Ho visto ex nemici che piangevano insieme. Ho abbracciato persone che per anni avevo tenuto a distanza con la canna. Ho guardato negli occhi uomini che sino a ieri avrei azzannato, e invece li ho stretti a me come se si trattasse di vecchi amici.
E’ il miracolo di Francesco Foresta che da morto ha voluto attorno a sé, dettando istruzioni ben precise, un circo di gioia, e dando vita a una sorta di fiera campionaria dei valori: ognuno col suo, ben in mostra. C’eravamo davvero tutti a villa Filippina, in una giornata inutilmente luminosa. Bianchi e neri (e non per il colore della pelle), alti e bassi (e non per la statura), ricchi e poveri (e non quelli della brunetta), vittime ed esecutori materiali (e l’arma era perlopiù la penna).
Ho incontrato gente che non vedevo e non volevo vedere da anni e mi sono commosso nell’incrociare le mie mani con le loro, nel sorprendermi felice di essere lì in quella compagnia inusitata. Ci siamo detti cose bellissime e folli, inventandoci un’amicizia che non c’è mai stata e che invece serpeggiava tra i rovi di una vita bastarda. Ci siamo rivolti un sorriso dopo anni di denti stretti. Non abbiamo perso tempo a chiederci scusa, ci siamo ringraziati a vicenda per esserci, per esercitarci nel ricordo di quel che ci eravamo persi. Per parlare di Francesco.
Mai vista tanta energia positiva e tanta consonanza tra sconosciuti, in un funerale. Anzi mai vista e basta. Il fatto che sia debba passare attraverso la strettoia di una immensa mancanza, del buio della morte, per imbattersi in una serie così ricca di sorprese è la conferma del carisma di Francesco: stratega sino alla fine e oltre, direttore dall’alto, anzi dall’altissimo, inventore di feeling, bravo a far tutto anche quando non faceva niente. Un gran seminatore di fiducia.
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Il Papa contumace
A parte le giustificazioni ufficiali, tutte ufficialmente valide, pesa notevolmente l’assenza del Papa ai funerali del cardinale Martini. Una benedizione-discorsetto in contumacia la dice lunga sulla volontà di rinnovamento e sulla capacità di introspezione della Chiesa guidata da herr Ratzinger. Del resto, non è una novità che questo pontefice si guardi bene dal vestire i panni di un papa del terzo millennio: è come se l’attualità lo infastidisse al pari di un faro abbagliante sparato sugli occhi.
La lotta senza quartiere di Benedetto XVI contro il relativismo è, ai miei occhi di cattolico orecchiante e disilluso, un alibi per mascherare una pericolosissima sordità sociale: in realtà non sono gli altri che non parlano – pur agitando idee e sentimenti – è lui che non ascolta, che non vuole ascoltare.
La Chiesa del 2012 ha troppe preziose occasioni per ritornare al centro dello scacchiere umano, però le dribbla tutte, inspiegabilmente.
Ci vorrebbe un reset, tra Storia e coscienza.
Ci vorrebbe un binocolo per guardare lontano, nelle lande del sottosviluppo.
Ci vorrebbe una lente di ingrandimento per osservare da vicino le trame della modernità.
Ci vorrebbe un Papa.