Austerity, quando tutti andavamo in bici

L’articolo di oggi su la Repubblica Palermo.

Il precursore dell’acronimo ZTL fu un termine inglese, Austerity, una parola che evocava disordini internazionali e al tempo stesso compostezza. Era l’inverno del 1973, un inverno particolarmente freddo, e il governo Rumor decise di varare un rigoroso regime di risparmio energetico per la grande crisi petrolifera causata dalla guerra del Kippur, dalla chiusura del Canale di Suez e da altre cose di cui a noi bambini di allora non fregava niente. Dal due dicembre di quell’anno scattò il divieto assoluto di circolazione nei giorni festivi di tutti i mezzi a motore, con pochissime eccezioni.
A Palermo si pedalava al centro della corsia in via Libertà, quasi per sfregio al fantasma delle auto. E si prendevano d’assalto i campetti di calcio, la maggior parte dei quali non erano strutture attrezzate, ma scavi per le fondamenta di nuovi palazzi. Le cicatrici del “sacco di Palermo” erano tutt’altro che chiuse e interi quartieri ad alto tasso di espansione edilizia – ad esempio il mio, Resuttana-San Lorenzo – pullulavano di lavori in corso. Solo che la domenica gli operai erano a casa e i cantieri abbandonati. Gli scavi per le fondamenta diventavano quindi campi di calcio e in alcuni casi piccoli stadi con tribune improvvisate sulle trincee di terra. Si giocava al campetto Incis, nella radura già artigliata dalle ruspe delle Tre Torri, e persino in mezzo alla strada. Le porte non avevano pali ma un ammasso di giacche, per la traversa si stabiliva un metro di misurazione democratica: il limite era dove arrivava il portiere, quindi era la sua statura a determinare l’altezza della porta.
C’era poi quello che qualche anno fa Repubblica scoprì come “il giardino segreto”, un luogo bellissimo e già allora abbandonato tra il CTO di via Cassarà e piazza Salerno, di fronte a Villa Sofia. Che si chiamasse parco Mazzarino lo abbiamo appreso quarant’anni dopo, per noi allora era solo “il campetto proibito”. Un rettangolo di erba vera con due porte regolamentari vere. La prima volta che scavalcammo si materializzò un signore basso e incazzato che si qualificò come guardiano e ci disse che dovevamo andarcene immediatamente. Non ricordo come, ma si stabilì subito una trattativa: in cambio di qualche lira, il tizio ci avrebbe lasciato giocare per un’ora. Pagammo il nostro pizzo di monetine. Quella volta e tutte le altre domeniche di quell’inverno freddo e felice.

Lavori in corso

IMG_20140220_142921

Grazie a Michele Lo Chirco (da Milano).

#pocoinclinealperdono?

Alcuni perfidi amici hanno coniato per me l’hashtag #pocoinclinealperdono a causa di alcune presunte spigolosità del mio carattere. A loro ho pensato, ieri, dopo che in bici ho rischiato di essere travolto da un’auto, il cui conducente mi aveva tagliato la strada mentre era impegnato in una conversazione telefonica.
L’impatto è stato evitato per qualche centimetro (alla faccia di chi dice che nella vita i centimetri non contano) e la vera sorpresa non è stata trovarmi ancora in sella sano e salvo, ma dover consolare l’aspirante investitore. Il quale, scusandosi e scusandosi ancora, ha avuto un mezzo collasso per l’emozione di non avermi ucciso.
Scena finale: io in tenuta da biker, sudato e stanco, ho passato la mia borraccia al tizio in camicia e cravatta accasciato sul sedile della sua auto con aria condizionata.
Ommm.

Il ciclista del faro

Foto di Daniela Groppuso

Se avete un fine settimana libero o avete in programma di fare una vacanza in Francia, ho un consiglio da darvi. Prendetevi il tempo – bastano due giorni – per arrivare sino a Saintes Maries de la mer in Camargue. Lì affitterete una bicicletta – 10 euro per quattro ore, 15 per tutta la giornata – e pedalerete verso la riserva naturale. Dopo circa 15 chilometri arriverete al faro de la Gacholle, scatterete una foto come quella che vedete in questa pagina, ringrazierete Dio per avervi regalato due gambe solide e un panorama inaudito, e inizierete la pedalata di ritorno.
A Santes Maries de la mer vi accomoderete in uno dei tanti ristorantini che strillano i loro menù su colorati cartelloni in mezzo alla strada e con  altri 15 euro mangerete un’ottima paella che – incredibile ma vero – è una delle specialità del luogo (l’altra sono le moules et frites, cozze con patate fritte, roba per uomini di fegato, inteso come organo).