Ho visto ex nemici che piangevano insieme. Ho abbracciato persone che per anni avevo tenuto a distanza con la canna. Ho guardato negli occhi uomini che sino a ieri avrei azzannato, e invece li ho stretti a me come se si trattasse di vecchi amici.
E’ il miracolo di Francesco Foresta che da morto ha voluto attorno a sé, dettando istruzioni ben precise, un circo di gioia, e dando vita a una sorta di fiera campionaria dei valori: ognuno col suo, ben in mostra. C’eravamo davvero tutti a villa Filippina, in una giornata inutilmente luminosa. Bianchi e neri (e non per il colore della pelle), alti e bassi (e non per la statura), ricchi e poveri (e non quelli della brunetta), vittime ed esecutori materiali (e l’arma era perlopiù la penna).
Ho incontrato gente che non vedevo e non volevo vedere da anni e mi sono commosso nell’incrociare le mie mani con le loro, nel sorprendermi felice di essere lì in quella compagnia inusitata. Ci siamo detti cose bellissime e folli, inventandoci un’amicizia che non c’è mai stata e che invece serpeggiava tra i rovi di una vita bastarda. Ci siamo rivolti un sorriso dopo anni di denti stretti. Non abbiamo perso tempo a chiederci scusa, ci siamo ringraziati a vicenda per esserci, per esercitarci nel ricordo di quel che ci eravamo persi. Per parlare di Francesco.
Mai vista tanta energia positiva e tanta consonanza tra sconosciuti, in un funerale. Anzi mai vista e basta. Il fatto che sia debba passare attraverso la strettoia di una immensa mancanza, del buio della morte, per imbattersi in una serie così ricca di sorprese è la conferma del carisma di Francesco: stratega sino alla fine e oltre, direttore dall’alto, anzi dall’altissimo, inventore di feeling, bravo a far tutto anche quando non faceva niente. Un gran seminatore di fiducia.
C’ero.
Non conosco i retroscena delle vite degli altri presenti di quella mattina ma una cosa, nonostante stati d’animo acrobatici, l’ho notata: ogni uomo incappottato che ha percorso il viale alberato dalle 11.15 alle 11.45 lo ha percorso in senso contrario un’ora dopo con l’espressione stravolta di chi ha guardato – bene – nello specchio per la prima volta.
Sono giovane nel mondo degli intrighi tra colleghi e, ahimè, ingenuità a parte e vita permettendo mi piacerebbe non diventar mai grande, non in quel senso almeno, ma ho visto strette di mano che hanno fatto scintille e scambi di sguardi che avrebbero riempito qualunque vuoto.
Un saluto.
E.
Non ci ho capito nulla. Ma forse è perché non sono giovane.