Nel marasma quotidiano di fabbriche che chiudono, decreti armati, intelligenze disarmate, politica inutile, cassetti pieni di cose utili, saltimbanchi in doppio petto, idioti impettiti, morti spacciati per vivi, vivi che insegnano a piangere ai morti, cattive intenzioni fatte passare per soluzioni e soluzioni bruciate come cattive intenzioni, mi sento meglio quando leggo un libro o ascolto musica. E più vado avanti negli anni, più ho la consapevolezza che l’arte sia una specie di vaccino. Il culto del bello è uno scudo contro le offese del non bello, perché non prevede l’inquinamento dell’etica, non si impantana nelle convenzioni. E’ la strada migliore verso la libertà, ognuno ha la sua e nessuno può piazzare divieti per capriccio.
C’è un tale che sta ravanando tra le rovine di questo paese. Quest’uomo, forte delle regole che detta lui stesso (salvo smontarle e rimontarle in modo diverso, ogni giorno, tipo Lego), non si fermerà fin quando non troverà quel che inconsapevolmente cerca: il seme della propria follia.
Se dedichiamo attenzione a ciò che a lui è ontologicamente estraneo, cioè all’arte, gli toglieremo l’audience che è il suo ossigeno.
Parliamo di libri, di musica, di pittura, di cinema. Tanto, anche se il Dittatore delle macerie ci spiasse, non capirebbe un tubo.
Ad esempio, in tempi di disperazione, suggerisco la lettura de “L’esistenza di dio” di Raul Montanari.
Tag: cinema
Al cuore, Ramon
di Giacomo Cacciatore
Apprendo che la pagina di “Facebook” a lui dedicata conta 21.534 membri. Molti sono giovanissimi. Un giornalista gli ha dedicato uno spettacolo viaggiante. Un economista l’ha citato di recente durante un forum internazionale, usando un’ancor vivida immagine della fantasia per riassumere la situazione finanziaria attuale. Registi di tutto il mondo l’hanno studiato. La UCLA l’ha preso per anni come punto di riferimento per una lezione di montaggio cinematografico. La moglie, a fronte di tanto e tale amore incondizionato e senza confini e dell’indifferenza prevedibile delle reti televisive nazionali (commerciali e non), si è così espressa sul Corriere online: “Vedo che nessuno fa niente per ricordare Sergio. Secondo me molto dipende dal fatto che Sergio non era un uomo di sinistra e la sinistra non lo ha mai perdonato per questo. Gli davano dell’uomo di destra, quasi del fascista. E dire che il padre di Sergio, Vincenzo, anche lui regista, dovette lasciare l’Italia proprio perché accusato di essere un antifascista. Ma in fondo me ne importa poco. L’essenziale per me è aver creduto subito nell’estrosità, la fantasia, la genialità di un grande uomo che ha segnato un importante capitolo nella storia del cinema. Il resto, soprattutto la tv… non cambia niente”.
E’ Sergio Muniz? E’ un Sergio qualunque degli “amici” di Maria De Filippi? E’ Malgioglio sotto mentite spoglie? No.
Era ed è Sergio Leone. Regista.
Leggo che c’è pure un Facebook dedicato a Totò Riina. Conta membri (il termine in questo caso è riferibile all’organo sessuale maschile) che gli dedicano pensieri d’ammirazione.
In occasione delle festività, Canale 5 ha rimandato in onda, in prima serata, “Il capo dei capi”, frittata ispirata alle sue gesta, orgogliosamente replicata sul canale satellitare Premium. Un’eiezione filmica che non vale mezzo fotogramma bruciato dell’opera di Sergio Leone.
Al cuore, Ramon. Al cuore.