Per amor di clic

L’altro giorno ho postato sui social una mia foto di quando avevo vent’anni o giù di lì, con questo testo:

Oggi, svuotando cassetti, mi è tornata tra le mani questa foto. È dei primi degli anni ottanta, riflette una fase che credo molti dei miei coetanei hanno vissuto: quella del cuoio, dei capelli lunghi, delle perline, di qualche canna, e via dicendo. E senza ricamarci su troppo ho pensato che abbiamo avuto davvero una possibilità immensa in giovinezza: quella di avere la più ampia possibilità di sbagliare da soli. Senza suggerimenti di senza volto, senza intelligenze artificiali, senza inganni cibernetici. Si sbagliava e basta. Senza sconti e franchigie. Si sbagliava e la conseguenza era lì, davanti ai nostri occhi con tutto il suo carico di forza analogica. Le ferite e i lenimenti erano reali, senza trucchi e illusioni.
E, badate bene, non è nostalgia. Ma consapevolezza: dobbiamo stare vicini ai nostri giovani, ai figli di questo tempo pericolosamente liquido. Perché sono loro i veri supereroi.

Ne sono scaturite alcune riflessioni pubbliche e private, tra le quali una mi ha colpito in modo particolare. Prima dell’avvento degli smartphone le foto erano fondamentalmente una testimonianza di affetto. Si centellinavano perché la pellicola costava. Erano dono ponderato. Non si pensava alla futura memoria, ma all’incorniciatura del presente. E soprattutto racchiudevano non solo l’essenza visibile del soggetto, quanto l’impronta di chi le faceva.
Di ogni scatto ricordiamo perlopiù chi ha fornito il dito cruciale. E se non lo ricordiamo magari ci struggiamo: aderisco a quella corrente di pensiero secondo la quale uno scatto anonimo è uno scatto monco nella memoria della nostra vita (in generale odio le cose anonime tipo i regali senza un pensiero, un biglietto).
Nulla a che vedere con la fotomania contemporanea dove la narrazione non sta davanti all’obiettivo, ma dietro il mezzo di diffusione. Non vi sfuggirà che il selfie, il più importante mezzo di autopromozione degli ultimi dieci anni, un tempo si chiamava autoscatto ed era quanto di più clandestino si potesse immaginare in presenza di una macchina fotografica.

Alla luce di tutto ciò la tentazione sarebbe quella di considerare i nostri album cartacei – ne ho a decine – una sorta di spoon river dei ricordi o meglio delle esperienze. Per fortuna quello che sino all’altroieri chiamavamo progresso e che oggi chiamiamo innovazione ha i suoi lati positivi. Come quello di poter inanellare facilmente righe anarchiche (tipo queste) nei confronti del tempo e dei tempi e farne veicolo di un pensiero, né antico né moderno. Un pensiero e basta.
Pensare è la cosa più difficile del mondo se non sei stato addestrato a farlo.

L’atroce assassinio del tempo libero

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Avvertenza: probabilmente le considerazioni che seguono le avrete fatte prima di me milioni di volte.
Giustificazione: io provo a metterle in rapida concatenazione in modo da fare una sintesi che, chissà mai, potrebbe essere persino utile.
Argomento: nuove tecnologie.
Ambito: la nostra vita sociale.
Categoria: solite cose che non dovrebbero essere le solite cose.

Da quando i telefoni non sono più telefoni, i computer non stanno più soltanto nella scrivania dell’ufficio, e le informazioni non vengono più da mezzi certificati, la nostra vita, anzi la nostra esistenza, è irrimediabilmente stravolta.
Se pensate a come eravamo dieci anni fa – non dico venti e figuriamoci trenta, ma dieci – avete tutti i motivi per ritenere di essere stati catapultati in un pianeta diverso.
Non mi dilungo negli esempi che animano catene di solidarietà nostalgica sui social (tipo: “Come eravamo”, o “Hai quarant’anni se…”, o “Sei un perfetto cinquantenne?”), ma vado al sodo. Continua a leggere L’atroce assassinio del tempo libero

La spiaggia, l’amore e il vortice dei social

Ciao Ada, ieri ti ho rivista dopo più di trent’anni. Eri sdraiata in spiaggia a Mondello e parlavi al telefono con una tua amica: ti lamentavi della tata inglese che dovrebbe insegnare le lingue ai tuoi due figli e invece se ne sta tutto il pomeriggio davanti alla tv. Come lo so? Me lo hai detto tu, anzi ce lo hai detto tu a tutti quanti, nel raggio di duecento metri, dato che il volume della tua voce non era certo da bisbiglio. Volevo avvicinarmi per salutarti ma, visto che eri impegnata, ho preferito rimanere in disparte. Continua a leggere La spiaggia, l’amore e il vortice dei social

Più leggeri sugli smartphone

Da qualche giorno l’accesso a questo blog da smartphone è più semplice e la navigazione è più agile. Tutto ciò grazie ad alcune diavolerie tecnologiche sulle quali non ho il coraggio di soffermarmi. Spero solo che il risultato sia di vostro gradimento.