Si parla di Francesco Marino Mannoia.

Cammarata dei record

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Foto da Rosalio

Da ieri il sindaco invisibile della città dal malessere visibilissimo ha un nuovo record: il maggior numero di tentati suicidi in una protesta contro un’amministrazione dell’emisfero australe. In cinque, rigattieri in cerca di una regolarizzazione del loro lavoro, hanno manifestato in modo estremo attendendo invano un incontro con un essere vivente (e pensante) del Palazzo.
Ieri, come in altre occasioni ben più importanti, il sindaco Cammarata ha svolto il suo personalissimo ruolo in modo strabiliante. Non solo sottraendosi al confronto, ma addirittura facendosi sequestrare nella sua villa di rappresentanza.
Se il coniglio non esce dal cilindro la colpa è del prestigiatore.
Non credo che chi manifesta abbia sempre ragione, cortei e blocchi stradali non costituiscono certo l’esame cruciale per ottenere un qualunque diritto. Ma in questo caso sono certo che una colpa i rigattieri ce l’hanno di sicuro: non si tenta di mettere sotto scacco il nulla.