L’articolo pubblicato su Repubblica Palermo.
È vero che l’unione fa la forza, ma è anche vero che ci sono forze che unite si annullano a vicenda. Prendete il caso di Francesca Donato che per la sua corsa a sindaco di Palermo aveva riscosso l’appoggio dell’ex pm Ingroia e del comunista Rizzo, ma soprattutto aveva goduto dello straordinario endorsement di Heather Parisi e Alessandro Meluzzi. Risultato: poco più di seimila voti e lista a picco. Eppure la storia della signora Donato non è soltanto un paradigma di alleanze sul tema del negazionismo applicato alle cose della vita – che sia un virus o una strage di ucraini è un dettaglio di mera contingenza di cronaca – ma anche l’occasione per collocare il virtuale nel suo alveo naturale: che è appunto quello di atto non in atto, opposto alla realtà (o peggio suo surrogato).
Finora la migliore prova di fisicità delle sue idee la signora Donato l’aveva data in tv. Ma certe comparsate televisive in cui si discetta, per di più urlando, di ciò che è discettabile solo perché si è forniti di corde vocali annodate a una perigliosa dose di tesi alternative non sono garanzia di nulla, al netto di una complice audience post pandemica.
Poi ci sono stati i social. I like a migliaia, gli applausi digitali ai suoi post non erano promesse di voto, così come non lo erano per altri candidati di ogni schieramento che avevano respirato aria di vittoria a ogni cuoricino luccicante o pollice in su. Perché, oggi domani e sempre, che sia elezione o relazione, fallace è l’emozione da emoticon. E perché il filtro tra promessa e voto, tra polpastrello e cuore è quella cosa che alcuni chiamano reticenza e altri chiamano coscienza.