La polemica sull’intervista di Bruno Vespa al figlio di Totò Riina che ha scritto un libro sulla sua famigghia ha un presupposto giornalistico sbagliato. La grande questione è sulla liceità della messa in onda o meno, quando dovrebbe essere un altro il parametro sul quale tarare il sistema di garanzie democratiche: le domande.
Quando si mette in moto il sistema mediatico, infatti, la visibilità è assicurata, sia che si vada in onda sia che si vieti la messa in onda. Quindi – lo capisce anche un bambino – sarebbe assurdo adesso bloccare la diffusione dell’intervista, perché si otterrebbe l’effetto opposto a quello desiderato.
Invece c’è un solo modo per dare corpo alla verità, per presentare un evento e collocarlo nella giusta dimensione. Affrontarlo con professionalità.
Con le domande giuste un fenomeno si crea o si distrugge. Con le domande giuste la ragione trionfa sempre. Con le domande giuste si risparmia anche un sacco di tempo e si evitano polemiche sterili e anche un po’ noiose.
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Nei panni di Tony Ciavarello
Il signor Tony Ciavarello ha passato il fine settimana davanti al computer a rispondere e a difendersi. Il signore in questione è il marito della figlia di Totò Riina e l’occasione per questo dialogo-scontro con gli internauti è stata la pubblicazione su Rosalio della notizia di un’indagine della Guardia di Finanza su una società riconducibile a lui e a sua moglie.
Insomma, casa Riina (Ciavarello è genero del capomafia quindi non è un estraneo) si apre al confronto.
Più che impelagarsi in analisi sociologiche, è utile rimanere ancorati ai fatti. Se non ricordo male, qualche anno fa la sezione misure di prevenzione del tribunale di Palermo rigettò una proposta restrittiva (obbligo di dimora e sorveglianza speciale) nei confronti del signore in questione perché la sua parentela acquisita non bastava, da sola, a farne una persona pericolosa.
I fatti però non sono soltanto quelli che attengono alle aule di giustizia. Ciavarello chiede di essere considerato una persona normale, di essere trattato come un qualunque cittadino. Dal punto di vista giuridico ha ragione. Ma dal punto di vista umano e sociale gli si chiede qualche sforzo.
Ogni persona di buon senso capisce che il suo è un ruolo molto difficile. La sua “liberazione”, se davvero è ispirata da nobili propositi, passa attraverso alcune strettoie. Tony Ciavarello non è un qualsiasi Tony Ciavarello. E noi non viviamo a Disneyland, ma a Palermo – Sicilia – Italia.
Non serve una abiura ufficiale, basta la buona fede (che è una lunga strada). Non servono parole vuote (“bisogna vedere chi sono i veri mafiosi, se sono solo quelli come Totò Riina o se ce ne sono nascosti dietro mentite spoglie”), ma parole semplici, anche sofferte.
Ciavarello, se è davvero animato da buone intenzioni, a mio modesto parere dovrebbe frequentare meno avvocati e più estranei. Per mostrarsi e raccontarsi. Dovrebbe sottoporsi al calvario di una semplice, scontata domanda, ripetuta mille e mille volte: non si è rotto le scatole della mafia? Risposta secca, senza argomentazioni da Bignamino del qualunquismo.
Dovrebbe presentarsi come il più dritto dei chiodi dritti, anche quando il martello percuote: mai farsi martire, opporre le proprie ragioni sempre, quello sì. Dovrebbe battersi per fugare ogni diffidenza con la semplice forza di un argomento: sto da una parte ben precisa del tavolo, nonostante la vita mi abbia riservato anche un posto dall’altro lato.
Internet e Cosa nostra
Dopo le polemiche per i fans di Totò Riina su Facebook e l’allarme del superprocuratore Grasso sulla regia della mafia dietro operazioni di questo tipo, proviamo a immaginare nuovi scenari di criminalità organizzata e informatizzata.
Bernardo Provenzano si dissocia dal suo fan club sul web. Motivo? La punciuta col mouse non garantisce fedeltà.
Matteo Messina Denaro mette finalmente online una sua foto recente. Risale alla prima comunione, ma il volto è oscurato dall’ostia. Immediata la reazione della magistratura: il prete, oggi ottantenne e affetto da incontinenza biblica, è arrestato per favoreggiamento. Viene rinchiuso in una piscina vuota.
Il magistrato Gian Carlo Caselli denuncia l’ennesimo calo di tensione: gli si sono bruciati già un Mac, due Pc e una Playstation 2.
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