Il principe cerca rogne

Pensatela come volete, ma arrendetevi dinanzi a una constatazione: un principe che, a cinquant’anni, continua a raccogliere figli illegittimi lungo il suo iter seminale è pressoché un pirla.
Per i seguenti motivi:

1)    Si può essere ricchi quanto si vuole, ma sperperare milioni per il mantenimento di persone sconosciute non procura godimento neanche al più incallito dei masochisti.

2)    Fare la figura di uno che non conosce neanche un metodo anticoncezionale, nell’anno di grazia 2011, non è bello.

3)    Grassocci e pelati non si è quasi mai irresistibili, a meno che non si sia in una posizione di dominio assoluto. Ed esercitare il dominio assoluto quando non hai fatto nulla per meritartelo, alla lunga annoia.

4)    Sedurre cameriere e  hostess è la cosa più semplice del mondo quando hai un conto in banca che interessa più del contenuto della patta o della scatola cranica.

5)    Organizzare un matrimonio reale per cercare di mettere fine alle dicerie che accompagnano tutte le minchiate che hai commesso è già un’operazione ardita, farlo in mondovisione equivale a certificare la propria inadeguatezza come essere pensante.

Il fine di Fini prima della fine

Se non ho capito male, l’Italia non berlusconiana si affida all’ex berlusconiano Fini per abbattere il regime berlusconiano. E’ un po’ come chiedere a Jean Todt di mettere lo zucchero nei serbatoi delle Ferrari prima della partenza del gran premio di Imola. Una fesseria, a meno che non si sia davanti a una conversione o, meglio, a un pentimento.
Ma Fini appare convertito? Pentito?
Proprio no.
E’ incazzato nero, quello sì. Per lo scherzetto di Montecarlo e per gli agguati a penna armata dei picciotti del Cavaliere.
Occhio ragazzi: le rivoluzioni sono una cosa seria, più entusiasmanti da leggere che da vivere.  Solitamente riescono se dietro ci sono menti agguerrite, con ideali affilati.
Nel caso di Fini abbiamo solo una solenne incazzatura e una discreta voglia di vendetta. Più o meno quello che serve per mettere giù, al massimo, un editoriale del Giornale. E nulla di più.

Dimenticare quel tale Tulliani


Il “cattivo” dell’estate – ogni stagione ha i suoi – è un tale Giancarlo Tulliani, un ragazzotto intraprendente e arrogante che ha messo nei guai Gianfranco Fini. I giornali si divertono a dipingerlo come spregiudicato al limite dell’incoscienza, prepotente al limite della ridicolaggine, sfacciato al limite dell’insolenza.
Tutto accade adesso, dopo che altri giornali – quelli di proprietà di un altro arrogantello e spregiudicato che però non può godere più dello status di ragazzotto – hanno raccontato i presunti favori di cui il tale Tulliani godeva grazie a sua sorella, compagna del presidente della Camera.
Il bello di questi personaggi è che sono creati per non riscuotere disparità di opinioni: non sono ricchi di famiglia ma lo diventano (e ciò attira le antipatie di chi con lo stipendio non arriva a fine mese), restano a lungo invisibili alle cronache (e ciò attira le antipatie di chi sui giornali ci finisce troppo spesso), appaiono splendenti pur brillando sempre di luce riflessa (e ciò attira le antipatie di chi vive al buio), difficilmente pagano di persona (e ciò attira le antipatie di chi paga anche per colpe non sue).
Però al termine di queste righe mi rendo conto che Giancarlo Tulliani in fondo non è un “cattivo”: i cattivi, soprattutto quelli senza virgolette, ostentano la forza di una responsabilità, si battono sino alla fine brandendo ragionamenti come se fossero mazze ferrate, si dimenano alla ricerca di un colpo di scena che possa scavare una trincea per loro e una fossa per un altro. Questo tale Tulliani è in fondo un opportunista viziatello, troppo giovane per essere preso come cattivo modello e troppo vecchio per restare impunito.
Il miglior modo per celebrarlo è dimenticarlo presto.

Stampa a mano armata

Tutto mi aspettavo, tranne che mi sarebbe toccato difendere Gianfranco Fini. Eppure quando uno vede i killer che sparano all’impazzata può scegliere: o voltarsi dall’altra parte, oppure cercare di intervenire.
L’agguato del Giornale contro il presidente della Camera è, per modalità, tempi e argomenti un tentativo di omicidio mediatico. Se fossi un lettore del quotidiano imbracciato da Vittorio Feltri, farei di tutto per non essere accusato di favoreggiamento. Magari restituendo il fogliaccio all’edicolante.