Forche, forconi e forchette

movimento forconi

Ho ascoltato/letto le rivendicazioni del cosiddetto movimento dei Forconi. Meno tasse, più aiuti alle imprese, più tutela dei lavoratori. Praticamente quello che chiede ogni cittadino onesto di questa nazione, se non è evasore o comunque un latitante.
Che ci si debba inventare un movimento, un embrione di partito o una culla rivoluzionaria per portare avanti istanze talmente legittime da risultare banali, è un segno dei tempi. Infatti, rincoglioniti da vent’anni di fiction berlusconiana, ci ritroviamo tutti un po’ smarriti quando un contadino, un camionista o una casalinga si mobilitano per ragioni elementari come un pasto da garantire ai figli ancor prima che ai coccodrilli di Montecitorio. Il problema, cari miei, è che ci siamo persi per strada, tra gli stipendi del Trota e le note spese di Lusi, tra le competenze della Minetti e il curriculum della Carfagna. Siamo stati colpevolmente distratti perché gli scandali, passata la fiammata, alla fine annoiano come l’ennesimo panorama descritto da Wilbur Smith.
Io non ho un’epidermica simpatia per i Forconi, non mi piacciono quelli che per combattere una battaglia di libertà per i cittadini rompono i coglioni innanzitutto ai cittadini. E riconosco che le loro ragioni sono giuste, ma hanno un problema di locomozione: pretendono di muoversi bloccando il movimento, in una sorta di ossimoro sociale.
Al netto delle emergenze e del blabla politico tipo l’incoronazione di Renzi, celebrata come se fosse un giubileo della Fortuna Collettiva, questo è forse quello che ci meritiamo per non aver mai indetto delle primarie del buonsenso, dell’onestà, della coerenza.

Chi rompe i forconi

Ne ho già scritto qua, ma voglio ribadire.
Dai tassisti di Roma ai forconi di Palermo è in atto qualcosa che superficialmente potrebbe essere identificata come una prova di forza, ma che in realtà è una testimonianza di debolezza dello Stato.
Il momento difficile non autorizza nessuno a scatenare rivolte che hanno soltanto brutti effetti collaterali. Passare all’incasso di un diritto con un’arma in pugno equivale a calpestarlo, quel diritto. Anche perché coi sacrifici che si vedono all’orizzonte, qualcuno potrebbe decidere che il modo migliore di evitarli è di imporli agli altri. E questo è un ragionamento che porta dritti alla guerra civile.
Quindi tollerare istituzionalmente manifestazioni come quelle che stanno paralizzando la Sicilia è quantomeno un atto di imprudenza, al netto delle responsabilità personali.